L’Ombra delle Parole
Rivista Letteraria Internazionale
POESIE SCELTE di Ernst Paul Klee a cura di Valerio Gaio Pedini traduzioni di Giorgio Manacorda e Ursula Bavaj
Nota critica di Valerio Gaio Pedini
Se la poetica di Picasso è un intruglio di colori e di sfumature, quella di Ernst Paul Klee, (Münchenbuchsee, 18 dicembre 1879 – Muralto, 29 giugno 1940), è l’opposto. Si può dire che la sua poesia, come la sua pittura, è acromatica, asettica, a-significativa; se la poesia di Picasso si forma in un luogo esterno, quella di Klee è sempre più interna, in una formazione «foucaultiana» del soggetto.
Possiamo dunque presentare l’opera di Klee, dicendo che si incornicia in qualcosa che è ben privo di cornice, un foglio bianco o nero, un chiaroscuro del significante, una dimensione protozoica della poesia in chiave generativa, in cui l’evoluzione della poesia sta nel renderla più netta possibile, più infantilistica e in una visione riduttiva del verso, dove la terminologia viene ridotta a soggetto, verbo e complemento, senza la presenta di attributi, che darebbero un impressione troppo artefatta all’opera, troppo sofistica: più le sfumature sono ridotte, più le immagini sono distinte e più distinta è la personalità del poeta.
Klee poeta, ergo è poeta proprio nella dimensione del suo disegno: il suo disegno è il suo segno e viceversa. Ed è generatore d’arte proprio nella dimensione di se stesso, in una privazione carnale e passionale, verso ad una meta del tutto metafisica ed astratta: l’opposto, ergo, come ho già potuto constatare, di Picasso, poiché come sostiene Greenberg nel Saggio Su Klee: “Picasso vede il quadro come un muro, Klee come una pagina”. Se il primo aveva una concezione rinascimentale dell’arte come riempimento di uno spazio, il secondo aveva una concezione dell’arte, oserei dire, «proto orientale» di svuotamento dello spazio, di risalto dell’acromatismo, che delinea un colore a sé stante, una fusione semiotica tra linguaggio ed immagine.
Ed in tutto questo, il ritrovarsi in sé medesimo nella figura contrastante di Dio: un Prometeo condannato a se stesso, si profila una polemica adorativa, lasciata in una sospensione genetica, in cui l’adorazione è dovuta, ma il rifiuto d’essa fa da cornice contrastante:
(…)
Per i dolori di molti e per i miei
io ti giudico,
per ciò che non hai fatto.
Ti giudica
il tuo figlio migliore,
il tuo spirito più audace,
a te affine eppure
tanto da te diverso.
Ma se la genesi di Klee è acromatica e il colore è soggetto e predicato, in un caso diviene attributo: ed il verde diviene colore della natura, colore materno ed astratto, fisico e metafisico e nell’assunto di questo croma universale un nome s’impasta dinanzi agli occhi: Eveline.
Facile da desumere che la donna sia la figura più similare a Dio, e quindi al cosmo e alla terra, basti pensare alle svariate supposizioni mitiche e antropologiche che la vedono raffigurata come cardine sociale, o basti vedere le famose madri della fertilità neolitiche. Ma, senza andare così lontano nel tempo, la donna in una concezione metafisica, con il dolce stilnovo diviene una fonte di beatitudine, di congiungimento con Dio, un’immagine creatrice. E tornando indietro alla storica greca, la creazione artistica è delle muse, divinità femminili. Ducis in fundo, quell’Eveline astratta, quella donna metafisica, incarna il cosmo e diviene arte: da genesi a genesi. Per questo:
.
Eveline è un sogno verde fra gli alberi, il
sogno di un bambino nudo nella campagna.
Poi mi fu negato di essere felice, quando
arrivai fra gli uomini per non lasciarli più
Una volta mi sono liberato dalla violenza del dolore
e sono fuggito nei campi assolati, abbandonato
al rovente declivio. E ritrovai Eveline, matura
ma non invecchiata. Solo spossata dall’estate
Adesso lo so. Ma lo intuivo solo quando cantavo.
Siate teneri con i miei doni. Non spaventate
la nudità che cerca sonno.
La poesia di Klee assume un moto circolare, che si conchiude da dove inizia e continua in un flusso genetico. È importante e decisivo capire che in Klee vi è un insieme semiologico, tra musicalità, iconismo e letteratura e tutto si traduce nel segno: l’arte diviene una linea, poiché così come un colore può descrivere una scena, una linea la può generare e chiudere.
Ed è strano che sia proprio questa la tendenza del maestro espressionista, è un paradosso che il colore, la sfumatura, l’aggettivo si riduca a verbo, a sostantivo, a vuoto, a chiaroscuro: è un’inversione: se, in altri espressionisti il colore generava il soggetto, con Klee è il soggetto a generare il colore, in una dimensione puramente simbolica. Di contro però si può dire che da qui parte una poetica dell’Io che caratterizzerà tutto il Novecento: dall’ermetismo dell’io sociale, al minimalismo dell’io artistico, fino a chiudersi progressivamente in una disintegrazione dell’io, che diverrà successivamente la chiave del nuovo io anti-individualistico ed anti-sociale.
.
