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Otto Dix. La vita e le opere del maestro della Neue Sachlichkeit
Otto Dix: biografia, stile e opere del pittore degenerato, maestro della Nuova Oggettività tedesca
Otto Dix (Gera, 1891 – Singe, 1969) fu un pittore di spicco della Nuova Oggettività (Neue Sachlichkeit), un’avanguardia artistica che nacque nel primo Dopoguerra in Germania e che durò fino agli anni della Repubblica Weimar con l’avvento del nazismo. Le influenze del movimento furono molteplici: gli artisti della Neue Sachlichkeit si ispirarono principalmente al neoclassicismo, al realismo, all’espressionismo, al surrealismo e al dadaismo. La pittura, all’interno del gruppo, si divise in due grandi categorie: da una parte vi fu un ramo verista, in cui i soggetti delle opere vennero rappresentati sotto un punto di vista critico e oggettivo, mentre in contrapposizione vi fu una corrente più legata alla classicità, dove spesso i soggetti delle opere erano paesaggi, ritratti e nature morte. Otto dix prese parte alla corrente realista, incentrando i suoi dipinti su tematiche dure e crude.
A causa delle sue tematiche spesso legate al tema della guerra, con l’avvento del nazismo Otto Dix fu considerato un pittore “degenerato”. Le sue opere vennero considerate offensive verso soldati e verso lo stato. Il regime nazista confiscò, durante la sua ascesa, numerose opere ritenute offensive verso la Germania e verso il nuovo regime, sottraendole ai musei nazionali. Dopo il sequestro di circa 5.238 opere in sole due settimane, nel 1937 fu organizzata una mostra d’arte degenerata presso l’Istituto di Archeologia nell’Hofgarten (Monaco di Baviera) con l’obiettivo di mettere in risalto la decadenza e la pazzia dei pittori esposti denigrandoli e deridendoli (leggi qui un approfondimento sulla cosiddetta arte degenerata sotto il regime nazista).
La mostra ospitò circa 650 opere di pittori come: Paul Klee, Pablo Picasso, Piet Mondrian, Vasilij Kandinskij, Marc Chagall e lo stesso Otto Dix. Venne curata nei minimi particolari e le opere furono disposte in diverse sale in un ordine ben preciso, opere offensive per la religione,, opere dipinte da artisti ebrei, opere raffiguranti donne, soldati o contadini dipinti in una maniera irrispettosa secondo i criteri del regime (in quest’ultima categoria erano inserite anche le opere di Otto Dix). A fine esposizione la maggior parte dei dipinti furono bruciati mentre la restante parte fu venduta per pochi soldi.
Otto Dix, Autoritratto con garofano (1912; olio su carta montato su tavola, 73,7 x 49,5 cm; Detroit, Detroit Institute of Arts) |
Biografia di Otto Dix
Otto Dix Nacque il 2 dicembre 1891 a Gera, in Turingia, da una famiglia di umili origini. All’età di diciannove anni entrò a far parte della Scuola d’Arti Decorative di Dresda e subito dopo, nel 1909, si iscrisse all’Accademia di Belle Arti (HfBK) dove si specializzò in pittura ritrattistica. La sua curiosità lo portò presto a visitare numerose mostre, in particolare, nel 1912 ebbe l’opportunità di assistere ad una mostra di Vincent van Gogh rimanendone positivamente impressionato. Con lo scoppio della prima guerra mondiale, decise di arruolarsi come volontario nell’esercito tedesco combattendo in Russia, Polonia, Francia e nelle campagne delle Fiandre. Nonostante l’iniziale entusiasmo tornò dalla guerra molto provato e traumatizzato. Espresse fortemente il dolore provato in guerra nei suoi disegni, e fu proprio in questo periodo che eseguì schizzi inerenti al mondo bellico, producendo opere quali Invalidi di guerra giocano a carte (1920) e la serie composta da cinquanta acqueforti La Guerra (1924).
Tornato in patria nel 1919 aderì al movimento espressionista denominato Nuova Secessione di Dresda (Dresdner Sezession) e diventò assistente alla Akademie Der Bildenden Künste di Dresda. Insieme a George Grosz, Rudolf Schlichter e a John Heartfield fondò il gruppo dadaista tedesco, organizzando la prima fiera internazionale dadaista a Berlino nel 1920. Nel 1922 si stabilì a Dusseldorf dove si avvicinò ad uno stile pittorico legato al realismo, da questo momento in poi i soggetti dei suoi dipinti assunsero un alto valore simbolico. L’anno dopo, nel 1923, sposò Martha Koch, allora moglie di Hans Koch, dottore e collezionista d’arte. Questi anni furono i più prolifici della vita del pittore, nel 1923 dipinse La trincea (1920-23), una delle sue opere più significative, che mise in risalto il suo stile crudo e violento. Il dipinto, dopo che fu acquistato ed esposto nel Museo di Colonia, gli venne restituito in seguito ai commenti negativi e impressionati della critica e del pubblico. Nel 1925 a Mannheim partecipò alla mostra del nuovo movimento e nel 1927 venne invece assunto per insegnare all’Accademia di Dresda. Durante il suo periodo all’Università di Dresda dipinse una delle sue opere più famose: La Grande Città (1927-1928), noto anche come Metropoli, trittico dove denunciò attraverso un contrasto volutamente accentuato il degrado morale della società di quegli anni.
