MAURO CANALI, Quel delitto che sconvolse l’ Italia –LA REPUBBLICA — 17 APRILE 2004 + commento di chiara

 

LA REPUBBLICA — 17 APRILE 2004
https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2004/04/17/quel-delitto-che-sconvolse-italia.091quel.html

 

Quel delitto che sconvolse l’ Italia

MAURO CANALI

Matteotti venne rapito alle 16.30 del 10 giugno 1924 sul lungotevere Arnaldo da Brescia, mentre si stava dirigendo alla biblioteca di Montecitorio, dove da qualche giorno si recava per preparare il discorso che avrebbe dovuto tenere l’ 11 giugno alla riapertura della Camera. Dopo essere stato violentemente percosso, era stato caricato tramortito su una Lancia, che si era poi allontanata a folle velocità verso Ponte Milvio. L’ operazione venne organizzata da due pupilli di Mussolini, Amerigo Dumini e Albino Volpi, e da altri tre ex arditi milanesi. L’ uccisione avvenne nell’ abitacolo dell’ auto, pochi minuti dopo il rapimento, con un colpo di coltello al torace, vibrato quasi certamente da Volpi. Il cadavere, in avanzato stato di decomposizione, venne ritrovato il 16 agosto a 20 chilometri da Roma, in una boscaglia che costeggiava la via Flaminia. Il cadavere giaceva rannicchiato in una fossa talmente piccola che per costringervelo, era stato brutalmente compresso tanto da provocargli la frattura di alcune costole. Il ritrovamento del cadavere era stato preceduto da quello della giacca, rinvenuta tre giorni prima in un chiavicotto sulla via Flaminia a pochi chilometri dalla fossa. Lo stato della giacca fece escludere ai periti che essa potesse essere rimasta per due mesi nel chiavicotto; sembrava assai più probabile che vi fosse stata messa solo pochi giorni prima. Evidentemente doveva servire a ‘pilotare’ il ritrovamento del cadavere. All’ identificazione degli assassini si giunse grazie a colpo di fortuna. Una coppia di portieri di uno stabile vicino all’ abitazione di Matteotti, aveva notato da qualche giorno Dumini e compagni aggirarsi nei paraggi, e credendoli dei ladri, si era per precauzione appuntato il numero della targa della Lancia. Gli assassini di Matteotti appartenevano tutti alla Ceka fascista, un’ organizzazione di polizia segreta, che Mussolini stava allestendo da tempo e la cui direzione era stata affidata a due degli uomini a lui più vicini: Cesare Rossi, capo del suo ufficio stampa, vera ‘eminenza grigia’ del fascismo, e Giovanni Marinelli, segretario amministrativo del Pnf. I due furono in definitiva i secondi mandanti del delitto. Le indagini vennero affidate ai magistrati Mauro Del Giudice e Guglielmo Tancredi, che, approfittando delle difficoltà in cui si dibatteva il partito fascista dopo il delitto, poterono condurre l’ istruttoria senza pressioni e condizionamenti. Essi impostarono le indagini istruttorie sul movente politico del delitto, influenzati anche dagli echi non ancora spenti delle violentissime reazioni che il fascismo aveva riservato al discorso pronunciato da Matteotti alla Camera il 30 maggio, con il quale il deputato socialista, tra urla e invettive provenienti dai banchi fascisti, aveva coraggiosamente denunciato il clima d’ intimidazione in cui s’ erano svolte le elezioni del 6 aprile. Lo stesso Matteotti s’ era mostrato consapevole di quanto si era pericolosamente esposto con il discorso e ai compagni che si congratulavano con lui aveva replicato tra il serio e lo scherzoso di cominciare a preparare il suo necrologio. Il giudizio degli storici sulle responsabilità morali del fascismo e di Mussolini appare abbastanza unanime. A dividerli sono i dubbi sul movente. Non convince certo la versione del delitto involontario, cioè che Mussolini avrebbe ordinato alla Ceka di dare a Matteotti una ‘lezione’ , che per una esecuzione maldestra si sarebbe involontariamente trasformata in tragedia. Non convince perché non fornisce una spiegazione del sequestro. Se si fosse trattato solo di una azione squadristica, perché allora rapire la vittima? Le ‘lezioni’ ad Amendola, Forni e Misuri avevano seguìto schemi diversi ed erano tutte terminate con il pestaggio della vittima, lasciata poi sanguinante sull’ asfalto. Lo stesso Dumini, quando uscì dal mutismo, si guardò bene dall’ affidare la propria difesa alla versione della ‘lezione’ , preferendo ammannire ai magistrati alcune fantasiose amenità, soccorso in questo frangente da una impudente testimonianza di Curzio Malaparte, allora ispettore del Pnf. Non convince del tutto nemmeno la versione ‘classica’ , cioè la necessità da parte di Mussolini di eliminare con Matteotti un avversario politico tenace e pericoloso, poiché la decisione appare troppo in contrasto con gli effetti disastrosi facilmente prevedibili, e poi perché essa non spiega come mai allora non si aspettasse un’ occasione più propizia, meno affrettata.

