IL MANIFESTO DEL 20 AGOSTO 2022
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Il Mediterraneo ribolle, ma tutto era già previsto
CLIMA. Gli avvisi inascoltati degli scienziati
Andrea Capocci
Chi vive sulle coste del Mediterraneo oggi è unito non solo dal mare, ma anche dalle conseguenze della crisi climatica che lo affligge. Siccità, incendi e uragani non colpiscono solo le coste italiane. Anche in Corsica le tempeste di giovedì hanno provocato cinque vittime. «Gli alberi cadevano come fiammiferi», raccontano le testimonianze dall’isola. In Spagna, le fiamme assediano le cittadine a nord di Valencia causando feriti persino tra i passeggeri di un treno, fuggiti in preda al panico quando il fuoco è sembrato avvicinarsi troppo ai vagoni. Nel nord dell’Algeria 39 incendi in 14 province hanno provocato negli ultimi giorni la morte di almeno 38 persone.
Sulle rive del Mediterraneo sembrano scatenarsi le conseguenze estreme del cambiamento climatico troppo a lungo ignorato. La mappa rosso sangue che descrive la situazione climatica del Mare Nostrum ha occupato ieri la prima pagina del quotidiano francese Le Monde, mentre in Italia al massimo ci si commuove – si fa per dire – per gli ombrelloni volati via dal Twiga di Santanché e Briatore.
Eppure, non bisognava cercare lontano i segnali d’allarme, perché alcuni dei climatologi più esperti sul clima del Mediterraneo lavorano nelle nostre università. Già in un compendio redatto nel 2008 dagli italiani Filippo Giorgi e Piero Lionello si prevedeva «una frequenza molto maggiore di ondate di calore simili o persino peggiori di quella che si è verificata nell’estate del 2003», come puntualmente si è verificato. Oggi quello studio è un classico della letteratura scientifica sul clima del Mediterraneo, con oltre tremila citazioni nella letteratura scientifica. Ma nel radar della politica non è mai entrato.
Anche l’ultimo rapporto sul cambiamento climatico dell’Ipcc (2022), a cui ha lavorato lo stesso Lionello, definisce il Mediterraneo un “hotspot” del cambiamento climatico.
«Sin dagli anni ‘80 – si legge nel rapporto – il riscaldamento atmosferico della regione ha superato quello globale. E si prevede che il tasso di riscaldamento annuale e estivo in futuro sia tra il 20% e il 50% più elevato della media globale».
Lo stesso mar Mediterraneo si sta scaldando più velocemente della media, al ritmo di 0,3-0,4 gradi per ogni decennio.
Gianmaria Sannino, che dirige il Laboratorio di Modellistica Climatica dell’Enea, ne conferma la peculiarità. «Già nella prima classificazione dei climi, redatta da Wladimir Köppen del 1918, il nostro fu classificato come “clima mediterraneo” perché meritava una denominazione a sé», spiega. «Viviamo sostanzialmente in un mare chiuso, quasi un lago, che dunque si scalda più velocemente e da tempo sappiamo che gli effetti del mutamento climatico qui sarebbero stati amplificati». Gli eventi di questi giorni sono il risultato dello scontro tra masse d’aria.
«L’anticiclone delle Azzorre tradizionalmente funge da cuscinetto tra l’aria fredda del nord Europa e quella calda e umida dell’anticiclone africano. Oggi non riesce più a penetrare sul Mediterraneo, così l’aria calda e quella fredda vengono a contatto dando vita ai fenomeni a cui stiamo assistendo».
Sono dinamiche ben conosciute che i modelli climatici avevano previsto con precisione. Anche se la relazione tra eventi meteorologici e mutamenti climatici va maneggiata con attenzione. «La climatologia non prevede il singolo acquazzone. Ma è in grado di stimare la frequenza con cui certi eventi estremi, come ondate di calore o uragani, possono verificarsi in un certo periodo. Su questo, proiezioni e osservazioni sono in ottimo accordo».
Secondo Sannino, l’eccezionale riscaldamento del mar Mediterraneo avrà conseguenze sul breve periodo e darà vita a mini-uragani di maggiore intensità dopo l’estate. Ma sul lungo periodo l’impatto potrebbe essere sistemico. «Secondo gli scenari più pessimisti, che purtroppo si stanno rivelando azzeccati, di qui a fine secolo le temperature calde del Mediterraneo potrebbero arrestare la circolazione dell’acqua tra superficie e profondità. È una sorta di respirazione del mare, che alimenta tutto l’ecosistema. Se ciò avverrà, il Mediterraneo del futuro diventerà un mare morto».
Non è una bella previsione.