REPUBBLICA DEL 10 NOVEMBRE 2022 – p. 37
https://www.repubblica.it/cultura/2022/11/09/news/libri_joseph_conrad_migranti-373777426/
Chi è straniero
foto TVZoom
di Gabriele Romagnoli, (Bologna, 1960),
giornalista, scrittore e sceneggiatore italiano.
https://it.wikipedia.org/wiki/Gabriele_Romagnoli
Joseph Conrad (1857-1924)
Torna in libreria, con l’introduzione di Hisham Matar, “Amy Foster” romanzo sui migranti di Joseph Conrad. E l’intolleranza che porta a respingerli è sempre la stessa
Joseph Conrad (1857-1924) vide la nave dei migranti. La vide capovolgersi all’alba, poi il relitto si spostò e liberò alcuni cadaveri. Sulla spiaggia arrivò una bambina, piccola bionda, con un abitino rosso. Poi “si videro sagome scure dalle gambe nude tra le capriole della schiuma, e uomini rudi, donne dai volti chiusi venivano intanto trasportati rigidi e grondanti su barelle, stuoie, scale a pioli in lunga processione, per essere composti in fila sotto la parete nord della chiesa”. Se ne salvò uno solo, un naufrago venuto da lontano. E non morì per la fame, né per una violenza, ma per il sospetto e la paura che generava negli altri, anche nei più istruiti, perfino nei più buoni, ai quali tuttavia causava “il terrore di un’estraneità indecifrabile”.
Appena ripubblicata da Einaudi Amy Foster è una novella conradiana di assoluta attualità, che tutti i parlamentari italiani, quelli che strillano contro l’invasione e quelli che si mostrano tolleranti, dovrebbero leggere. In fondo, sono appena 55 pagine, più dieci dell’illuminante introduzione di Hisham Matar.
HISHAM MATAR ( New York, 1970 ), nel ’73 la famiglia andò in Libia a Tripoli, nel ’79 a causa delle persecuzioni del regime contro il padre capo dell’opposizione, la famiglia va in esilio al Cairo, da cui nell’ ’86 infine si rifugiò a Londra dove conseguì la laurea in architettura.
segue :
https://it.wikipedia.org/wiki/Hisham_Matar
Entrambi, autore e prefatore, hanno la migrazione nel destino. Conrad nacque nell’attuale Ucraina, allora regno di Polonia. Se ne andò per mare da giovane, ci rimase per vent’anni, poi si stabilì in Inghilterra, nella cui lingua, sua terza, (piccandosi di renderla alta e ostica) scrisse.
Matar è nato negli Stati Uniti, da famiglia libica e ha fatto la spola tra New York e Tripoli. Entrambi hanno avuto il padre dissidente di un regime e per questo perseguitato. Nel guardare la marea sanno quel che sulla costa riverserà. Nell’osservare gli uomini intuiscono quel che penseranno. Amy Foster e la sua introduzione ne sono una dimostrazione.
Potrebbe avvenire oggi. Un uomo di nome Yalko lascia il suo villaggio nei Carpazi e la sua troppo numerosa famiglia per andare a cercare la garantita fortuna in America, dove si ricevono paghe da sogno e si raccoglie l’oro da terra. Mancano soltanto la televisione con gli sgargianti spettacoli di varietà e l’insegna del cinema sulla collina. Per pagare il suo biglietto a una banda di truffatori il padre vende animali e terra agli usurai. In cambio il figlio riceve alloggio in una cassa in stiva da cui non vedrà mai il mare finché la carretta speronata non ci affonderà. Un destino che si ripete nei secoli. Sospinto a riva, coperto di fango, lo straniero viene scambiato per un animale, un alieno, un pazzo. Frustato dall’uomo a cavallo che cerca di fermare per chiedere soccorso, preso a sassate dai bambini dei quali implorava la compassione. Lui che viene da “un paese dove anche chi non dava elemosine era gentile con i mendicanti”. Anche una volta ripulito, messo al lavoro nei campi, anche dopo che si sia dimostrato un simile, non lo diventa. Perché? L’ostacolo principale è la lingua, sono le parole che mette nelle frasi e perfino nelle canzoni. Quelle parole sono il suo unico patrimonio, disfatto il fagotto che si era portato da casa. Sono famiglia, tradizione, patria. Al tempo stesso indicano il confine, alzano quel muro di “estraneità indecifrabile” che genera il terrore. Non comprendere significa, troppo spesso, fraintendere. I gesti sono univoci, significanti. Un uomo che prega è un uomo che prega, quale che sia la sua religione. Sì, ma per che cosa starà pregando? Quale grazia o disgrazia invoca al suo dio? Perché non si adegua? Perché quando anche abbia imparato la lingua del posto si rifugia come in un abbraccio nelle sue vecchie ballate? Perché vuole tramandare a suo figlio, in forma di linguaggio, quel mondo sconosciuto? Come si permette? Che cosa gli starà davvero insegnando con quel codice Enigma che è ogni vocabolario straniero?