(Poesie tratte da Poesie di Paul Klee, a cura di Giorgio Manacorda, traduzioni di Giorgio Manacorda e Ursula Bavaj; Abscondita; carte d’artisti)
1915
Dal sottosuolo
sorge la mia stella
dove abita d’inverno la mia volpe?
dove dorme il mio serpente?
.
LINGUA IRRAZIONALE
-E la ragione se ne andò
nella corrente del vino-
1
Una buona pescata è una grande consolazione.
2
L’abiezione cerca anche quest’anno
di scivolarmi dentro.
3
Io devo essere salvato.
Attraverso il successo?
4
Ha occhi o cammina nel sonno
l’ispirazione?
5
Si piegano talvolta per pregare
le mie mani. Ma il ventre
poco sotto digerisce
e il rene filtra l’urina chiara.
6
Amare la musica soprattutto
significa essere infelici.
7
Dodici pesci,
dodici assassini.
(1901)
.
ASINO
il raglio risuona e mi strazia
udite udite che grazia!
Quando tacque l’usignolo
notevole fu il nulla solo.
Cresce sola e isolata
la pianta d’avorio abbandonata.
Pensieri e pensieri si scambia il mare
non c’è più nulla da afferrare.
C’era una volta una cosa
ha chiesto: cosa
contava qualcosa?
da no a niente
nessun ente
comunque oplà
il senso eccolo qua
entrò l’apparenza
dentro la verità
e divenne possibilità.
UNA SIMILITUDINE
Il sole cova vapori;
i vapori si levano
e combattono contro di lui.
(1899)
.
AD EVELINE
Ti ho promesso di essere
un uomo onesto. Io voglio
sopportare il tuo sguardo. Devo
inginocchiarmi davanti a Dio.
Poi Eveline salvami tu!
Perché non ho nessuno!
Giocavo col veleno
e mi sono avvelenato,
perché ho voluto chiamarmi fuori?
Ma in fondo tenevo troppo
al bene. Maledetta
colpa, forse è maggiore
di quanto pensassi.
Dimenticare lei con te!
Ma prima, se puoi,
mi dovresti perdonare.
Ti saluto in lontananza.
.
ANEDDOTI VERI
Uno
cui nel più grande dolore
cresca una dentatura da belva.
Deve essere una sorta di naufragio,
quando da vecchi
ancora ci si arrabbia per qualcosa.
. (1905)
***
Ridurre!
Vogliamo dire qualcosa
in più della natura e si fa
l’incredibile errore di volerlo dire
con più mezzi invece
che con meno strumenti.
La luce e le forme razionali
sono in lotta, la luce
le mette in movimento,piega
angoli retti,
curva parallele,
costringe i cerchi dentro gli intervalli,
rende l’intervallo attivo.
Da tutto questo l’inesauribile
diversità.
. (1908)
La creazione vive
come genesi
sotto la superficie visibile
dell’opera.
A ritroso la vedono
tutti gli intellettuali.
Avanti- nel futuro-
solamente gli artisti.
.
EPIGONO
In me scorre il sangue di un tempo migliore.
Sonnambulo del presente
dipendo da una vecchia patria,
dalla tomba della mia patria.
La terra inghiotte tutto
e il sole del sud non lenisce i miei dolori.
(1902)
QUASI UN PROMETEO
Eccomi davanti a te, Giove,
perché ne ho la forza.
Tu mi hai eletto e questo
mi obbliga a te. Sono
saggio abbastanza da pensarti
ovunque, e non cerco
il potente ma il dio buono.
Sento la tua voce dalle nubi:
tu ti tormenti, Prometeo.
Da sempre il tormento è il mio destino
perché sono nato per amare.
Spesso chiedendo e pregando
ho guardato a te: ma invano!
Batta dunque alla tua porta
La grandezza del mio scherno!
E se non basto io,
ti lascio con la tua superbia.
Tu sei grande, è grande
la tua opera. Ma
solo grande all’inizio,
incompiuta.
Un frammento.
Compila!
Allora griderò l’evviva!
Viva lo spazio, la legge
che lo attraversa e misura.
Ma non griderò l’evviva.
Approverò soltanto
l’uomo che lotta.
E il più grande sono io
che lotto con la divinità.
Per i dolori di molti e per i miei
io ti giudico,
per ciò che non hai fatto.
Ti giudica il tuo figlio migliore,
il tuo spirito più audace,
a te affine eppure
tanto da te diverso.
(1901)
.
GUARDANDO UN ALBERO
Gli uccellini sono da invidiare,
evitano
di pensare al tronco e alle radici
beati si dondolano tutto il giorno,
loro che sono leggeri
cantando sull’orlo dei rami.
(1902)
Con fiori, io uomo bambino,
voglio incoronare il tuo pallido viso.
Sulle bianche pareti si legge
Che i crisantemi sono vicini.
Le tue fredde labbra hanno bisogno di una lieve febbre,
forse un bacio le difende dall’arsura.
Come sei bella ora, i tuoi colori,
sono solo apparenza di colori.
I miei occhi voraci volevano
raccogliere nuovi fantasmi.
Se morirò brilleranno molli
due fiori notturni nel crepuscolo.
Ai tuoi occhi dolcemente cerchiati
dirò ich glaube e crederò
quel che vedo morendo.
(1902)
Trovo bellissime e “comprensibili” le poesie di Paul Klee, come i suoi quadri.