LIMESONLINE DEL 30 DICEMBRE 2015
https://www.limesonline.com/cartaceo/in-memoria-di-lumumba
IN MEMORIA DI LUMUMBA
[Patrice Lumumba nel 1960. Foto di Sovfoto/UIG via Getty Images.]
Nel gennaio 1961 muore il campione dell’indipendenza congolese, tradito dal suo amico e sodale Mobutu. La sua ‘lotta di lacrime, fuoco e fiamme’ si lascia dietro un’enorme eredità morale, con cui ancora oggi l’Africa si misura.
di Paolo Sannella
AMBASCIATORE IN COSTA D’AVORIO (2001-2005)
https://www.ispionline.it/it/bio/paolo-sannella
1. Nella sua magnifica ricostruzione della storia del Congo, David Van Reybrouck così vede il giovane Patrice Lumumba all’inizio di quel cruciale anno per l’indipendenza del suo paese che fu il 1959.
Il 4 gennaio Lumumba era da poco uscito di prigione, dov’era stato rinchiuso per il suo ruolo di già affermato ispiratore dei movimenti politici impegnati con sempre maggior forza sul fronte della lotta per l’indipendenza. Da poco aveva conosciuto un altro combattente per la stessa causa, Joseph Mobutu, il militare diventato giornalista di cui leggeva in prigione gli articoli su Actualités Africaines. Quel giorno la situazione era tesa nel paese, con le prospettive di indipendenza sempre più concrete e imminenti. Si avevano notizie di scontri e gli animi sempre più eccitati nutrivano paure e speranze.
Lumumba era reduce da una grande manifestazione popolare tenutasi la settimana precedente, dove aveva tenuto un grande discorso davanti a una folla festante ed elettrizzata. Quel giorno invece, come ormai da alcune domeniche, aveva deciso di recarsi a pranzo a casa di Mobutu, della cui moglie apprezzava con gusto la cucina.
I due amici sapevano che in centro città era in programma un altro grande raduno politico organizzato dal movimento Abako ed erano consapevoli della pericolosità del momento. Non disponevano di un’automobile, ma solo del vecchio scooter di Mobutu.
Così li vede Van Reybrouck, insieme sul motorino: Mobutu, ventotto anni, alla guida e Lumumba, trentatré, seduto dietro, che parlano ad alta voce per superare il rumore del motore nell’aria calda di quel pomeriggio a Léopoldville. Due amici uniti da una comunanza ideale e da una speranza, su cui invece incombe un drammatico destino. Non passerà infatti molto tempo che proprio l’amico Mobutu condannerà Lumumba alla sua tragica morte.
Pochi anni e si compie il destino di Lumumba, che lascia dietro di sé un’eredità enorme con cui l’Africa ancora si misura. Troppo in troppo poco tempo. Un quinquennio forse la sua vita politica, pochi mesi quella di uomo di governo.
Capo del primo esecutivo del Congo indipendente il 30 giugno 1960, giorno della festa e del trionfo, a settembre viene allontanato dal potere,accusato di ogni infamia in un crescendo di umiliazioni, tradimenti e atroci torture, prima della sua barbara uccisione il 17 gennaio dell’anno successivo. Muore lasciando un’immagine di coerenza e determinazione che incarna valori profondi e inalienabili.
Umiliazione è parola poco impiegata in politica, che appare di rado anche nell’analisi storica. Eppure, si commetterebbe un grave errore di prospettiva a trascurare questo fattore allorché si parla di colonizzazione in Africa e dei movimenti di resistenza. Di ciò sono profondamente consapevoli gli africani, che promossero e animarono quella commissione nata nel 1998 sotto gli auspici delle Nazioni Unite per individuare priorità e prospettive per il continente nel terzo millennio.
Sotto la guida del professor Albert Tévoédjirè, un gruppo di intellettuali africani di diversa origine e provenienza lavorò per tre anni all’elaborazione di un rapporto che si intitolava molto significativamente Vincere l’umiliazione.
Umiliazione di un continente, della sua cultura, dei suoi cittadini, delle sue istituzioni.
Interessante notare che di quel gruppo faceva parte anche il professore Georges Nzongola, lo stesso che ci propone oggi la lettura dei discorsi di Patrice Lumumba, uno dei più amati e riconosciti eroi dell’indipendenza africana.
Nella prefazione al rapporto, Amartya Sen scrive: «Non si esagera parlando di effetti devastanti dell’umiliazione sulla vita degli uomini e sull’efficacia dell’organizzazione sociale. (…) L’assoggettamento e la denigrazione a cui l’Africa è stata sottoposta nello scorso millennio hanno trasmesso ai popoli africani un’eredità fortemente negativa contro cui essi devono battersi».
Ritengo che la battaglia di Lumumba e l’eroico, drammatico sacrificio della sua vita vadano inquadrati su questo sfondo e letti alla luce di questa verità storica.
