ANDREA BATTAGLINI, Praga d’inchiostro: da Kafka alla Zgustova via Kundera –LA STAMPA DEL 28 LUGLIO 2022

 

LA STAMPA DEL 28 LUGLIO 2022
https://www.lastampa.it/viaggi/mondo/2022/07/28/
news/praga_dinchiostro_da_kafka_alla_
zgustova_via_kundera-5477681/?ref=ST-LA-2

 

È stata “maledetta” da Franz Kafka, da Jaroslav Husek, da Bohumil Hrabal, da Saint Vaclav come era chiamato il drammaturgo-ex presidente Vaclav Havel eroe ormai leggendario della “Rivoluzione di Velluto”; detta e ridetta da Kundera e, ultima ma non meno importante, dalla scrittrice ceco-spagnola Monika Zgustova nel saggio “La bella straniera” appena uscito nel pentangolo iberico.

La bella Praga straniera e lo sradicamento

La Zgustova parla della sua città natale, quella che conosce meglio: soprattutto la Praga letteraria tracciata nel periodo tra le due guerre. «Era una città con lingue, culture e religioni diverse. Si parlava ceco, tedesco, yiddish e anche russo, dagli immigrati che arrivavano da quel paese. E coesistevano vari stili architettonici: italiano, art nouveau, mitteleuropeo… Quando vado amo tornare nei luoghi importanti come le diverse case dove visse Franz Kafka, che erano tante: da quella che aveva nella Città Vecchia a quella nel Vicolo d’Oro, vicino al castello. Lì, al numero 22, c’è la casetta dove andò a lavorare e a rifugiarsi dal padre. E, naturalmente, ci sono ancora i caffè letterari, essenziali per la cultura della città. Il primo capitolo del mio libro è dedicato a questi luoghi. Mi piace ricordare Milena, l’amore di Kafka, e andare a casa sua, che è nel centro dove finisce piazza Venceslao.

E di solito vado al ristorante Století, che significa “il secolo”. È gestito da un aristocratico che è anche lo chef. Combina le ricette tradizionali ceche con l’alta cucina. È vicino al fiume della città, la Moldava. Vado spesso allo “Slavia”. La cultura ceca del 20° secolo gli deve molto. Venivano dal premio Nobel Jaroslav Seifert negli anni ’20 allo scrittore Bohumil Hrabal, anche se queste frequentazioni riguardavano soprattutto i birrifici. Allo “Slavia” si riunì anche il gruppo surrealista di Praga, che in epoca comunista era il caffè dei dissidenti. Più tardi, durante gli ultimi anni di vita dell’ex presidente e scrittore Václav Havel, l’ho sempre incontrato lì. Era un uomo molto speciale».

Praga, quasi come Pietroburgo, è da sempre una città prepotentemente letteraria, indissolubile dai suoi scrittori. Non è un caso infatti se per anni alla guida del paese ci sia stato uno scrittore, un drammaturgo che seppe con­quistare la stima e l’affetto di mezzo mondo, diplomatico e non. Vissuta in carne e ossa, in colore e in pietra, ebbri di passione o di nostalgia, i fantasmi letterari sono inevitabili. Anche “se potrebbe stare nello spazio metaforico di un fazzoletto”, alle sue infinite e magiche tentazioni nessuno scrittore ha saputo sfuggire. L’ha raccontata nelle sue “passeggiate” Kafka (nei suoi “Diari”), nelle sue birrerie Hasek con il suo buon soldato Sveik e Hrabal attraverso i discorsi dei suoi bevitori e, negata apparentemente, l’ha detta e ridetta Kundera. Tutti hanno espresso la sua condanna senza rimedio, il suo accigliato malumore, i “suoi frammenti gettati e staccati chissà da dove” (Kundera), ma poi si sono piegati ai suoi musicali rapporti architettonici che si concretano ora barocchi e gotici, ora rinascimentali e liberty, quasi avessero seguito nel loro farsi ed apparire le vibranti note di una polka di Smetana.