Davanti ai cancelli chiusi di questi interrogativi si ferma la mente di chi non vuole conoscere. Oltre, va il cuore. Ma dove può arrivare? Questa è la forza della novella di Conrad. Come annota Matar, il titolo non è il nome del protagonista, Yanko Goorall, ma quello di Amy Foster. La ragazza, sempliciotta e bruttina, è la sola ad avere un gesto di solidarietà con il naufrago: gli porta un pezzo di pane “del tipo che al suo paese mangiavano i ricchi”. Lui la vede angelicata. Lei vede una possibilità. Si innamorano, per come ne sono capaci. Si sposano e hanno un figlio. Perché allora, anche lei poi lo respinge, ne rifugge, lo rende di nuovo quel fantasma ignoto e pericoloso sputato dal mare? È ancora la lingua, la madre di tutte le incomprensioni e gli equivoci. Basta non sottomettersi per una volta soltanto alla comunanza stabilita per tornare diversi e lontani.
Ma come? Non era lei l’alfiere della tolleranza? Qui soccorre Matar ricordandoci che “tolleranza” è un attributo positivo, “ma chi di noi vorrebbe essere tollerato?”. Quanta sufficienza e disparità in una parola considerata benevola. Che cosa si chiede, quando senza barriere si incontra l’altro: tolleranza o piuttosto rispetto? Come si supera la paura? Conrad afferma che la compassione si basa sulla capacità di immaginare l’altro. È questo il suo messaggio in bottiglia che il mare ha portato a noi attraverso i secoli. Non sarà neppure la conoscenza a renderci migliori, non sarà sapere dove sono i confini, quali le usanze, non aver attraversato i villaggi dell’Egitto, i deserti dello Yemen, abitato nelle repubbliche baltiche. Si parla spesso di “slancio di fede”. Occorre allora uno “slancio d’immaginazione” (la ragione non basta) per accettare, più ancora che capire, le vite che non sono la nostra.
Il libro – Amy Foster di Joseph Conrad (Einaudi, traduzione di Susanna Basso, Anna Nadotti, pagg. 72, euro 12)
«Mrs Smith le dava della svergognata sgualdrina. Lei non ribatteva. Non diceva niente a nessuno, e proseguiva per la sua strada come se fosse sorda. Credo che in tutta la zona soltanto lei e io riuscissimo a vedere la sua autentica bellezza. Era un uomo stupendo, molto elegante nel portamento, con un che di selvatico nel fisico, come una creatura dei boschi».
Possiamo leggere Amy Foster come l’elogio che Conrad fa dell’incertezza, della vasta inconoscibilità dell’anima umana privata dei suoi ormeggi.
dal saggio introduttivo di Hisham Matar
tradotto da Anna Nadotti
Il libro
JOSEPH CONRAD
Il fisico teorico Brian Greene sostiene che, dal punto di vista dell’evoluzione, la narrazione di storie «si guadagna da vivere» perché è come un «simulatore di volo»: «le storie forniscono universi inventati nei quali seguiamo passo passo personaggi le cui esperienze superano di gran lunga le nostre». Amy Foster, racconto di terra e di mare, una delle opere brevi migliori di Joseph Conrad, è il simulatore di volo per l’esperienza dello straniero, dello sradicato. È la storia di Yanko Goorall, montanaro dei Carpazi, imbarcato ad Amburgo con il sogno dell’America su una nave di trafficanti di uomini, donne e bambini e naufragato in Inghilterra durante una furibonda tempesta. Siamo piú o meno fra Ottocento e Novecento, ma le stesse cose, come il lettore scopre con sempre maggior turbamento, continuano ad accadere e riaccadere fino a oggi, fino a domani. Yanko si salva a stento, ma è molto malconcio, non sa una parola di inglese e la timorata gente inglese che incontra non sa una parola che non sia inglese. Lo prendono per folle, per bandito, per mostro, lo rinchiudono, lo picchiano, si difendono dalla sua minaccia, dai suoi versi bestiali, dalla sua rabbia. Bimbi biondi e bianchi lo prendono a sassate. Yanko ha solo freddo e fame, ma non sa come si dice. La sua è «un’estraneità indecifrabile». Finché non incontra Amy Foster che, anche lei dai margini del mondo conosciuto, gli tende una mano. Ma la «solitudine assoluta» di Yanko rimane, fra le cose e le persone, come una minaccia sospesa in aria, come una condanna non ancora emessa. E alla fine lo travolgerà. «Non vivere fra la tua gente o nella tua lingua significa essere sempre altrove», commenta Hisham Matar, scrittore libico, nato a New York, che scrive in inglese e che è costretto all’esilio, il quale nel suo saggio introduttivo si specchia in Conrad, scrittore polacco che scrisse le sue lettere private in francese e i suoi capolavori anche lui in inglese. E i due scrittori sono – come tante volte siamo stati anche noi lettori – Yanko.
