REPUBBLICA — 7 APRILE 2023
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Quindici Paesi Ue ricorrono contro la legge ungherese anti Lgbtq+. L’Italia si schiera con Orbán
Anais Ginori e Emanuele Lauria
Il provvedimento, definito “vergognoso” dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, vieta di mostrare ai minori qualsiasi contenuto, nei media e nelle scuole, che ritragga o promuova l’omosessualità o il cambio di sesso
L’Italia non si unisce al ricorso della Commissione europea contro la legge dell’Ungheria che discrimina le persone Lgbtq+. Quindici stati membri, così come il parlamento europeo, hanno già aderito, tra cui Francia e Germania. “La Francia, in coordinamento con la Germania, ha deciso di sostenere la Commissione europea nel suo ricorso” ha spiegato fonti diplomatiche francesi. Il governo italiano ha invece deciso di non schierarsi contro Viktor Orbán, artefice della legge che vieta la “rappresentazione o la promozione” dell’omosessualità e del cambiamento di sesso tra i minorenni.
L’approvazione della legge nel 2021 aveva scatenato reazioni indignate. La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen l’aveva definita una “vergogna” e l’esecutivo dell’Ue ha presentato ricorso alla Corte di giustizia dell’Ue nel dicembre 2022.
Secondo la Commissione la normativa del governo di Budapest viola le direttive sui servizi nel mercato interno, sui media audiovisivi, la Carta dei diritti fondamentali dell’Ue e l’articolo 2 del Trattato sull’Unione europea, che riguarda in particolare il rispetto dei diritti umani e la non discriminazione.
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Una motivazione tecnica
Nello smarcarsi dalla procedura della Commissione, fonti del governo italiano sostengono che il ricorso è poco fondato dal punto di vista tecnico, visto che l’articolo 2 non è mai stato usato direttamente per giudicare l’incompatibilità di una norma nazionale con i Trattati. Si tratta, secondo l’esecutivo di Roma, di un gesto che ha valore quasi esclusivamente politico.
Contro la legge ungherese si sono schierati Francia, Germania, Belgio, Lussemburgo, Paesi Bassi, Spagna, Portogallo, Danimarca, Irlanda, Malta, Austria, Finlandia, Svezia, Slovenia, Grecia oltre al parlamento europeo. Il sostegno al ricorso significa che un rappresentante dei rispettivi governi europei potrà intervenire sia per iscritto che oralmente di fronte alla Corte per sostenere le tesi della Commissione e schierarsi contro l’Ungheria. Si tratta della più grande procedura sulla violazione dei diritti umani mai portata davanti alla Corte di giustizia dell’Ue.
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La svolta rispetto alla posizione di Draghi
“Mentre ben quindici Stati membri dell’Ue si uniranno al ricorso, l’Italia si schiera con Orbán e una minoranza di stati membri che si battono contro una società europea aperta e inclusiva” commenta Yuri Guaiana, rappresentante di +Europa presso l’Alde. L’Italia è l’unico paese fondatore dell’Ue che figura nel gruppo dei paesi dell’Ue che non si uniscono al ricorso, tra cui Polonia, Romania, Bulgaria, Cipro, Croazia, Estonia, Lettonia, Lituania, Repubblica Ceca e Slovacchia.
“Con questa scelta – sottolinea Guaiana – il governo Meloni ha modificato la posizione del governo Draghi che aveva aderito alla dichiarazione del 17 maggio 2021 in cui si impegnava a proteggere i diritti fondamentali delle persone Lgbtq+ e alla lettera dei capi di Stato e di governo ai presidenti delle istituzioni europee del 24 giugno 2021”.
Il governo di Budapest ha criticato la decisione della Finlandia di aderire al ricorso, comunicata subito dopo il via libera del parlamento ungherese all’adesione del paese nordico alla Nato. “I nostri amici finlandesi hanno ancora molto da imparare sulla correttezza” ha commentato il segretario di Stato del ministero degli Esteri ungherese, Tamas Menczer.
“Chiedere l’elemosina finché non si ottiene qualcosa e poi voltare immediatamente le spalle non è un comportamento corretto” ha proseguito Menczer, lasciando intendere che ci potrebbero essere ripensamenti sulla ratificazione dell’adesione alla Nata o della Svezia, altro paese che ha sostenuto il ricorso della Commissione contro l’Ungheria.
Dispiace di essere nel fanalino di coda.