 

 

 

 

Perfino nella Praga dei carri armati sovietici, “nella città coperta di manifesti dipinti a mano con scritti di scherno, epigrammi e poesie, caricature di Breznev e del suo talento”,  Teresa, una delle protagoniste dell’Insostenibile leggerezza dell’essere, non riesce a evitare le bellezze premeditate, il suo vivaio di fantasmi. “Praga non molla…non molla noi due. Questa mammina ha gli artigli. In due punti dovremmo appiccarle il fuoco, al Viserad e al Hradschin, e così sarebbe possibile liberarci” aveva già scritto Kafka. E anche Kundera non va molto lontano guidando Teresa nei dintorni del quartiere-fortezza di Viserad dove sventolano le bandiere delle ambasciate straniere e dove nelle vetrine dei negozi e delle birrerie che affollano la Nerudova convivono oggi i ritratti di Bush e di Havel, di Masarik e di Dubcek: “Adesso salirai nella collina di Petrin. Salirai in cima e capirai tutto…Cominciò a salire l’altura verdeggiante che si erge al centro di Praga e ogni tanto si fermava a guardare indietro: vedeva sotto di sé un’infilata di torri e di ponti : i santi agitavano i pugni minacciosi e fissavano le nuvole con occhi di pietra. Era la più bella città del mondo”. Kundera si è dunque “tradito”. Indimenticabile, e forse insostenibile, è il ricordo del magnifico ponte trecentesco di Carlo IV, il capolavoro di Peter Parler gonfio di statue di santi dove ora si ritrovano i giovani a suonare, a discutere e a vendere riproduzioni della statua della libertà newyorchese, e della vista da Petrin che abbraccia la fortezza, dei palazzi barocchi e rinascimentali di Mala Strana e della Moldava.

 

 

 

 

Neanche la memoria delle periferie praghesi, i quartieri operai, “gli interni con gradini consumati di una scala di pietra”, i palazzi tenuti in rovina dai praghesi “per non dare la possibilità a qualche polacco o a qualche tedesco di accusarli di aver sofferto poco”, possono cancellare le vere immagini della città d’oro, della Praga che conta. Perché Praga è tutto e, ambigua, il contrario di tutto. Angoscia e gioia, colline, giardini, fiume e cieli che si specchiano al rovescio, per contrappunto musicale, nei vicoli e nei cunicoli di Mala Strana (la città piccola), nei cortili segreti, nei sottopassi, nelle doppie uscite celate agli sguardi degli ignari turisti di Stare Mesto (la città vecchia) e percorsi più volte dai protagonisti kafkiani.

 

 

 

 

E come non scrivere della Starometske nàmesti, della piazza della città vecchia, la più cara ai cittadini praghesi per secoli testimone di tutte le manifestazioni, da quelle antiasburgiche e anticattoliche a quelle antisovietiche?

“Arrivò nella piazza della città vecchia con la severa cattedrale di Tyn e le case barocche disposte in quadrilatero irregolare. Il vecchio municipio occupava tutto un lato della piazza…”. E’ una piazza, come tutta la città, da scoprire lentamente, gustando l’atmosfera sobria, elegante dell’elaborato municipio costituito dalla casa trecentesca di un mercante cui si affianca la torre del celebre orologio astronomico (1410-1490) dalle cui finestre sfilano il Cristo, gli apostoli, l’avaro, il vanitoso e lo scheletro: memento mori del maestro orologiaio Hanus di Ruze. Segna le ore mercantili, mentre le campane di Tyn, la chiesa che si affaccia “pinnacolata” a nord della piazza, ricordano il tempo della chiesa: fino al 1620 quello della predicazione hussita. Come in molti altri interni praghesi, sacri e profani, anche a Tyn si riuniscono preziosi tesori d’arte in silenzioso colloquio tra loro: il pulpito, il baldacchino gotico, l’organo e gli altari barocchi si alternano quasi mescolandosi. E’ la stessa altalena stilistica che scandisce le facciate della piazza Staromestska. Quello di Praga è infatti un’avvicendarsi di stili dissimili meravigliosamente composti che non riesce mai a sovvertire una propria continuità estetica. Una continuità creata dal regno gotico trecentesco di Carlo IV a quello, meno severo, dell’ultimo liberty – della Secese praghese – che ha la sua apoteosi nell’Obecni Dum che alberga una delle sale-concerto più belle d’Europa, nella casa Petrovka, nel panoramico Padiglione Hanavsky, della stazione Centrale di Josef Fanta e di tanti alberghi “floreali”.

 

 

 

 

Eterogeneità dunque che si apprezza nel quartiere ebraico di Josefov, il ghetto più citato e visitato del vecchio continente tanto che neanche Kundera può esimersi dal farlo: “Il cimitero dove le lapide piombate dal cielo si perdono nel fogliame… quando fa buio è pieno di candeline accese, come se i morti stessero organizzando un ballo infantile”. Si riferisce al Beth-Hachajim, la “casa della vita” come si chiama l’esemplare cimitero, uno dei più importanti e antichi d’Europa dove le lastre tombali che portano gli emblemi simbolici e parlanti delle famiglie (ad esempio due mani per gli Aaron o un leone per i Low e una carpa per i Karpeles), sono conficcate e accatastate una sull’altra come se fossero state catapultate dalla cima di Petrin.

