LIMESONLINE DEL 5 SETTEMBRE 2022
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Il tetto ai prezzi di petrolio e gas della Russia e altre notizie interessanti
Carta di Laura Canali – 2022
La rassegna geopolitica del 5 settembre.
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I paesi membri del G7 (Usa, Canada, Regno Unito, Germania, Francia, Italia, Giappone) e l’Unione Europea hanno concordato di imporre un tetto massimo al prezzo del petrolio della Russia nel tentativo di colpire la capacità di Mosca di finanziare la guerra in Ucraina. I ministri delle Finanze hanno affermato che il “price cap” al petrolio greggio e ai prodotti petroliferi aiuterebbe anche a ridurre i prezzi globali dell’energia. Il limite sarà fissato a un livello basato su una serie di input tecnici. Saranno inoltre varate misure per limitare le possibilità di aggirare il nuovo regime dei prezzi, riducendo allo stesso tempo al minimo l’onere amministrativo per i partecipanti al mercato.
Nel Consiglio dell’Unione Europea presieduto dalla Repubblica Ceca del 9 settembre, i ministri dell’Economia dei paesi membri discuteranno anche l’introduzione di un tetto al prezzo del gas russo.
Perché conta: Le iniziative del G7 e dell’Ue in materia energetica contribuiscono al crescente disaccoppiamento geoeconomico delle sfere di influenza sul Vecchio Continente – Occidente e Russkij mir (mondo russo) – in una sorta di riedizione della guerra fredda.
La risposta della Russia alla decisione del G7 è giunta al termine del summit tramite le parole del vicepremier e già ministro dell’Energia (2012-20) Aleksandr Novak, che ha annunciato l’interruzione delle forniture di petrolio e dei prodotti derivati ai paesi che decideranno di limitarne il prezzo. Alle dichiarazioni di Novak fa eco il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov, secondo cui una simile rappresaglia verrà istituita anche verso quelle cancellerie che opteranno per l’introduzione di un price cap al gas naturale della Federazione.
Nei calcoli del Cremlino, le ferree sanzioni euroatlantiche si riveleranno un boomerang per l’immediato detrimento dell’apparato industriale dell’Europa occidentale. Paesi di trasformazione come Italia e Germania dovrebbero assorbire il contraccolpo più duro a causa dello scarso accesso a materie prime essenziali – idrocarburi, minerali, derrate alimentari – degli accresciuti costi dell’energia e della riduzione delle quote di mercato verso lo spazio di pertinenza geopolitica russa (parzialmente bilanciato dalla maggiore competitività data dal deprezzamento dell’euro). Sullo sfondo, l’inflazione galoppante a minacciare il benessere socio-economico della classe media europea.
Mosca è ragionevolmente sicura di poter reggere il colpo delle sanzioni messe a punto a Washington e Bruxelles, grazie alle riserve accumulate e all’innalzamento dei prezzi a livello globale. Il surplus commerciale della Russia è infatti aumentato negli ultimi mesi a fronte di una riduzione dell’export di gas e petrolio. Almeno per tutto il prossimo anno, i decisori politici russi ritengono che il mercato interno non sarà nel suo complesso scalfito dalle iniziative sanzionatorie occidentali e dalle turbolenze derivate. D’altronde la Russia è autosufficiente sotto il profilo energetico e alimentare (le due chiavi del potere imperiale, al pari di quella militare).
La diplomazia moscovita cerca inoltre di esacerbare a proprio vantaggio la crisi energetica, stipulando accordi con i paesi Brics+ votati alla produzione di materie prime e con i paesi Opec+ per il contingentamento della produzione petrolifera.
L’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio ha infatti deciso di ridurre la produzione di 100 mila barili al giorno a partire dal 1° ottobre 2022, alle porte della stagione fredda nell’emisfero boreale, quando s’impenna la richiesta di idrocarburi. I paesi emergenti extra-occidentali con aspirazioni globali sono accomunati dall’interesse a drenare ricchezza dall’Europa economicista.
Per contenere gli inevitabili danni e tenere una porta diplomatica aperta con Mosca, le cancellerie euroatlantiche potrebbero attivarsi affinché il price cap non sia eccessivamente basso (non inferiore alle tariffe anteguerra), mostrando sì spirito integerrimo nella sua applicazione ma premurandosi dell’accettabilità sostanziale per la controparte russa. L’export di idrocarburi resta pur sempre tra le principali fonti di entrata dell’erario moscovita.
Le previsioni e le iniziative di Mosca sono sensate, ma tengono conto di una prospettiva temporale limitata. La perdita dell’accesso alla tecnologia occidentale potrebbe alla lunga danneggiare anche i pochi ma strategici settori di eccellenza russa (industria spaziale, armamenti) e generare insoddisfazione nella popolazione più giovane che anela a stili di vita più agiati.
Per non perdere terreno rispetto ad altre potenze e per soddisfare le esigenze di parte del suo popolo, la Russia potrebbe importare beni di consumo e tecnologia di rilievo dalla Cina, l’«amica senza limiti» di cui non fidarsi appieno. L’interscambio tra Mosca e Pechino di materie prime e tecnologia potrebbe alla lunga premiare la Repubblica Popolare, che vedrebbe nella Federazione una stazione di servizio dai prezzi convenienti. La Cina non sarebbe solo la “fabbrica del mondo”, ma anche il “magazzino del pianeta”.
E come tale già si comporta: gran parte del gas liquefatto importato dall’Europa nelle ultime settimane proviene dalla Cina, sebbene Pechino non ne sia produttore. Si tratta evidentemente di gas triangolato proveniente da mercati cui sono applicate restrizioni, come la Russia appunto.
Per approfondire: Vivere con meno energia. Come ci colpisce la rappresaglia russa
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Brutte notizie da tutto il mondo, pensando con freddo rigore all’inverno: brrrr….