Nel 1931 venne eletto membro dell’Accademia prussiana delle arti. Poco dopo, nel 1933, Hitler prese il potere e le opere di Otto Dix vennero rimosse dai musei: la sua arte da questo momento in poi per i nazisti venne considerata “degenerata”, gli fu imposto di non esporre più e le sue opere vennero sequestrate e bruciate. Di conseguenza, fu anche destituito da ogni suo incarico pubblico come quello all’Università di Dresda. Inizialmente continuò a dipingere e a ritrarre temi sociali da una forte valenza critica come la critica al regime nazionalsocialista nascondendo e mascherando il tutto dall’uso di simboli e allegorie tipici del cristianesimo. Fu proprio in questo periodo che dipinse il Trionfo della morte (1934). Poco dopo la presa del potere da parte dei nazisti, l’artista si trasferì sul lago di Costanza dove ritornò a esprimersi in uno stile classico realizzando temi di paesaggio o ritratti, abbandonò così temi sociali rifacendosi ad artisti rinascimentali. Nel 1945 venne catturato dai nazisti che lo accusarono di aver partecipato all’attentato ad Hitler, e fu rilasciato l’anno seguente. Con la caduta del regime nazista riprese temi legati alla guerra in cui riscosse particolare successo venendo nominato nel 1955 membro dell’Akademie der Künste a Berlino. Lo stesso anno partecipò alla prima edizione di Documenta a Kassel. Morì il 25 luglio 1969 a Singen, in Germania.
Otto Dix, Invalidi di guerra giocano a carte (1920; olio e collage su tela, 110 x 87 cm; Berlino, Neue Nationalgalerie) |
Otto Dix, Trittico della Metropoli (1927-1928; tecnica mista su tavola, 181 x 402 cm; Stoccarda, Kunstmuseum) |
Stile pittorico e opere principali di Otto Dix
Conosciuto soprattutto per certi temi che trattò nella sua arte, da alcuni considerati scandalosi, come la prostituzione o la violenza della guerra, Otto Dix fu uno dei pittori più influenti della Nuova Oggettività tedesca. In tutti i suoi quadri raffigurò sempre la dura verità assumendo uno sguardo oggettivo e realista. I suoi dipinti divennero così testimonianze di dolore e obiettività. Oltre alla denuncia verso gli orrori della guerra fece trasparire anche la denuncia verso la società tedesca che visse la guerra in modo passivo, al contrario di lui che rimase fortemente traumatizzato. In questo periodo post-bellico dipinse alcune opere come Il venditore di fiammiferi (1921) dove rappresentò un vecchio signore seduto su un marciapiede della città di Dresda mentre le persone intorno, rappresentate in abiti tipicamente borghesi, gli passano affianco evitandolo e non considerandolo. L’enfatizzazione della sua denuncia sociale emerge anche dal dipinto Invalidi di guerra che giocano a carte (1920) dove rappresentò tre uomini mutilati entusiasti e divertiti a mentre giocano a carte davanti ad un tavolo da gioco. Le persone mutilate rappresentarono nell’arte di Otto Dix il simbolo della crudeltà della guerra: furono i soggetti più ricorrenti di tutta la sua pittura di quegli anni. Altri mutilati, infatti, vennero rappresentati nel quadro Via Praga (1921) dove un ex soldato privo di arti, somigliante ad un manichino per via delle due gambe e del braccio sinistro in legno, viene tenuto alla larga dai passanti.
Dal suo ritorno da Berlino, nel 1927, e con il suo successivo trasferimento a Dresda per motivi di lavoro, la pittura di Otto Dix abbandonò la tematica della guerra soffermandosi invece su argomenti più legati alle classi sociali, cominciò dunque qui a produrre ritratti della borghesia tedesca. In questi anni dipinse Il ritratto di Sylvia Von Harden, uno dei dipinti più noti della sua carriera artistica. La donna ritratta, Sylvia Von Harden, fu una giovane poetessa rappresentante di una nuova idea di borghesia e slegata da ogni stereotipo di bellezza diventando così la perfetta musa per il pittore. Otto Dix ritrasse la donna per come la vedeva: gambe corte, naso appuntito, mani grande e con sguardo assente e severo. La scena si svolge attorno ad un tavolo del Café Romain, tra i luoghi preferiti e più frequentati dal pittore. Il colore predominante, il rosa, rappresenta il colore delle pareti, il colore dei fiammiferi e il colore del vestito della donna.