 

 

Frantisek Kupka e la città che sale

Nell’interessante e nuovo Kampa Museum d’Arte Moderna (U Sovovych mlynù 2), ricavato in un vecchio mulino della pittoresca isoletta di Na Kampa, c’è una favolosa raccolta di Frantisek Kupka (1871-1957), uno dei più singolari interpreti dell’avanguardia astratta.

Il suo quadro più celebre però è, a oggi, conservato alla storica Narodni Galerie (Hradcanské nàméstì 15) : “Tasti di pianoforte” del 1909.

Nell’olio di Kupka da una stilizzata tastiera sale, sopra all’acqua blu cobalto (la Moldava-la Senna), un’impetuosa città sospesa verde-rossa-blu: note cromatiche che si concretano in una reticolo urbano (Praga-Parigi) trasfigurato. E’ forse un omaggio alla musica di forti contrasti drammatici del compositore moravo Leos Janàcek.

Kupka emigrato a Parigi nel 1885 con Robert Delaunay è uno dei principali interpreti dell’orfismo, movimento pittorico che, su canovacci cubisti, studiò e dipinse analogie tra colore, luce e musica.

FRANTISEK KUPKA, TASTI DI PIANOFORTE, 1909

INFO

– praguecitytourism.cz

– visitczechrepublic.com

– touristinprague.com

 

ARRIVARE

Con wizzair.comryanair.com e easyjet.com

 

DORMIRE E MANGIARE
Nel quartiere di Bubeneč, l’Art Hotel è anche vicino allo stadio Sparta Praga. Tra i tantissimi alberghi sorti o ristrutturati dal 1989 alcuni sono ricavati in meravigliosi edifici in stile Secese o art nouveau. Il Pariz venne costruito nel 1904 dall’architetto Vejrych. Il Savoy sulla collina vicino al Castello risale alla fine dell’Ottocento, e in stile “liberty” è rimasta solo la facciata. L’Art Nouveau Palace Hotel è considerato il miglior albergo della città. Anche i bagni sono decorati con dettagli in stile art nouveau. Negli anni Venti era luogo d’incontro di uomini politici e letterati.

 

 

 

 

Praga 6 è un centro diversificato di calma e freschezza, con i distretti adiacenti Bubeneč e Dejvice che rappresentano la scelta “colta”. Il mercato del contadino, che si tiene ogni sabato merita sicuramente una sosta per acquistare la marmellata di mirtilli locali, la smaženka (pane alle uova con verdure fresche) o i succulenti dischi di gustoso formaggio Olomouc . Per le torte, la pasticceria senza glutine Buchta è una rivelazione. Serve colorati sformati di crema pasticcera e amaretti vegani. Klášterní šenk, all’interno del tranquillo e verdeggiante parco del monastero di Břevnov del X secolo, è un centro vegetariano. La zuppa di funghi – servita in una ciotola normale o di pane – è una festa gustosa, come il cremoso risotto alla zucca. Il ristorante serbo Jelica è delizioso: le tende ricamate e i piatti in ceramica conferiscono al posto un tocco di benvenuto di kitsch jugoslavo, e le zucchine ripiene e le insalate balcaniche sono incredibili. Se si ha voglia di carne alla Kantýna servono piatti di maiale “stirato”. È un pub alla moda in stile self-service con cibo incredibile.

DI NOTTE

Al Capone’s, appena fuori da via Národni, è un cocktail bar popolare con pubblico più giovane. Per assistere a un concerto dal vivo, Meet Factory è una buona scommessa: di proprietà del ribelle dell’arte David Černý, questo mattatoio riconvertito è uno spazio creativo durante il giorno ma che di notte si trasforma in un bar con band di musica elettronica e americana alla moda.

 

 

 

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1 risposta a ANDREA BATTAGLINI, Praga d’inchiostro: da Kafka alla Zgustova via Kundera –LA STAMPA DEL 28 LUGLIO 2022

  1. DONATELLA scrive:

    Praga, per quel poco tempo in cui l’ho vista, è una città che andrebbe vissuta e scoperta lentamente ( come del resto qualsiasi città, piccola o grande). Una delle cose che mi è rimasta più impressa è il mangiare: fanno delle zuppe eccezionali.

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