IL FATTO QUOTIDIANO DEL 1 APRILE 2022
https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/04/01/girolamo-li-causi-il-comunista-che-invento-lantimafia-e-ando-a-parlare-nella-piazza-del-boss-che-gli-fece-sparare/4265688/
Girolamo Li Causi, il comunista che “inventò” l’antimafia. E andò a parlare nella piazza del boss (che gli fece sparare)
Carocci, 2018-
Intellettuale e irruente tribuno, rivoluzionario di professione e incontestata icona antimafia, in bilico tra Sorel, Lenin e Gramsci, Girolamo Li Causi ha incarnato lo slancio degli esordi, i momenti più neri, i fasti e le aporie del movimento operaio italiano del Novecento. Il suo ruolo è stato rilevante e, per certi aspetti, determinante nel psi massimalista di Serrati, nell’organizzazione dell’attività clandestina comunista durante il fascismo, nella formazione della cultura economica del PCI, nell’elaborazione della sua linea meridionalista, nella politica siciliana, nel processo che avrebbe condotto negli anni Sessanta alla reinvenzione di un’antimafia di Stato. Basato su una vasta documentazione d’archivio inedita raccolta tra l’Italia e Mosca, pubblica e privata, il libro analizza per la prima volta l’intero percorso politico del popolare dirigente socialista e comunista, proponendo uno sguardo singolare sulla storia della sinistra e del paese.
È una figura fondamentale della sinistra italiana quella ricostruita e raccontata da Massimo Asta nel libro Un rivoluzionario del Novecento, edito da Carocci. Lo hanno definito un intellettuale in bilico tra Sorel, Lenin e Gramsci, un rivoluzionario di professione. Di sicuro c’è che l’esponente comunista è una protagonista indiscusso nella storia del movimento operaio italiano del Novecento, nella formazione della cultura economica del Pci, nell’elaborazione della sua linea meridionalista
“Non è vero. È falso, è falso“. È 16 settembre del 1944 e don Calogero Vizzini, lo storico boss di Cosa nostra, è nervoso. Nella piazza di Villalba – il suo regno da mille e poco più anime nel cuore agricolo della Sicilia, sole che brucia le campagne e contadini piegati al padrone dalla violenza dei mafiosi – i comunisti si sono permessi di venire a tenere un comizio. Anzi non i comunisti: il numero uno del Partito comunista in Sicilia. In quella piazza di Villalba, minuscola capitale della mafia agraria, è arrivato addirittura Girolamo Li Causi, dirigente rosso che quindici anni di carcere fascista non sono riusciti a piegare. Una figura fondamentale della sinistra italiana, ricostruita e raccontata da Massimo Asta nel libro Girolamo Li Causi, un rivoluzionario del Novecento, edito da Carocci.Storico e ricercatore all’università di Sciences Po, a Parigi, Asta ha raccolto una vasta documentazione inedita tra l’Italia e Mosca, per analizzare il percorso politico di Li Causi, nativo di Termini Imerese, in provincia di Palermo. Già determinante nel Psi massimalista di Serrati, convertito al comunismo nel 1924, dopo la scarcerazione Li Causi si unisce ai partigiani. Quindi viene mandato in Sicilia per organizzare il Pci, di cui sarà primo segretario sull’isola. Lo hanno definito un intellettuale in bilico tra Sorel, Lenin e Gramsci, un rivoluzionario di professione. Di sicuro c’è che Li Causi è una protagonista indiscusso nella storia del movimento operaio italiano del Novecento, nella formazione della cultura economica del Pci, nell’elaborazione della sua linea meridionalista, nel processo che avrebbe condotto negli anni Sessanta alla reinvenzione di un’antimafia di Stato. Già l’antimafia. Nata forse quel giorno di settembre del ’44 a Villalba. Quando la polizia e i carabinieri consigliano a Li Causi e i suoi di non andare a parlare nel regno di don Calò, di non provocare il patriarca mafioso, legato alla Democrazia cristiana e ai separatisti che in quei mesi lavorano per tentare di fare della Sicilia la 49esima stella degli Stati Uniti d’America.E infatti l’inizio di quel comizio è difficoltoso. Anche perché, arrivati nella piazza a bordo di un camion, i comunisti si rendono conto che non possono cominciare a parlare. Il motivo? Le campane della chiesa suonate continuamente dall’arciprete di Villalba, che è il fratello di don Calogero. “Passò quasi un’ ora: gli uomini aspettavano nervosi, le campane assordavano la piazza, don Calogero fumava. Finalmente il suono finì e il comizio poté cominciare”, ricostruì sull’Espresso Eugenio Scalfari nel 1956. All’inizio non c’era nessuno, a parte Li Causi e i suoi amici democristiani e separatisti. Piano piano, però, arrivarono una serie di curiosi che apprezzavano i concetti espressi da Li Causi: le terre da togliere ai latifondisti protetti dai gabellotti mafiosi per distribuirle ai contadini. È a quel punto che Vizzini perde la calma forse per l’unica volta nella sua vita: “Non è vero. È falso, è falso“. Fu una specie di segnale: da nulla comparvero una serie di pistole, subito utilizzate contro il palco improvvisato dei rossi e persino alcune bombe a mano. Diversi i feriti, compreso Li Causi che venne colpito a una gamba.
