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LIMES ONLINE. COM – 18 APRILE 2023
https://www.limesonline.com/sudan-scontri-militari-civili-al-burhan-hemetti/131874
In Sudan, uno scontro annunciato
La bandiera del Sudan. Foto di Manuel Augusto Moreno via Getty Images.
Le violenze in corso nel grande paese africano nascono da una battaglia di potere interna alle forze di sicurezza. Non è una guerra civile perché la popolazione non partecipa. Gli interessi internazionali sono tanti, ma non decisivi.
di
foto :- https://medium.com/@lucianopollichieni
La mattina di sabato 14 aprile, dopo almeno due giorni di preparativi, le milizie paramilitari delle Rapid Support Forces (Rsf) hanno attaccato alcune istallazioni militari e centri di potere in tutto il Sudan.
Hanno catturato l’aeroporto di Merowe nel nord del Sudan, prendendo in ostaggio alcuni militari egiziani presenti nella base. Successivamente hanno preso d’assalto il palazzo presidenziale (venendo respinti) e le sedi di radio e tv nazionali. Oltre a occupare i centri del potere, le Rsf volevano annullare il vantaggio aereo dell’esercito, ma non ce l’hanno fatta.
Gli scontri sul campo sono stati accompagnati da una martellante campagna sui social da ambo le parti, che convergono su un solo punto:
Mohamed Hamdan Dagalo– Hemetti
https://en.wikipedia.org/wiki/Mohamed_Hamdan_Dagalo
si tratta della battaglia finale tra le Rsf di Mohamed Hamdan Dagalo “Hemetti”
e l’esercito nazionale di Abdel Fattah al-Burhan (Saf).
Abdel Fattah Abdelrahman al-Burhan
IL TESTO CONTINUA
Incapaci di conquistare il potere in maniera rapida, le Rsf hanno proseguito con offensive diffuse in tutto il paesec ompreso il Darfur occidentale, loro roccaforte. Al momento, le Saf sembrano riuscite ad arginare l’offensiva delle Rsf e a riguadagnare terreno. Il Consiglio Sovrano del Sudan, guidato da al-Burhan, ha inoltre sciolto le Rsf, che sono quindi diventati a tutti gli effetti un gruppo ribelle.
IGAD è un’organizzazione internazionale politico-commerciale formata dai paesi del Corno d’Africa, fondata nel 1986.
Paesi del Corno d’Africa – missione dal Kenya, Gibuti e Sud Sudan
Sul fronte della diplomazia, l’Autorità intergovernativa per lo sviluppo (Igad) si è dichiarata disponibile all’invio di una missione a Khartoum guidata dai presidenti di Kenya, Gibuti, e Sud Sudan per mediare tra le parti.
L’offerta è stata respinta da al-Burhan ( Saf ) , che ha dichiarato come non sussistano al momento le condizioni per garantire la sicurezza dei capi di Stato.
Il cosiddetto “Quad” (il quartetto formato da Regno Unito, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Usa che ha mediato l’accordo tra civili e militari di gennaio) ha condannato le ostilità e invitato ai negoziati.
Cina e Russia esprimono preoccupazione e auspicano una soluzione diplomatica.
Unione Africana ( — https://unipd-centrodirittiumani.it/it/spilli/Gli-Stati-membri-il-simbolo-e-linno-dellUA/181 ), Onu ed Unione Europea hanno espresso comunicati di condanna; la casa del rappresentante permanente dell’Ue e un convoglio diplomatico statunitense sono stati attaccati (i rispettivi diplomatici stanno bene).
Gli scontri di questi giorni rischiano di creare una crisi umanitaria e geopolitica di vaste proporzioni per una serie di fattori.
In primo luogo, quello puramente geografico: il Sudan è il terzo paese più esteso dell’Africa e ha una popolazione di 45 milioni.
Con il suo affaccio sul mare è un passaggio importante per il traffico dall’Oriente al Mediterraneo orientale attraverso il Canale di Suez;
ospita alcuni dei principali giacimenti d’oro del continente e ha un potenziale agricolo vastissimo su cui diversi investitori stranieri hanno messo gli occhi.
Il Sudan è inoltre al centro delle rotte migratorie che dal Corno d’Africa puntano all’Europa passando dalla Libia e occasionalmente dall’Egitto. Le ostilità sono iniziate in un contesto di siccità e crisi alimentare che rischia di aggravarsi.
