EDUARDO SAVARESE, È tardi!, Wojtek, 2021 + RECENSIONE DI ALICE PISU, MINIMA MORALIA, 4 NOVEMBRE 2021

 

 

È tardi! - Eduardo Savarese - copertina

È tardi!

di Eduardo Savarese (Autore)
Antonio Corduas (Illustratore)

Wojtek, 2021

 

Libro candidato da Elisabetta Rasy al Premio Strega 2022

La polivalente esclamazione “È tardi!” segna l’inizio e la fine della narrazione di sette tempi di attesa di altrettante eroine del teatro lirico.

Seguendo l’intreccio di piani che il narratore costituisce (memoir intimo, reinterpretazione precisa e appassionata dei libretti d’opera, storia del teatro lirico) sulla scena compaiono Violetta Valery, coraggiosa Traviata in attesa della redenzione di Alfredo Germont; Madama Butterfly, “rinnegata e felice” nella devozione assoluta a un distratto ufficiale della marina americana; la Contessa mozartiana, che attende il ritorno alla fedeltà coniugale di un marito fedifrago; Carmen, gitana e sigaraia, alla conquista mortale della libertà di amare chi e quando le aggrada; Elektra, spettrale invenzione straussiana dell’attesa di vendetta matricida; Lucia di Lammermoor, eroina manipolata nel suo amore segreto, che trova posto solo grazie alla pazzia assassina; Norma, la sacerdotessa che viola ogni regola nell’attesa di essere scoperta e sacrificata a causa dell’amore per un nemico. In queste storie l’attesa si trasforma in una tensione spasmodica di tutta l’esistenza a ritrovare e affermare la propria natura. L’attesa è sempre d’amore, infine dell’amore e della cura di se stessi, anche a costo della morte, dal prologo del libro fino agli incontri dell’epilogo, ai suoi applausi finali, in cui le storie delle eroine liriche e le vicende private del narratore s’intrecciano intorno a un unico filo: ogni attesa è la paura e il desiderio, del narratore come di tutti noi, che sia troppo tardi.

Proposto da Elisabetta Rasy al Premio Strega 2022 con la seguente motivazione:
«Il libro È tardi (Wojtek) di Eduardo Savarese è un’opera davvero speciale: è insieme un ritratto da vicino di sette eroine della lirica (Traviata, Carmen e altre anche attraverso l’evocazione di celebri interpreti), una storia famigliare che si spinge fino alla seconda guerra mondiale, e soprattutto un romanzo di formazione in cui l’autore racconta la difficile scoperta e poi accettazione, anche grazie alla musica, della propria omosessualità. È un libro scritto con una prosa viva e colloquiale ma straordinariamente limpida, che ci narra in modo semplice ma incisivo come l’arte e la vita possano essere felicemente intrecciate. Per queste ragioni lo presento con entusiasmo al Premio Strega.»

 

COMMENTO :

 

Io ho “conosciuto” le protagoniste delle opere liriche dalla voce calda di mio nonno mentre ne parlava come fossero donne in carne ed ossa. Tali sono rimaste nella mia memoria e tali sono tra le righe di quest’ autore. Violetta, Carmen, Cho-Cho San, Lucia, Norma e le altre vivono nell’ attesa costante, ciascuna secondo la propria indole. Tutte subiscono l’ improvviso ribaltamento della propria vita e dei propri sentimenti. Tutte conoscono l’ amore, la determinazione, la costanza, il sacrificio. Si tratta di donne che rifiutano di aspettare passivamente il compiersi del proprio destino, rifiutano di restare soggiogate dall’ ideale maschile del possesso, dalle aspettative sociali di remissività e dipendenza. L’ attesa non le sfinisce, al contrario, offre loro la possibilità di rivelarsi sempre più compiutamente come persone, come donne dotate di menti pensanti, di corpi liberi, di cuori accesi. L’ attesa le delinea ciascuna nella propria singolarità e complessità, in grado d’oltrepassare il palcoscenico, il libretto, lo spazio ed il tempo, fino a parlare, con estrema sincerità, al pubblico del 2022, perché i moti dell’ animo non conoscono confini.

 

UNA RECENSIONE  DEL 4 NOVEMBRE 2021

“Tutto estatico d’amor ride il ciel”. Conversazione con Eduardo Savarese su “È tardi!”

