LUIGI BOLOGNINI, Renato Pozzetto: “Io, ragazzo di campagna che ha scoperto la vita grazie ai clienti dei bar” –REPUBBLICA — 12 LUGLIO 2020

 

REPUBBLICA — 12 LUGLIO 2020
https://www.repubblica.it/spettacoli/cinema/2020/07/12/news/renato_pozzetto-300874792/

 

Renato Pozzetto: “Io, ragazzo di campagna che ha scoperto la vita grazie ai clienti dei bar”

 

Gli esordi giovanissimo, gli amici, il lungo sodalizio con Cochi Ponzoni, il successo in tv, i film da grandi incassi al botteghino. L’attore, che festeggia il compleanno il 14 luglio, ripercorre una carriera e una vita “che l’è bela”

 

 

Mentre riassume 80 anni (li compie domani) di successi e risate, Renato Pozzetto si blocca: «Mi aspetta un momento?». Poi torna: «Scusi, sa, ma ho i tecnici che mi stanno lavorando in casa, sentivamo uno strano odore. Nella caldaia hanno trovato 7/8 lucertole. Oh però morte, eh?». Questo è Pozzetto, anche nella vita: il surreale che si nasconde nel reale, caldaie incluse. Ora l’attore vive quasi sempre sul Lago Maggiore, «ho aperto la Locanda Pozzetto, si mangia benissimo e c’è una gran vista». Ma non si è ritirato: a giorni inizierà le riprese di Lei mi parla ancora, di Pupi Avati, dall’autobiografia di Giuseppe Sgarbi, padre di Elisabetta e Vittorio. «Io sarò proprio Giuseppe, bel ruolo. Certo che un figlio come Vittorio… ma magari a casa è diverso, chissà».

A 80 anni bisogna però chiederle dei rimpianti.

«Uno: mia moglie Brunella, morta nel 2009 dopo 42 anni di nozze felicissime. Mi manca ancora, anche se ho fantastici figli e nipotini. Nel lavoro qualcosa di buono ho fatto: è già iniziata la sequela delle telefonate di auguri».

 

Da raccontare ce n’è. A cominciare dal sodalizio artistico con Cochi Ponzoni.

«Nato all’alba della vita. Eravamo bambini durante la Seconda Guerra Mondiale, quando fummo sfollati a Gemonio, nel Varesotto. Iniziammo a giocare lì, poi a Milano, e ogni estate di nuovo sul lago. Per riempire il vuoto di certe giornate ci mettemmo a far musica, chitarra e armonica. Fino a che taaac scattò il primo incontro, perché la nostra fortuna è aver fatto grandi incontri».

Chi fu?

«Piero Manzoni, quello della Merda d’artista, che a inizio anni Sessanta iniziò a portarci nei locali che frequentava, come il bar Jamaica e l’osteria L’Oca d’oro a Porta Romana: il padrone, ex boxeur, ci faceva suonare canti di libertà e lavoro, quelli che portavamo anche nei circoli operai, esibendoci a volte sul tavolo del biliardo perché non c’era spazio. Altro incontro, i grandissimi Velia e Tinin Mantegazza, che aprirono una galleria d’ arte notturna, La muffola: le vernici erano tutte serate di chitarra, vino, cibo con Bianciardi, Jannacci, Fo, Gaber. Poi i Mantegazza aprirono un cabaret, il Cab64 e fu naturale spostarci li».

‘Un ragazzo di campagna’, considerato un film di culto

 

Con una comicità unica, surreale, stralunata, fulminante. Qualcosa mai visto prima e poco visto dopo. Come nacque?

«Diciamo per infusione. Stando accanto a gente così, gag e canzoni nascevano spontanee, poi noi le portavamo in scena. Abbiamo attinto a piene mani da un gruppo di intellettuali che ci aspettava e che noi aspettavamo. E non solo persone famose, penso ai clienti del bar Gattullo, forse l’unico luogo di allora che esiste ancora».

Parliamone.

«Beh lì c’era e c’è una clientela con questo umorismo. Tutti assieme ci si inventò “l’ufficio facce”: una commissione che bocciava e promuoveva chi entrava guardandolo. Capivamo anche se uno era interista, più fighetto, o milanista, più popolare e vero. Io sono milanista, ovvio. Il giorno del derby per soffrire meno fingevamo di non andarci. E facevamo a gara a chi inventava la palla più grande. Una comunione di un cugino. Un anniversario di un lutto coi fiori da portare al cimitero. Invece in tasca avevamo tutti il biglietto di S.Siro».