Più volte deputato e senatore, eletto all’Assemblea costituente, il dirigente comunista era anche tra gli obiettivi della strage di Portella della Ginestra il primo maggio del 1947. Episodio sul quale Asta ricostruisce una parte totalmente inedita: poco dopo l’eccidio, infatti, Li Causi ha dovuto utilizzare tutta la sua autorità per impedire una “rappresaglia fuori controllo contro noti esponenti mafiosi e alcuni latifondisti” che un gruppo di comunisti avrebbe voluto mettere in atto sull’onda dell’emozione prodotta dalla strage. Quattordici morti, decine di feriti, tra contadini, donne, bambini che festeggiavano la festa dei lavoratori. Pochi giorni prima il Blocco del popolo aveva vinto le elezioni regionali in Sicilia con il 32% (contro il 20% della Dc). Occorreva un segnale. Si manifestò con le armi di Salvatore Giuliano, della sua banda, e probabilmente non solo. D’altra parte quella di Portella è una strage ancora oggi irrisolta. La prima di una lunga serie nell’Italia repubblicana.
NOTA :
LA VITTORIA ELETTORALE DEL ” BLOCCO DEL POPOLO ” E LA STRAGE DI PORTELLA DELLA GINESTRA
IL MANIFESTO DEL 31 LUGLIO 2018
https://ilmanifesto.it/il-dirigente-del-pci-che-tallonava-togliatti
Il dirigente del Pci che tallonava Togliatti
SCAFFALE. «Girolamo Li Causi, un rivoluzionario del Novecento. 1896-1977» di Massimo Asta, per Carocci. L’avventurosa vita del politico siciliano
MANFREDI ALBERTI — TORINO, 1984 – Storia del pensiero economico, UNIV PALERMO
Manfredi Alberti
Come ha affermato Plechanov in un noto scritto di fine Ottocento, le grandi personalità della storia sono tali nella misura in cui riescono a interpretare al meglio e con determinazione le forze e le tendenze in atto nella società, indirizzandole in modo coerente.
L’INESTRICABILITÀ del rapporto fra le biografie individuali e le forze collettive è particolarmente evidente nel caso del comunismo novecentesco, i cui grandi dirigenti hanno sempre avuto alle spalle un grande partito, una forza organizzata in grado di creare, nel contesto dato, virtuose sinergie fra i singoli e il gruppo di riferimento. Sotto questo profilo non fa eccezione la vicenda del comunismo italiano, come si può evincere dal rigoroso e documentato lavoro di ricerca di Massimo Asta, dedicato all’avventurosa vita di Girolamo Li Causi, uno dei dirigenti più popolari del Pci nella prima metà del Novecento, negli anni ’50 il candidato comunista più votato dopo Togliatti; un uomo capace di infiammare le masse non solo grazie alle parole, ma anche con il linguaggio del corpo (Girolamo Li Causi, un rivoluzionario del Novecento. 1896-1977, Carocci, pp. 328, euro 33).