 

Con È tardi! Eduardo Savarese compone un trattato sull’attesa, si pone in ascolto delle voci delle eroine del teatro lirico per attualizzarne il messaggio. Parte da una ricerca, i libretti d’opera nei negozi di fronte al Conservatorio napoletano di San Pietro a Majella, per decifrarne le tracce e scovare le storie nelle pieghe della storia del teatro lirico. In un dialogo perenne, la vicenda privata e pubblica dei compositori, delle grandi interpreti, e le esperienze private dell’autore stesso, concorrono a comporre un mosaico in prosa.

Una natura circolare che trova un avvio nell’isolamento di Violetta Valery, La Traviata, passa per la dignitosa solitudine di Madama Butterfly, l’ardore e il desiderio di libertà di Carmen, la commozione liberatoria della Contessa ne Le nozze di Figaro, l’abbandono e la follia di Lucia di Lammermoor, l’autodistruzione nel progetto di vendetta di Elektra, per chiudersi con Norma, “archetipo, simbolo, incarnazione di ogni verità nelle relazioni umane”. Tra equivoci, scambi di persona, colpi di scena e agnizioni, le vicende narrate evidenziano la potenza di un atto creativo che irrompe su canoni predefiniti. Interrogarsi sul modo in cui un modello si rapporta con la morale dell’epoca, i suoi codici sociali e le ipocrisie, le dinamiche economiche alla base di un vincolo, conduce chi legge a osservare con uno sguardo nuovo i motivi del teatro classico.

Non interessato a una mera analisi dei libretti d’opera, l’autore si insinua nelle forme e nelle immagini, riavvolge le registrazioni storiche, rivive momenti memorabili con Maria Callas, Anne Sofie von Otter, Anita Cerquetti per identificarne la personale esecuzione e cogliere, così, valenze nascoste nell’incrinatura di una voce. Scova quel che si cela dietro la drammaticità di un’aria lirica, dietro i motivi patetici, avventurosi, anzitutto concependo ogni opera come una lingua a parte. Cerca di catturarne il segreto per leggerla, smontarla, decodificarla, e assemblarla nuovamente in un’altra lingua, in un processo inventivo in perenne evoluzione. Assegna un particolare rilievo all’ascolto per insinuarsi nel gioco costruito tra musica e parola in favore di un graduale svelamento, affine a quanto sostenuto da Beaumarchais a proposito della necessità di creare a teatro situazioni forti, nate a loro volta da una “disarmonia sociale”.

È la natura eterogenea di registri linguistici a favorire sovente un gioco di ambiguità, raffinato dalla scelta di fornire nuovi argomenti su temi, vicende, rimandi alla tradizione, inseriti tra molteplici riferimenti espliciti o velati alla letteratura dei classici. La tensione dialogica attorno all’attesa rivela nel percorso costruito da Savarese l’urgenza di condurre il lettore a tornare alla parola esatta, onesta, e percepire un’aria lirica anzitutto dalle immagini costruite dalle sue battute, concepite come versi. Un’invocazione allo sradicamento temporale che racchiude un invito: esortare chi legge a fare propri quei motivi e collocarli nel presente.

Nel leggere queste pagine l’impressione è di trovarsi costantemente sul solco tra realtà e apparenza. Nel gioco di travestimenti e equivoci il dolore invade ogni cosa, e il continuo alterco tra morte e vita rivela, ancor prima che le ragioni di un’azione, la raffigurazione simbolica di un’umanità ferita. In tale indagine che posto occupa l’allegoria dell’amore come forza vitale?

La nostra vita si gioca tutta su quello che hai chiamato il solco tra realtà e apparenza, su quel solco si stratificano diverse forme di verità. Anche l’apparenza, infatti, ha la sua verità. Immancabilmente c’è una tensione tra il fuori e il dentro, ciò che vive il nostro cuore e ciò che riesce a comunicare il nostro corpo, tra il ruolo sociale che ci costruiamo o ci impongono e la presenza al nostro interno di fragili, incomunicabili tenerezze. Il solco può diventare frattura, ferita, separazione, come pure sappiamo. In tutto questo, l’amore è chiamato a farci vivere una possibilità di unità tra realtà e apparenza, perché ci unisce, unisce persone diverse, e diverse forme di verità. Ed è una forza indomabile. “Forte come la morte”, per citare Maupassant. Il teatro lirico si è sempre misurato con tutto questo con una spericolatezza totale che ho voluto trasferire sulla pagina scritta (non musicale!).