Nel Trittico della Metropoli (1927-28), come suo solito, Otto Dix attuò un’aspra critica verso i costumi berlinesi del periodo della Repubblica di Weimar. Il quadro è un trittico dove si può notare una certa ispirazione e un richiamo al mondo dell’arte medievale. Suddivise così il tre pannelli: al centro posizionò il più grande dove raffigurò l’interno di un locale dove le persone ballano e si divertono in abiti eccentrici di lusso; nel pannello di sinistra raffigurò uno scenario povero e triste dove compaiono prostitute e due uomini di cui uno mutilato e uno ubriaco sdraiato a terra; nel terzo e ultimo pannello, quello di destra, rappresentò infine una serie di donne in abiti da sera di lusso che passano di fianco ad un mutilato sempre senza prestarci l’attenzione. In tutti i pannelli i soggetti principali sono prevalentemente figure femminili che in ogni sezione del dipinto ci dànno informazioni sui diversi status sociali rappresentati nel trittico. Il livello sociale raggiunge il massimo grado nel pannello centrale dove sono presenti sfarzo e lusso. Il pannello di destra rappresenta una classe medio-basse mentre il pannello di sinistra ritrae uno status sociale bassissimo.
L’impostazione formale della pala d’altare venne ripresa anche nel Trittico della Guerra (1928) dove provocatoriamente Otto Dix rappresentò scene di guerra al posto di figure religiose. Oltre a provocare molte morti, la guerra portò con sé anche il decadimento morale della società: la miseria diventò qualcosa di ordinario e normale. In questa pala d’altare, l’artista dipinse ed esaltò tutta la devastazione che può causare la guerra, raffigurando così una serie di figure di corpi bombardati e smembrati in un paesaggio paludoso e deserto. Il soldato della pannello centrali e i diversi soldati del pannello di sinistra vennero rappresentati come gli unici sopravvissuti in uno scenario di morte e violenza.
Con la salita al potere del nazismo, Otto Dix abbandonò la rappresentazione cruda e violenta per passare ad un esilio interiore che portò la sua pittura ad un cambiamento radicale. Tra gli ultimi quadri provocatori vi furono I sette peccati capitali (1933), dipinto che realizzò dopo esser stato costretto a lasciare l’insegnamento all’Accademia d’arte di Dresda, caricato da un intenso simbolismo. In primo piano il pittore raffigura una strega (avarizia) mentre porta in braccio l’invidia che sembra assomigliare a Hitler, alle sue spalle vi è uno scheletro che tiene a se una falce rappresentando simbolicamente l’accidia, dietro di se sta una donna con il seno scoperto che rappresenta la lussuria, a seguire vi è la gola data da un uomo rappresentato con il viso dentro una pentola, vicino a lui si trova la superbia data da una figura che rimette escrementi, alla sua destra vi è invece l’ira simboleggiata da una figura animale piena d’odio.
Nell’ultimo periodo della sua vita, Otto Dix si ispirò soprattutto a pittori classici e rinascimentali dimostrando che l’innovazione artistica non sta nella creazione di un nuovo stile pittorico ma perlopiù nella rappresentazione di nuove tematiche e soggetti. Nel 1927 scrisse: “Una parola d’ordine ha ispirato negli ultimi anni un’intera generazione di artisti: ‘Creare nuove forme espressive’. Dubito che sia possibile. E se vi fermate davanti ai quadri degli antichi maestri o vi sprofondate nello studio di nuove creazioni mi darete certamente ragione. La novità in pittura, secondo me, consiste nell’allargare la scelta dei soggetti, sviluppando le forme espressive già adottate dai maestri antichi”.
Dove vedere le opere di Otto Dix
Nonostante molte opere siano andate perse o bruciate durante il periodo nazista se ne possono ammirare altrettante presso numerose istituzioni mondiali. I musei tedeschi conservano diverse opere di Otto Dix: i suoi capolavori si ammirano alla Nationalgalerie di Berlino, alla Galerie Neue Meister di Dresda, alla Staatsgalerie di Stoccarda, alla Kunsthalle di Karlsruhe, al Museum Folkwang di Essen. A Gera è possibile visitare anche la Otto-Dix-Haus, la casa dove l’artista trascorse i primi anni della sua vita, oggi diventata un museo. In Italia, la GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino opita il dipinto (Der) Matrose Fritz Müller aus Pieschen (1919). Altri dipinti, principalmente ritratti, sono esposti nei principali musei del mondo come: il MoMA di New York, il Detroit Institute of Arts (dove si trova il celeberrimo Autoritratto con garofano il Metropolitan Museum of Art a New York, il Centre Pompidou di Parigi.
Otto Dix, Il venditore di fiammiferi (1920; olio e collage su tela, 141,5 x 166 cm; Stoccarda, Staatsgalerie) |
Otto Dix, Ritratto di Sylvia von Harden (1926; olio e tempera su tavola, 121 x 89 cm; Parigi, Centre Pompidou) |
Otto Dix, Trittico della Guerra (1929-1932; olio su tela, pannello centrale 204 x 204 cm, panelli laterali 204 x 102 cm; Dresda, Galerie Neue Meister) |
Otto Dix, I sette peccati capitali (1933; olio su tela; Karlsruhe, Staatliche Kunsthalle) |
E’ attualissimo il messaggio di questi meravigliosi quadri di Otto Dix contro il mostro della guerra.