Appare invece più ragionevole ricercare il movente nei timori, accertati documentalmente dalle ultime ricerche, che agitavano alcuni settori del governo Mussolini, nell’ imminenza della riapertura della Camera, per il discorso-denuncia che probabilmente Matteotti avrebbe fatto in Parlamento l’ 11 giugno, – da qui la necessità di agire in fretta quel 10 giugno, – su pratiche illecite presenti nella stipulazione della cosiddetta ‘convenzione Sinclair’ , un accordo tra il governo fascista e la compagnia petrolifera americana Sinclair Oil, una delle ‘sette sorelle’ . Il contratto, fortemente voluto da Mussolini, assegnava alla Sinclair il monopolio della ricerca petrolifera in Italia, ed era stato raggiunto a fronte di una cospicua tangente versata tramite Arnaldo Mussolini nelle casse del Popolo d’ Italia. Furono i due principali protagonisti della tragedia a suggerirlo: Dumini con un suo memoriale, venuto alla luce negli anni ottanta, che chiama in causa Arnaldo Mussolini, e Matteotti, con un articolo uscito postumo sulla rivista londinese English Life, nel quale dichiarava senza mezzi termini di essere venuto a conoscenza che l’ accordo era stato raggiunto con la corruzione di alti esponenti del governo fascista. Di fatto, i documenti che Matteotti portava con sé quando venne rapito, e che, come raccontò più di un testimone, vennero raccolti da terra da uno dei rapitori, non furono mai ritrovati.

 

NOTA :

1-

Ceka

Polizia politica segreta del governo bolscevico, attiva all’inizio della rivoluzione russa. Sciolta nel 1922, fu sostituita con la cosiddetta Ghepeù (Gosudarstvennoe političeskoe upravlenie, «Amministrazione politica governativa»).

C. fascista (o del Viminale) Squadra alla quale nel 1924, con la connivenza di esponenti del PNF, furono affidate operazioni extralegali (sorveglianza, rappresaglia, intimidazione) contro oppositori del fascismo, tra le quali il rapimento e la soppressione di G. Matteotti.

( Treccani )

2.

 

CHIAVICOTTO – devia l’accesso dell’acqua fluviale alle campagne vicine

FLAMINIA NEXTONE - Punto di interesse

http://www.flaminianextone.eu/

 

 

Il delitto Matteotti. Affarismo e politica nel primo governo Mussolini

Il Mulino, 1997

Inseguendo la pista “affaristica”, quella secondo cui Matteotti è stato eliminato perché stava per rivelare dei torbidi affari relativi a una concessione petrolifera, poi ricostruiendo le fasi del primo e del secondo processo, infine seguendo il destino dei protagonisti del delitto (famiglia Matteotti compresa) durante il Ventennio, Canali riesce a delineare un quadro convincente di un “affaire” che sta all’origine del regime fascista e ne riassume emblematicamente le caratteristiche.

 

Libri di Mauro Canali

Mauro Canali, 1942, Roma

 

Mauro Canali è docente di Storia contemporanea all’Università di Camerino. Allievo di Renzo De Felice, ha tenuto conferenze e lezioni in università europee e americane e, nel 2006, è stato visiting scholar all’Università di Harvard. Collabora con il periodico «Nuova storia contemporanea», il «Journal of Modern Italian Studies» e le pagine culturali di «Repubblica». È consulente e membro del comitato scientifico di Rai Storia.
Studioso della crisi dello Stato liberale e dell’avvento del fascismo, si è occupato a lungo della struttura totalitaria del regime mussoliniano e dei suoi meccanismi informativi e repressivi.