2. Del periodo coloniale, dei suoi fatti e misfatti, si è molto scritto e discusso.
Condannato senza riserve dai più, viene difeso da chi vi vede
uno strumento per rendere effettiva la trasmissione dei modelli di sapere e di organizzazione sociale.
Nessuno però nega che il sistema politico coloniale fosse basato sulla dominazione e sull’esercizio della violenza.
Nei regimi politici imposti dall’Europa a quasi tutta l’Africa e a gran parte dell’Asia e del Medio Oriente, il colonizzatore aveva il diritto d’imporre il proprio modello culturale sostituendo o emarginando quelli locali, di cui si denigravano o negavano valori e qualità.
La storia è certo un lungo elenco di vittorie e di sconfitte, di popoli che si affermano a danno di altri, di regimi sostituiti da altri, di modelli di vita che si intrecciano per superarsi continuamente. Queste vicende sono state sempre accompagnate dal dolore dei vinti, dall’angosciosa attesa delle guerre e dal terrore della violenza.
Raramente però era accaduto in passato quanto divenne invece regola nel sistema di governo proprio del colonialismo europeo ottocentesco e in parte dei primi del Novecento. In modo particolare di quello europeo in Africa e in modo ancora più evidente nel sistema coloniale belga imposto alle popolazioni del Congo.
Siamo lontanissimi dalle guerre fra popoli che si richiamano agli stessi sistemi di valori: da una Roma che sconfigge la Grecia per farsi poi vincere da quella cultura e aprirsi senza riserve alla «grecizzazione». Alle culture e tradizioni dell’Africa, ai popoli vinti dell’Africa si nega ogni riconoscimento, ogni virtù, ogni rispetto, consentendo solo ad alcuni la possibilità di farsi assimilare dalla cultura dei vincitori dimenticando e annientando se stessi. Sembrava addirittura lecito e corretto chiedersi se l’uomo africano avesse un’anima e se quindi esistessero limiti al suo sfruttamento e alla dominazione.
Lumumba ha tutto questo nel suo passato di giovane intellettuale nero, figlio di quel Congo del rapporto di Roger Casement. Questa è la profonda radice della sua rivolta, di quell’amore fatto di compassione e di orgoglio ferito per il suo popolo, per i suoi fratelli e per gli antenati che hanno tanto sofferto.
Nel celebre discorso di Accra, Lumumba pone alla base della lotta per la libertà la sua opposizione «alla dominazione, all’ingiustizia e agli abusi» che sono propri del colonialismo. Molti hanno scritto sul valore politico della sua eredità, come lo stesso Nzongola nella sua ricca e dotta prefazione. Così come hanno scritto del suo coraggio e della sua determinazione.
Nel suo pregevole libro sul pensiero politico africano, Guy Martin colloca Lumumba nella categoria un po’ anomala dei socialisti-populisti o popolar-socialisti ed è certo che egli, chiamato a prendere posizione su temi di attualità, espresse orientamenti classificabili in queste pur incerte categorie.
Tuttavia calcolò male i rapporti di forza, non seppe distinguere i veri amici, non valutò adeguatamente la malvagia e oscura forza dei suoi nemici: furono questi errori che gli costarono la vita e l’orrore del barbaro martirio. Guardava infatti lontano e con occhi diversi il dolore che vedeva intorno a sé.
Per questo mi sembra di poter dire che l’essenza del suo messaggio e della sua eredità va al di là di queste classificazioni, del suo essere congolese, africano e nero. Lumumba è il grande, luminoso campione che rivendica la dignità degli oppressi, il loro diritto a vivere senza il giogo dei potenti.
Nel suo grande discorso dell’indipendenza il 30 giugno 1960, Lumumba sembra dettare il suo epitaffio allorché, ricordando la lotta di «lacrime, fuoco e fiamme» del suo popolo per la libertà, dice: «Fu una lotta giusta, una lotta indispensabile per porre fine all’umiliante schiavitù che ci è stata imposta con la forza».*
NOTA . 1 :
Si tratta del documento, pubblicato per la prima volta in Italia a cura di Mario Scotognella, che Casement (1864- 1916), diplomatico irlandese al servizio di Sua Maestà, presentò al parlamento britannico nel 1904. Dal 5 giugno all’11 settembre del 1903, risalì il fiume Congo e viaggiò lungo i fiumi Lulonga e Lopori (oggi Repubblica democratica del Congo) e stilò il rapporto sulla base delle sue osservazioni. Un atto d’accusa al colonialismo belga: massacri, mutilazioni, riduzione in schiavitù, sottrazione di risorse. Una commissione d’inchiesta, istituita da re Leopoldo del Belgio, confermò le accuse formulate dal diplomatico. Secondo il premio Nobel per la letteratura Mario Vargas Llosa, «Casement è stato uno dei primi europei ad aver avuto una chiara coscienza di cosa fosse realmente il colonialismo».