Con Cochi Ponzoni: un lungo sodalizio in teatro e in tv

 

 

Derby dovrebbe dirle qualcosa.

«Il luogo che ha inventato il cabaret contemporaneo. La gestione artistica fu data a Jannacci che chiamò me e Cochi, Massimo Boldi, Felice Andreasi, Lino Toffolo, Bruno Lauzi. Ci chiamò “gruppo motore” perché dovevamo trainare il locale in tutti i sensi: anche luci e cori, veri saltimbanchi. Grazie agli autori tv Terzoli e Vaime ci trovammo in Rai a Quelli della domenica. Una puntata, poi 6, alla fine 24, e da lì partì il successo televisivo, pochi anni, ma intensissimi: Il poeta e il contadinoLa gallinaLa canzone intelligente».

Fino a “Canzonissima” e “E la vita e la vita”.

«Quattro settimane prima in hit parade. Una canzone che pochi hanno capito. Era disincantata, allegra. Ma quando diciamo che “la vita l’è bela, basta avere l’umbrela ti ripara la testa”, alludiamo al fatto che è facile far carriera se hai chi ti protegge. Sa, il ‘68 mica era lontano. Il nostro umorismo ha sempre due chiavi di lettura, una più semplice e una più sociale. Se uno capisce solo il senso letterale ride, se arriva a quello nascosto ride di più. Una comicità che si è persa, a parte noi e Ale e Franz si è tornati all’avanspettacolo».

Poi la coppia prende strade diverse, Cochi il teatro, lei il cinema: negli anni Ottanta una gioiosa macchina da gag e incassi.

«Ho fatto 63 film, pure troppi, ma i produttori insistevano e i soldi fanno sempre piacere. Penso alle Comiche con Villaggio. Grande amico, ma stili diversi, il suo era di ruzzoloni e smorfie. Però in ogni pellicola riuscivo a portare un po’ del mio umorismo, una gag… E ho fatto anche Sono fotogenicoDa grandeIl ragazzo di campagna».

Pozzetto tra Vittorio Gassman e Edwige Fenech in ‘Sono fotogenico’

Si aspettava che questo diventasse un classico?

«No. Ogni volta che lo rifanno in tv un dirigente di emittente telefona e ringrazia perché è l’ascolto più alto. E un gruppo di ragazzi ogni anno lo celebra a Carbonara Ticina, sono stato con loro ad aspettare il treno che passa, come nel film».

Nel 2000 la reunion con Cochi.

«Un giorno ci siamo guardati negli occhi. Un certo effetto rivederci sul palco invecchiati a far cose di 30 anni prima, ma con lo stesso piacere di girare assieme, cenare di notte in un ristorante sempre diverso».

Avete in mente qualcosa ancora?

«Vorrei coinvolgere Cochi nella riapertura del teatro Lirico. Deve tornare a essere un punto di incontro dei cittadini, un luogo dove lan ciare giovani comici».

Abbiamo citato molte volte Jannacci. Che ci dice di lui?

«Che ha dato a me e Cochi un metodo di lavoro, di creazione. Io poi l’avevo anche come medico di famiglia. Una volta venne, mi fece un’iniezione e se ne andò ridendo lasciandomi natiche all’aria».

Quanto alle sue natiche, c’è poi l’aneddoto con Edwige Fenech.

«Vecchio, ma sempre divertente. Giravamo La patata bollente di Steno. In una scena io ed Edwige cerchiamo di fare sesso in una vasca, con la schiuma. A un certo punto viene dato lo stop alla scena. La Fenech esce per asciugarsi, l’acqua scende e insomma… beh si capisce che non ero restato indifferente. Sopra di noi c’era un elettricista che mi dice: “A Pozze’, guadagnerai qualche lira, ma fai una vitaccia”. Io invece per fortuna ho fatto una vita bela bela».

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1 risposta a LUIGI BOLOGNINI, Renato Pozzetto: “Io, ragazzo di campagna che ha scoperto la vita grazie ai clienti dei bar” –REPUBBLICA — 12 LUGLIO 2020

  1. DONATELLA scrive:

    Ricordo di Cochi e Renato l’assurdo del loro umorismo, come nelle canzoni di Jannacci, ed era una cosa divertentissima

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