Nelle pagine dedicate a La Traviata, emerge il racconto di una trasformazione anzitutto spirituale, che passa anche per una ribellione e uno smarrimento della fede. La privazione diventa la condizione essenziale per un nuovo equilibrio nella disperazione, come due amanti che “tessono con fili impossibili e invisibili l’arazzo di una vita futura insieme”. Come leggere oggi la declinazione verdiana dell’amore come rinuncia, del sacrificio estremo per concepire una salvezza?

Oggi le parole rinuncia, sacrificio e salvezza sembrano evocare roba passata, della quale ci siamo finalmente liberati. Credo che nell’amore, per viverlo, per espanderlo, per raccontarlo, esse sono tuttora la chiave di volta. Da soli non ci salviamo. Ma non si sperimenta la verità della nostra esperienza insieme senza il coraggio di rinunciare a noi stessi. D’altra parte, è innegabile che, se non ci svuotiamo, non ci sarà mai spazio per l’altro. Violetta, svuotandosi, e aprendosi ad Alfredo, soffrirà immensamente. Ma avrà vissuto l’amore atteso da una vita. Oggi questo coraggio spesso ci manca. Verdi ci ricorda che senza coraggio siamo destinati a restare intrappolati nei confini angusti del nostro io. Valeva per Didone, per Francesca da Rimini e per noi, ora, proprio allo stesso modo.

Un accento particolare è assegnato alle svariate raffigurazioni della solitudine, l’incomprensione altrui di un dolore inestinguibile che degenera nella grottesca trasfigurazione in una ferocia propria della sopravvivenza. L’interrogativo sull’identità marca il passo della narrazione, coinvolge l’affermazione individuale delle eroine e investe al contempo l’autore e il lettore, esortato ad accogliere quella ricerca di senso mai risolta e riconoscere parti di sé nelle vicende che sfilano sulla pagina.

Cerco sempre di investire il lettore in un processo di aumentata consapevolezza “identitaria”. In termini di dubbio: l’identità è sempre un divenire nella complessità. La costruiamo con gli altri, in parte, ma per un’altra parte ciò accade nei momenti di solitudine che di solito ci impone l’arrivo del dolore o, come scrive Simone Weil, l’esperienza di essere inchiodati alla sventura. Le sette eroine che racconto, nelle loro diverse solitudini, giungono sempre a sentire la maturazione del loro tempo. Tempo e identità sono inseparabili.

Con Madama Butterfly l’accento è posto non tanto sul dolore sommesso di una donna che rinnega il culto degli avi per perseguire un’illusione, ma sul dono della verità che permette di combattere la paura e gestirne il peso nell’affrontare la maternità. In che modo l’attesa si conforma al rituale per celebrare una personale idea di dignità nell’amore come nella morte?

La cultura giapponese alla quale appartiene Butterfly ritorna nel momento della prova. Lei rinnega il culto degli avi quando si affretta a sposare il suo Pinkerton, felice di poter cambiare vita. Ma, dopo tre anni di abbandono, nel momento in cui la nave del suo uomo è ritornata ad attraccare al porto di Nagasaki, e si appresta ad attendere l’arrivo di lui, prepara il giardino, se stessa e il bambino secondo un rituale giapponese. E si toglierà la vita al modo giapponese. Le radici e il rito ritornano per accompagnarla a morire. L’attesa qui si compie nei rituali delle proprie radici. E la dignità della “Farfalla”, in questo, è sconquassante.

Tra i grandi temi affrontati nell’opera la riflessione sulla labilità delle relazioni, l’impossibilità di un reale riconoscimento reciproco, che spesso si traduce in una crisi spirituale e nei confronti del genere umano. Contro il male del tempo sono gli aneliti di libertà a favorire il collasso di schemi precostituiti come ricorda l’asserzione di Carmen: “Canto per me stessa”. Che eredità lascia l’opera nell’infrangere etichette sociali e esortare chi legge a rintracciare una componente indomita nella propria natura?

Un’eredità potente più che in altre forme di arte, forse: perché a farsi portatori di essa sono la musica e la voce umana, col canto. Musica e canto, misteriosamente, ci mettono a contatto con una realtà superiore la quale, citando Battiato, è “senza centro né principio”, una realtà che ci connette alla consapevolezza di un’irriducibile libertà di coscienza, che ci è data, anzi ci è donata.

