IL MANIFESTO DEL 23 AGOSTO 2022
https://ilmanifesto.it/crisanti-medici-di-base-nel-pubblico-e-stop-al-regionalismo-sanitario
Andrea Crisanti – Ansa
Crisanti: «Medici di base nel pubblico e stop al regionalismo sanitario»
INTERVISTA. Il microbiologo candidato con il Pd: «Le regioni hanno troppo potere. Hanno in mano la gestione del budget, un potere capillare di nominare i dirigenti sanitari e nominano persino chi li controlla»
Andrea Capocci
Sembra impossibile parlare di sanità senza ricadere nell’eterna gazzarra su vaccini, lockdown, morti «di» e morti «con». Ma il governo Draghi ha lasciato aperti tutti i dossier sanitari legati al Pnrr, dalla riforma dell’assistenza territoriale a quella degli ospedali. Dovranno occuparsene, se saranno eletti, i candidati per il prossimo Parlamento, come il microbiologo Andrea Crisanti in corsa con il Pd. La voglia c’è, l’ottimismo un po’ meno.
«Fare una riforma della sanità è difficile perché la sanità italiana è disuniforme. Le regioni hanno troppo potere. Possono emanare direttive che hanno forza di legge, hanno in mano la gestione del budget che spesso segue logiche politiche. Hanno un potere capillare di nominare i dirigenti sanitari ai livelli superiori e a quelli intermedi, e nominano persino chi li controlla. Per questo c’è una sanità in Toscana, e un’altra in Calabria».
Prof. Crisanti, il problema è il federalismo applicato alla sanità?
È una iattura. Le regioni possono anche decidere se aprire o no alla sanità privata e i cittadini nemmeno ne sono consapevoli. Per costruire le strutture sanitarie pubbliche si ricorre al project financing. Invece di investire facendo leva sul bilancio, si chiede il finanziamento di partner privati a cui il debito va ripagato con gli interessi. E così le regioni cedono alle imprese le attività lucrative dagli ospedali. L’ospedale di Mestre in Veneto, la regione in cui lavoro, ne è un esempio. Questo meccanismo ha quintuplicato i costi. Alcuni ospedali, che non hanno un bacino di utenza abbastanza grande per ripagare il debito, devono dirottare i pazienti verso i privati.
Come rimediare?
Bisogna mettere mano alla gestione delle aziende sanitarie locali. Io le trasformerei in fondazioni e ne restituirei la gestione ai cosiddetti stakeholder: pazienti, contribuenti e operatori sanitari. A nominare i dirigenti delle Asl dovrebbero essere le associazioni di pazienti, i sindacati, la società civile, i consigli comunali. La partecipazione alla sanità era un pilastro della riforma del 1978. E va restituita ai cittadini.
Anche la riforma della sanità territoriale è rimasta a metà. Il governo ha investito sulle case di comunità, ma non ha riformato la figura del medico di base che dovrebbe lavorarci.
I medici di medicina generale devono diventare dipendenti del Servizio sanitario nazionale, ma c’è una forte resistenza da parte degli stessi medici.
In alternativa, bisognerebbe spingerli a consorziarsi in unità funzionali multidisciplinari. Avrebbero dovuto farlo già a partire dalla legge Balduzzi del 2012. Per aumentare la concorrenza tra i medici bisogna aumentare la mobilità per gli assistiti, oggi quasi impossibile: molti medici sono già sulla soglia massima dei 1500 assistiti. Che rappresentano una rendita: quali incentivi a documentarsi e a formarsi ha un medico di base oggi?
Per aumentare la concorrenza però servono più professionisti. Invece i medici mancano, soprattutto in settori come il pronto soccorso e le rianimazioni.
Servono maggiori investimenti pubblici. Il Servizio sanitario nazionale è sottofinanziato per 20-30 miliardi l’anno. Il Pnrr, mi creda, è una goccia nel mare.
Finora il sistema ha retto perché l’Italia aveva un gran numero di medici e questo ha compensato le carenze. Ora però i medici che si sono formati prima del numero chiuso vanno in pensione. Ci rimangono strutture obsolete, con pochi medici e limitata capacità diagnostica e terapeutica. I medici di pronto soccorso devono essere pagati di più: ci vuole un incentivo specifico per chi fa un lavoro così logorante ed esposto a abusi. E che non può arrotondare nel privato. Gli ospedali privati non hanno pronto soccorso e rianimazione perché non sono prestazioni remunerative.
Per riportare i medici nel servizio pubblico, la riforma Bindi creò l’intramoenia. Oggi è uno dei simboli dell’iniquità.
Vergognosa, ma è conseguenza anche della bassa retribuzione dei medici. Non si scappa, la via maestra è investire in strutture e in medici. Rivedendo anche gli accessi alle scuole di medicina. I giovani medici preferiscono specializzarsi in settori come la chirurgia plastica, dove a quarant’anni si possono guadagnare centinaia di migliaia di euro, piuttosto che in medicina d’urgenza, dove non si va oltre i sessanta-settantamila euro. Per questo bisogna premiare chi, come ho fatto io, ha sempre rifiutato di lavorare per la sanità privata.
Condivido in pieno le parole di Crisanti. Purtroppo molti cittadini si lamentano delle gravi carenze del sistema sanitario pubblico ma non riescono o non vogliono approfondirne le cause. Molte volte, anche con gravi sacrifici economici, si deve ricorrere alla medicina privata perché quella pubblica non è in grado di soddisfare, se non con mesi e a volte con anni di ritardo, esami e visite essenziali per la salute del paziente.