NATO A TERMINI IMERESE nel 1896, Li Causi si forma durante l’età giolittiana, osservando dal Sud l’incapacità dello Stato liberale di realizzare una reale inclusione dei lavoratori nella vita politica nazionale. Dopo aver ottenuto il diploma di ragioneria, si sposta a Venezia dove si iscrive alla Scuola superiore di commercio di Ca’ Foscari. Il suo approdo al socialismo avviene subito dopo le elezioni politiche del 1913, segnate da un avanzamento senza precedenti del Psi. Incontra allora il leader massimalista Serrati, di cui diviene il più stretto collaboratore. L’interesse di Li Causi per l’analisi economica si rivela sin dalla sua tesi di laurea, dedicata al nesso fra protezionismo, nazionalismo e guerra. Li Causi non è un comunista della prima ora: entra infatti nel Pci solo nel 1924, mettendo presto a frutto, anche dalle colonne dell’Unità, le sue capacità di analisi economica. Come molti oppositori del fascismo Li Causi è arrestato nel 1928.
INIZIA UNA LUNGA FASE di carcere e confino: nelle diverse tappe della prigionia – l’isola d’Elba, Lucca, Civitavecchia, Ponza, Ventotene – ha modo di confrontarsi con altri antifascisti, tra cui Altiero Spinelli. Insieme a Pietro Grifone, suo compagno di partito e di prigionia nelle isole pontine, si dedica agli studi sul capitale finanziario in Italia, con un’attenzione particolare al ruolo svolto dall’Iri nelle politiche economiche del fascismo.
Dopo la caduta del fascismo Li Causi diventa un protagonista della Resistenza, essendo uno dei quattro membri della Direzione del Pci destinati al Centronord. In seguito il suo partito decide per lui un impegno politico nella sua regione d’origine, la Sicilia, dove è chiamato a riorganizzare il partito stesso e a coniugare l’autonomismo con la strategia togliattiana della democrazia progressiva.
Il contesto siciliano si rivela presto quanto mai turbolento: nel settembre del 1944, mentre tiene un comizio a Villalba, Li Causi viene colpito da un attentato mafioso, riportando un danno al ginocchio che lo avrebbe reso per sempre claudicante. È solo l’inizio di una lunga strategia terroristica volta a colpire il movimento contadino in ascesa; il primo maggio del 1947 si consuma la strage di Portella della Ginestra, primo esempio di «strategia della tensione». La drammaticità di questi eventi porta il Pci, sollecitato da Li Causi, a riaffermare il suo netto posizionamento contro la mafia e i poteri forti a essa legati. Oltre a svolgere un ruolo di primo piano nel partito a livello nazionale, dal 1945 al 1960 Li Causi è segretario del Pci siciliano, guidando il partito, tra successi e sconfitte, in anni cruciali per la costruzione di una cornice istituzionale democratica e per la conquista di basilari conquiste per i lavoratori.
NEI MESI CHE VEDONO la definizione del ruolo della Sicilia come regione autonoma, Li Causi è tra i promotori dell’industrializzazione dell’Isola, contrastando al contempo il ruolo dei grandi monopoli privati, come quello elettrico. Pochi anni dopo, nell’ambito dell’approvazione della riforma agraria, si impegna per ottenere soluzioni più avanzate a tutela dei contadini senza terra. Alla fine degli anni ’50, gestendo il controverso sostegno del Pci ai governi regionali di Milazzo, sarà tra i primi a trarne un giudizio fortemente negativo.
Tra i suoi ultimi impegni rilevanti vi è la partecipazione ai lavori della Commissione antimafia nata nel 1962, di cui diviene un protagonista per un decennio, alla costante ricerca di soluzioni innovative ed efficaci. Biografie come quella di Li Causi costituiscono un esempio di impegno politico in cui il rigore dell’analisi si coniuga con una passione e una vitalità inesauribili. Modelli che appaiono oggi difficilmente eguagliabili, in un tempo di inesorabile deterioramento della qualità dell’azione politica.
Incredibile il coraggio di questo grande personaggio della Sinistra italiana!