“Lì resta l’anima della sua libertà inebriante, in quelle note che sembrano gettarci addosso terra, sangue, fango, oro, tutto intero l’impasto di una vita che non concepisce l’umiliazione di piegarsi al compiacimento dei dettati altrui”. Un passaggio sulla Carmen che evidenzia uno degli aspetti dominanti dell’opera, l’analisi delle contaminazioni musicali per fornire una nuova lettura storica e sociale a partire dalle espressioni sonore delle rivoluzioni issate dai tormenti amorosi. In che misura lo studio delle linee melodiche e delle influenze nascoste diventa determinante nel rivelare al lettore un sentimento del tempo?

La musica è tempo, si fa nel tempo, è memoria, è profezia. Una frase può essere cantata in tanti modi, come può essere scritta, in un romanzo, in tante forme differenti. La mia esperienza dell’ascolto musicale ha sempre più a che fare col respiro, il mio respiro come forma essenziale di sentirmi vivo, di sentirmi parte di altro. Ho tentato allora di condurre il lettore dentro l’esperienza di questo respiro comune a chi racconta e ai personaggi che, cantando, vivono la loro storia.

Tra i motivi dominanti anche la deriva di un’oppressione radicata, propria di contesti famigliari, religiosi e sociali che annichilisce l’individuo e ne annienta ogni impulso. Tema cardine in Lucia di Lammermoor, dove la follia rivela l’esito finale di un dramma che esonda e allaga ogni cosa. In che modo la misura di una sospensione di vita consumata nell’attesa e logorata da ingerenze politiche parla oggi a ciascuno di noi?

Ho scritto questo libro nel 2019. L’ho terminato nell’autunno di quell’anno, e pochi mesi dopo sarebbe iniziata la fase storica che viviamo, il distanziamento, l’isolamento, la paura, il tempo sospeso. La fragilità di Lucia di Lammermoor, quel suo percepirsi a un certo punto un oggetto alla deriva, oggi ci parla moltissimo, allora. E credo che dobbiamo essere vigili nell’osservare gli effetti psicologici che tutto questo sta provocando e provocherà.

L’impressione è che il fine ultimo di un’impostazione che individua il memoir come strumento per generare una forma ibrida alternativa rispetto al trattato di storia del teatro e all’analisi dei libretti lirici non si riduca a mero esperimento formale ma rintracci in quella immersione nella parte privata, nel solco costante tra ricordi, nostalgia e fantasticherie, lo strumento d’elezione per invitare chi legge a proseguire il cammino, e rintracciare le proprie connessioni sotterranee tra le immagini, i canti, e i maestosi silenzi in scena. È così?

Sì, perfettamente così. Ho raccontato di una mia grande passione, quella per l’opera. Scrivendo emergevano le ragioni di questa passione, strettamente personali. Ho scritto anche di esse, secondo un processo di apparente distanziamento (i racconti delle opere, i riferimenti culturali) che all’improvviso precipita nell’osservazione ravvicinatissima dell’esperienza dell’io narrante. Al lettore, forse, ho voluto ricordare che in ogni esperienza culturale – strutturata, ragionata, educata – albergano le braci di sentimenti di purissima soggettività: è nel loro compenetrarsi che c’è la speranza di una condivisione più autentica, e credibile. Nella letteratura, come nella vita fuori dai libri.

 

Alice Pisu, nata nel 1983, laureata in Lettere all’Università di Sassari, si è specializzata in Giornalismo e cultura editoriale a Parma dove vive. Collabora per diverse testate di approfondimento, tra cui L’Indice dei libri del mese, minima&moralia, il Tascabile. Libraia indipendente, fa parte della redazione del magazine letterario The FLR -The Florentine Literary Review.

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Savarese, la scrittura come mezzo per liberarsi dai troppi pesi inutili - Il Quotidiano del Sud

EDUARDO SAVARESE ( 1979 ), vive a Napoli, è magistrato e studioso di diritto internazionale. Per le edizioni e/o ha pubblicato i romanzi Non passare per il sangue (2012) e Le inutili vergogne (2014), e il saggio-racconto Lettera di un omosessuale alla Chiesa di Roma (2015). Tiene un corso di scrittura creativa per diversamente abili presso l’associazione Onlus A Ruota Libera e collabora con Il Corriere del Mezzogiorno.
https://www.minimumfax.com/autore/eduardo-savarese-2675

 

PER CHI VOLESSE LEGGERE UNA PIACEVOLE INTERVISTA ALL’AUTORE :

https://www.quotidianodelsud.it/laltravoce-dellitalia/mimi/libri/2021/06/06/savarese-la-scrittura-come-mezzo-per-liberarsi-dai-troppi-pesi-inutili

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