Fra i suoi libri: Cesare Rossi. Da rivoluzionario a eminenza grigia del fascismo (1993), Il delitto Matteotti (1997; nuova edizione 2004 e 2015), Le spie del regime (2004), Mussolini e il petrolio iracheno (2007). Con Marsilio ha pubblicato Il tradimento. Gramsci, Togliatti e la verità negata (2013, Premio Internazionale Capalbio 2014, ed è entrato tra i cinque finalisti del Premio Acqui Storia del 2014), La scoperta dell’Italia. Il fascismo raccontato dai corrispondenti americani (2017).

 

Nel 2019 esce per Mondadori Mussolini e i ladri del regime, scritto con Clemente Volpini.

( IBS )

Mauro Canali e Clemente Volpini forniscono con documenti inediti una radiografia del malaffare in camicia nera, facendo i «conti in tasca» ai vertici della nomenclatura fascista. Una pagina che ancora mancava della storia del ventennio.

«La vita quale la concepisce il fascista è seria, austera, religiosa: tutta librata in un mondo sorretto dalle forze morali e responsabili dello spirito. Il fascista disdegna la vita comoda» – Benito Mussolini

Il 5 agosto 1943, a pochi giorni dall’arresto di Mussolini, i giornali pubblicano una notizia sensazionale: il governo Badoglio ha istituito una commissione con il compito d’indagare sulle fortune accumulate dai gerarchi nel corso del ventennio, i cosiddetti illeciti arricchimenti del fascismo. Il duce e i capi del regime, un tempo intoccabili, finiscono in prima pagina, dati in pasto a un’opinione pubblica che fino al giorno prima li aveva temuti, odiati, riveriti, spesso invidiati. Chi sono e quanto hanno «rubato»? E lo Stato è voluto veramente andare fino in fondo o ha chiuso un occhio, consentendo ai più di farla franca? Infine, quanto è tornato nelle tasche degli italiani? Quello che l’inchiesta scoperchia è un autentico verminaio. Una storia di corruzione e concussione, di tangenti e appalti, di capitali che trovano riparo all’estero, di raccomandazioni; un intreccio perverso tra politica e affari alla faccia del rigore e dell’onestà tanto proclamati dalla propaganda fascista. È una storia anche grottesca, fatta di fughe rocambolesche, di rotoli di banconote nascosti nell’acqua degli sciacquoni, di tesori sotterrati in giardino; e verbali di sequestro così scrupolosi da non crederci: favolosi patrimoni in ville e palazzi, pellicce, arazzi, gioielli, fino al numero di posate in argento, all’ultima pantofola, calza e mutanda del gerarca inquisito. Alla ribalta salgono nomi eccellenti: si scopre per esempio che Alessandro Pavolini, ministro del Minculpop, gran signore del cinema di regime, è pronto a tutto, anche a cambiare le leggi, pur di far felice l’amante, l’attrice e icona sexy Doris Duranti; che l’integerrimo Roberto Farinacci, l’ideologo della purezza fascista, ha accumulato un patrimonio di centinaia di milioni, niente male per un ex ferroviere diventato avvocato copiando la tesi di laurea; o, ancora, che Edmondo Rossoni, ex leader sindacale – «la migliore forchetta del regime» e non solo perché usa pasteggiare con posate d’oro – si è costruito nel Ferrarese un vero e proprio impero immobiliare. C’è poi Mussolini e i suoi «affari di famiglia», con gli intrallazzi di Galeazzo e Edda Ciano, l’avidità di donna Rachele e la rapacità del clan Petacci.

 

 

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1 risposta a MAURO CANALI, Quel delitto che sconvolse l’ Italia –LA REPUBBLICA — 17 APRILE 2004 + commento di chiara

  1. Chiara Salvini scrive:

    chiara : la storia della tangente della Sinclair al governo Mussolini, è spiegata bene nella Terza parte del libro di Chiarelettere, ottobre 2022, Nero di Londra, di Mario José Cereghino e Giovanni Fasanella, che si intitola ” La borsa di Matteotti ” – pp. 183- 231 –

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