LORENZO GIARELLI, Ricciardi: “Basta liberismo: ma la destra del Pd non vuole cambiare” – IL FATTO QUOTIDIANO DEL 7 DICEMBRE 2022

 

 

IL FATTO QUOTIDIANO DEL 7 DICEMBRE 2022
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Ricciardi: “Basta liberismo: ma la destra del Pd non vuole cambiare”

 

DIRETTORE DELLA RIVISTA “IL MULINO” – “Una sintesi tra Bonaccini e Schlein, ma non si torni alla ricetta di Blair di 30 anni fa”

 

Ancor prima di scegliere il leader, il Pd deve sopravvivere al suo congresso. “C’è un problema esistenziale – sostiene Mario Ricciardi, docente di Filosofia del diritto a Milano e direttore della rivista Il Mulino – che riguarda la sua unità”. Diviso tra presunti “illuminati” che se la prendono coi “comunisti”, il partito ha l’arduo compito di trovare una sintesi, “purché non sia la stessa ricetta di 30 anni fa”.Professor Ricciardi, il Pd vuole ripartire da un nuovo manifesto dei valori. Eppure la prima riunione degli 87 “saggi” è andata malissimo, divisa tra la sinistra anti-liberista e i cosiddetti “riformisti”. Il Pd può ancora ambire a tenere insieme le sue anime?Siamo a un nodo fondamentale. Se andasse male quello che Enrico Letta ha presentato come un processo costituente, si porrebbe un problema esistenziale per il Pd, un problema che riguarda la sua unità. Si avvierebbe una spirale di crisi difficilmente recuperabile. L’unico modo per uscirne sarebbe una sintesi, che però non potrà certo essere ancora, dopo 30 anni, la terza via blairiana.

Ma la corrente “laburista”, cioè gli ex renziani, non vuole derive a sinistra. Da qui la difficoltà a trovare quella sintesi.

Mi pare che la destra del partito, che adesso appunto si presenta come laburista, stia cercando di ostacolare un processo costituente che, in quanto tale, deve presupporre un cambio radicale rispetto al passato. Altrimenti si stabilisce che andava tutto bene e si mantiene la stessa impostazione pensata negli anni 90: ci sarebbe da ridere, se non ci fosse da disperarsi.

 

Il Manifesto del Pd dunque dovrebbe ripartire dalla critica al neo-liberismo abbracciato, in vario modo, dal 2007?

I laburisti danno per scontato che una certa formazione del partito, costruita in un momento in cui quella idea del progressismo era egemone e sembrava trionfante, debba essere mantenuta. Mi pare che le parti del vecchio manifesto contestate, tra gli altri, da Orlando e Provenzano, siano state oggetto di una riflessione che ha portato giustamente a una auto-critica. Non parliamo di persone che si sono svegliate da un giorno all’altro e hanno abbandonato quell’idea. Già nel 2019 Provenzano scrisse un testo sul Mulino, insieme a Emanuele Felice, per denunciare i limiti del neo-liberalismo. C’è stato un processo di maturazione politica di quest’area.

Pietro Ichino, in sintesi, sostiene che il vecchio manifesto non si sia potuto realizzare a causa delle tensioni interne al partito.

La colpa è sempre degli altri. Sembra che le riforme attuate negli anni non siano riuscite perché c’era un complotto da parte della sinistra del Pd, senza la quale le cose sarebbero andate benissimo. Si omette di dire che nel frattempo ci sono state la crisi finanziaria del 2008, la pandemia, la guerra, oltre a contributi di economisti e politologi che dovrebbero obbligare a ridiscutere i capisaldi di quelle politiche. Così è stato fatto nella sinistra di diversi Paesi occidentali, qui invece ci si limita alla storiella di cortile tra illuminati e comunisti.

Sarà una sfida tra Schlein e Bonaccini? O la sinistra avrà un altro candidato?

Ho l’impressione che la cosa più realistica, per la sinistra, sia il sostegno a Schlein, pur sapendo di correre il rischio di perdere, avendo lei meno radici all’interno del partito. Anche per questo però può essere l’occasione per fare una bella battaglia. In fondo una delle migliori stagioni per il centrosinistra è stata quella con Prodi, che a sua volta non era un uomo di partito, ma è diventato leader grazie al suo consenso. Quella di Schlein è una corsa in salita, ma magari si facessero più spesso battaglie anche solo per portare avanti un’idea di politica di sinistra rinnovata. Andare su un altro nome dividerebbe un fronte che è meglio mantenere unito.

Bonaccini può rappresentare una discontinuità con la linea neo-liberista?

A priori, direi che Schlein incarna meglio questa discontinuità, ma non è detto che Bonaccini non abbia la forza per farlo. Certo, deve guardarsi bene da quel sostegno molto interessato dei “riformisti”. La sua vittoria avrebbe un respiro solo se nel segno dell’innovazione rispetto alla lunga stagione precedente. E non voglio escludere in partenza che possa essere così.

 

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