Poi c’è il fattore etnico; in caso di stallo, i due generali potrebbero provare a trasformare una lotta di potere quasi personale in una battaglia identitaria, aprendo la strada a scontri più aspri.
Le violenze in corso in Sudan non hanno radici nella dicotomia tra civili e militari ma in un conflitto puramente interno alle forze di sicurezza.
Tutti i nodi politici della transizione verso la democrazia sono stati risolti, spesso rispettando le scadenze concordate dalle parti. Ogni volta che l’intesa tra civili e militari è stata in procinto di essere firmata, si è puntualmente arenata sulla “riforma delle Forze armate” che verte esclusivamente sullo status delle Rsf e sulla loro integrazione nell’esercito regolare.
ʿOmar Hasan Ahmad al-Bashīr ( 1944 ) è un militare e politicosudanese, per trent’anni presidente e dittatore del Sudan e capo del Partito del Congresso Nazionale ( mandato : 16 ottobre 1993 –11 aprile 2019 )
L’11 aprile 2019, dopo quattro mesi di massicce proteste popolari che ne invocavano la rimozione dal potere, i militari si schierano intorno al palazzo presidenziale e tramite un incruento colpo di Stato hanno destituito al-Bashīr
Non è improprio considerare al-Burhan ( Saf ) come il campione dei gattopardi sudanesi, cioè come colui che punta a una restaurazione soft del precedente regime di Omar al-Bashir, come evidenziato anche dal reinserimento di alcuni dei quadri dirigenti della vecchia presidenza nell’amministrazione.
CARTINA DEL DARFUR
Il Darfur è una delle 9 province storiche del Sudan, situata nella parte occidentale del Paese, nel deserto del Sahara. È in maggioranza abitato da popolazioni musulmane, come nel resto del nord della nazione. Qui si è consumato un genocidio silenzioso ( GUERRA DEL DARFUR / GENOCIDIO DEL DARFUR : 2003-22 febbraio 2020 )
CARTINA E NOTIZIE : https://genocididarfur.wordpress.com/2014/02/03/il-darfur-storia-di-un-genocidio-dimenticato/
Hemetti ( Rsf ) si presenta invece come il campione di tutti quegli attori informali – criminali compresi – che si sono arricchiti e legittimati nella guerra del Darfur, quando i comandanti dei paramilitari comandavano i Janjaweed (“cavalieri del diavolo” o “diavoli a cavallo” secondo le traduzioni più diffuse). Il lavoro svolto da queste milizie venne riconosciuto dal regime di al-Bashir; buona parte dei Janjaweed nel 2013 andò a formare le Rsf.
Entrambi questi schieramenti dispongono di potere militare ed economico ma di scarsa legittimità presso la popolazione, che li vede come sistemi cleptocratici facenti capo ai due generali.
Abdalla Hamdok ( 1956 ) è un economista, politico e funzionario sudanese, Primo ministro del Sudan dal 21 agosto 2019 al 25 ottobre 2021 e nuovamente dal 21 novembre 2021 al 2 gennaio 2022.
Percezione confermata dal colpo di Stato del 2021 contro il governo civile di Abdullah Hamdok ), “colpevole” di aver rimesso sul tavolo il tema della riforma delle Forze armate. Incapaci di domare le proteste e di fronteggiare la crisi economica e umanitaria, i due generali si sono impegnati in una sorta di operazione simpatia. Con scarso successo.
Al-Burhan ha voluto dimostrare la sua apertura a una transizione con i civili, mentre Hemetti chiedeva che non fossero inseriti in questa transizione i quadri del vecchio regime, bollati genericamente come “islamisti”. Di fronte allo stallo prolungato, il capo delle Rsf ha deciso di ricorrere alle armi, prevedendo probabilmente un supporto civile che non c’è stato.
Nella crisi sudanese non esistono dei manovratori occulti: quanto sta avvenendo è frutto delle scelte e dei calcoli di al-Burhan ed Hemetti.
Tuttavia, i movimenti degli stranieri hanno involontariamente preparato il campo. La strategicità del Sudan ha incentivato una serie di iniziative da parte di diversi attori non solo continentali che nel corso degli anni hanno appoggiato Hemetti o al-Burhan a seconda dei propri fini. L’Eritrea appoggia le Rsf ( Hemetti ), come faceva anche l’Etiopia fino a poco tempo fa, perché considerato più funzionale alla sua agenda.