NOTA . 2
Feltrinelli, 2016
Si parte dal gigantesco estuario del fiume Congo, come i colonizzatori, i missionari, i bianchi hanno sempre fatto. Un getto possente di detriti, terra, alberi che trasforma l’oceano in un brodo torbido per centinaia di chilometri: “Le immagini del satellite lo mostrano chiaramente: una macchia brunastra che, durante il picco della stagione dei monsoni, si estende verso ovest per ottocento chilometri. Quando ho visto per la prima volta delle fotografie aeree mi è venuta in mente una persona che si era tagliata i polsi e li teneva sotto l’acqua, ma per sempre. Così, quindi, comincia un paese: diluito in una grande quantità di acqua di oceano”. E poi, attraverso centinaia di interviste con congolesi di tutte le età e le etnie, attraverso lo studio della storia, dell’archeologia, della geografia e della climatologia, attraverso una scrittura tersa e coinvolgente, si va alla scoperta di un paese, di un popolo, di un continente. Dai primi insediamenti preistorici agli orrori della dominazione coloniale belga, dall’indipendenza alle guerre civili, attraverso giungle e città, montagne di ghiacciai perenni e pianure rigogliose, miniere di ogni minerale prezioso e una natura ricchissima e incontaminata, un libro che davvero restituisce un mondo.
David Van Reybrouck
È uno dei più importanti intellettuali in Belgio, è ricercatore, giornalista, poeta. Ha scritto numerosi libri, ma è con Congo (Feltrinelli, 2014) che ha ottenuto rinomanza internazionale. È presidente del Pen Club belga. Nel 2011 ha lanciato in Belgio il progetto G1000, una piattaforma di innovazione democratica per aumentare la partecipazione dei cittadini al processo politico. A questi temi ha dedicato il saggio Contro le elezioni. Perché votare non è più democratico (Feltrinelli 2015).
( DA: IBS )
C’E IL PROFILO SU WIKIPEDIA :
https://it.wikipedia.org/wiki/David_Van_Reybrouck
AGGIUNTA – 1
Contro le elezioni. Perché votare non è più democratico
Feltrinelli, 2015
In tutta Europa, i cittadini votano sempre meno, sono sempre più inclini a prestare fede a retoriche populiste, non credono più nella classe politica. Che fare? In molti si sono posti questo interrogativo, ma in pochi hanno risposto con una proposta altrettanto radicale e sorprendente di quella di David van Reybrouck: abolire le elezioni, non scegliere più con il meccanismo elettorale i componenti del Parlamento. E affidarsi al sorteggio per determinare coloro i quali hanno la responsabilità di scrivere le leggi dello stato. Se ci sembra inconcepibile un simile scenario, sostiene van Reybrouck, è perché abbiamo un’idea sbagliata della funzione e dei vantaggi delle elezioni come metodo di selezione della classe dirigente. Per molti di noi, le libere elezioni a suffragio universale sono sinonimo di democrazia, e solo i regimi totalitari le hanno abolite. Ma la storia dell’affermarsi delle elezioni nei sistemi politici europei è molto meno lineare e contiene diverse sorprese. David van Reybrouck porta alla luce un dibattito sui pregi e i difetti della democrazia partecipativa che nelle università è in corso da tempo, e offre al lettore una serie incredibile di idee nuove, esperienze pratiche, tentativi concreti di nuovi modelli di governance. Ma cosa significa per una società contemporanea fare a meno delle elezioni?
AGGIUNTA – 2
Zinco
Una storia d’attualità che illustra la vicenda paradossale di un piccolo territorio neutrale fra Belgio, Olanda e Germania.
«Zinco si intitola il piccolo, miracoloso libro che David Van Reybriuck dedica a una vicenda minima quanto esemplare: quella di un luogo sul quale i diplomatici olandesi e prussiani dell’epoca non riuscirono a mettersi d’accordo arrivando a dividere il territorio del comune di Moresnet in tre parti» – Alberto Riva, Il Venerdì
L’incredibile racconto si legge attraverso il destino di Emil Rixen, l’uomo che ha cambiato cinque volte nazionalità senza avere mai attraversato il confine. Sono le frontiere che l’hanno attraversato, scrive l’autore a proposito del destino singolare del protagonista che ha vissuto un periodo di neutralità speciale in un lembo di terra conosciuta per un giacimento di zinco.
SE AVETE VOGLIA..
LUCA SCARLINI :: Moresnet, un borgo tra Germania, Belgio, Olanda –IL MANIFESTO — 7 GIUGNO 2020 ++ link di AVVENIRE, 1 maggio 2020 SULLO STESSO LIBRO