Joseph Conrad —
Joseph Conrad, pseudonimo di Teodor Józef Konrad Korzeniowski, è uno dei più importanti scrittori inglesi a cavallo tra Ottocento e Novecento. La sua famiglia apparteneva alla nobiltà terriera della Polonia, a quel tempo sotto il dominio russo. Il padre di Conrad, patriota e uomo di lettere, morì nel 1867, dopo molti anni di esilio politico (la madre era morta nel 1865). Affidato alla tutela di uno zio, Conrad compì gli studi secondari a Cracovia. A diciassette anni partì per Marsiglia, dove s’imbarcò come semplice marinaio. Servì nella marina mercantile francese e, dal 1878, in quella britannica, dove raggiunse il grado di capitano di lungo corso. Nel 1886 diventò cittadino inglese.
L’attenzione ottenuta dal suo primo romanzo e l’incoraggiamento di alcuni scrittori (Galsworthy, Wells, Ford Madox Ford, Edward Garnett) lo indussero, lasciata la marina e stabilitosi in Inghilterra, a dedicarsi interamente all’attività letteraria.
Il primo romanzo, “La follia di Almayer” (“Almayer’s folly”), uscì nel 1895. Seguirono “Un reietto delle isole” (“An outcast of the islands”, 1896) e “Il negro del «Narciso»” (“The nigger of the «Narcissus»”, 1898). In “Lord Jim” (1900), uno dei suoi capolavori, Conrad adottò per la prima volta con grande efficacia la tecnica del racconto nel racconto. Le raccolte di novelle e i romanzi brevi, Gioventù (Youth, 1902), “Cuore di tenebra” (“Heart of darkness”, 1902), “Tifone” (“Typhoon”, 1903), e il romanzo “Nostromo” (1904) concludono la prima fase della sua produzione.
I romanzi «politici» “L’agente segreto” (“The secret agent”, 1907) e “Con gli occhi dell’Occidente” (“Under western eyes”, 1911) contengono una violenta denuncia del dispotismo zarista ma rivelano anche l’avversione di Conrad per le idee rivoluzionarie, negatrici della libertà individuale.
I luoghi esotici e il mare ritornano nei libri successivi. Ricordiamo: “Racconti di mare e di costa” (“Twixt land and sea”, 1912), “Caso” (“Chance”, 1914), “Vittoria” (“Victory”, 1915), “La linea d’ombra” (“The shadow line”, 1917), “La liberazione” (“The rescue”, 1920).
Caso più unico che raro, Conrad fu un maestro della letteratura scrivendo in una lingua non nativa, ma appresa in età adulta. Formatosi su Flaubert e più tardi influenzato da H. James, egli appartiene a quel genere di narratori che seppero riflettere la crisi della società ottocentesca.
È universalmente riconosciuto come uno dei grandi maestri del XX secolo.
Parzialmente tratto da: Enciclopedia della letteratura, Garzanti, 2003
BERDICYR —
apri, se ti può interessare dove sono nati Conrad e Grossman::
BERDICEV, ALL’EPOCA POLONIA, OGGI UCRAINA
DOVE MUORE CONRAD ::
INGHILTERRA
BISHOPSBOURNE E’ SULLA COSTA SUBITO SOTTO LONDRA NELLA CONTEA DI CANTERBURY
Bishopsbourne nel Kent, è parte del distretto di Canterbury
Bellissima e profonda questa esplorazione dello “straniero”: comprensione è anche immaginazione.