Ciad e Repubblica Centrafricana guardano con favore al capo dei paramilitari (HEMETTI ) le cui forze pattugliano i confini con il Sudan e che avrebbero sventato un colpo di Stato ai danni del governo di Bangui pochi mesi fa.
L’Ue riconosce il Consiglio Sovrano ma integra le Rsf nelle strategie per il contenimento dei flussi migratori dal Corno d’Africa (in particolar modo per via della dislocazione delle milizie al confine tra Sudan e Libia).
Gli Stati Uniti, pur riluttanti a causa della sua vicinanza al regime di al-Bashir e del fu Hassan Turabi (entrambi protettori di al-Qaeda nei suoi primi giorni), appoggiano al-Burhan soprattutto perché vedono in Hemetti un uomo di Mosca.
Gli egiziani, in virtù dei rapporti storici con l’esercito del Sudan, appoggiano il Consiglio Sovrano ( al -Burham ) e hanno offerto i loro buoni uffici per la mediazione di un accordo con le opposizioni che garantisse de facto la permanenza dell’esercito al potere, con scarsi risultati.
Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti vogliono integrare il Sudan all’interno della loro sfera d’influenza sul Mar Rosso;
Abu Dhabi (Emirati Arabi Uniti ) è pronta a costruire un distretto commerciale di primo piano a nord di Port Sudan
PORT SUDAN
che dovrebbe garantire, oltre alle infrastrutture, la creazione di terreni agricoli che allevierebbero i rischi di sicurezza alimentare su entrambe le sponde del Mar Rosso.
Per garantire la riuscita dei loro progetti, gli Stati del Golfo hanno cercato di mantenere una certa equidistanza tra i due contendenti; hanno promesso ampi ricavi per tutti una volta varato un governo legittimo che includesse i civili e hanno donato fondi funzionali a prevenire il collasso economico del Sudan la scorsa primavera. Non a caso, con l’aggravarsi della crisi della transizione, sia Hemetti sia al-Burhan sono andati più volte negli Emirati a perorare le loro istanze.
Speranze analoghe sono nutrite dalla Russia, che ha progressivamente abbandonato la postura equilibrata assunta dopo la cacciata di al-Bashir per appoggiare Hemetti.
Dal 2019 Mosca ha aumentato l’addestramento dei paramilitari tramite la presenza del Gruppo Wagner e in concomitanza con l’invasione dell’Ucraina ha ampliato i propri investimenti nell’estrazione dell’oro del Sudan, oltre ad aver appoggiato la propaganda delle Rsf.
L’importanza di Hemetti per i russi è stata testimoniata dalla sua presenza a Mosca il giorno prima dell’invasione dell’Ucraina.
Quella visita ha finito per avvantaggiare al-Burhan, che ha avuto gioco facile nel presentarsi alle cancellerie occidentali come più vicino ai loro interessi.
Infine, la Cina ha mantenuto un atteggiamento bilanciato, sedendosi ad aspettare gli esiti della transizione e che dovrà affrontare un nuovo banco di prova per le sue iniziative in Corno d’Africa.
Quanto sta avvenendo in Sudan non si configura, per il momento, come guerra civile per un semplice motivo: i civili non stanno prendendo parte agli scontri, che vedono come un conflitto tra cleptocrati. Non percepiscono nessuno dei due capi come funzionale alle proprie aspirazioni. Il proseguimento del conflitto potrebbe anzi rappresentare la fine della ricerca di legittimità politica da parte di al-Burhan ed Hemetti. Il primo continuerebbe ad essere percepito come un figlio del vecchio regime, il secondo come il capo di un gruppo paracriminale, colpevole di aver portato le tattiche e la violenza tipiche Janjaweed del Darfur fin dentro la capitale.
Se però gli scontri non terminassero rapidamente, la popolazione potrebbe suo malgrado essere coinvolta.
In un contesto in cui le risorse fossero controllate dai due eserciti e l’accesso ad esse passasse solo attraverso una prova di appartenenza, la militanza anche armata rischierebbe di essere l’unica possibilità di sopravvivenza alternativa all’emigrazione e agli aiuti umanitari (che potrebbero essere bloccati).
Terribile questa situazione, dove le necessità primarie della popolazione non hanno nessuna voce in capitolo.