ROLAND TOPOR CON LA FIGLIA
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Roland Topor, che nasce a Parigi nel 1938 da genitori polacchi e muore nel 1997, sfugge in ogni caso a definizioni settorializzanti. Romanziere di buon successo (un suo racconto, La locataire chimérique, fu tradotto in film, L’inquilino del terzo piano, da Roman Polanski), pittore, disegnatore, animatore (preparò i disegni per il cartone animato di René Laloux Le planète sauvage).
IL SERPENTE
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Nell’opera solitaria di Roland Topor si trovano affinità con i grandi movimenti artistici del novecento (Dada, la metafisica, Fluxus, la Pop Art…) naturalmente miscelati con una raffinata conoscenza dei grandi illustratori dell’ottocento e conditi con una punta (più che una punta) di umorismo nero. Probabilmente si potrebbe continuare e varrebbe senz’altro la pena citare alcuni dei suoi libri per l’infanzia inquieti ma, allo stesso tempo, gonfi di poesia: Un bambino solo, ad esempio, con la favola del bimbo che vede la sua immagine e ne crea un alter egocompagno di giochi.
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A Pinocchio Topor giunge nei primi anni ‘70, auspice Giorgio Soavi che gli commissiona la strenna Olivetti per il 1972. Tra Pinocchio e Roland si instaura immediatamente un rapporto che va ben oltre quello che usualmente intercorre tra ‘illustratore’ e ‘illustrato’.
Topor, a domanda precisa, ebbe infatti a dichiarare: “Io l’adoro questo burattino. È l’unico personaggio letterario moderno, attuale, vero, con le sue curiosità, le sue viltà. E poi quel naso non le sembra un pene, il simbolo della crisi del maschio?
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Lo guardi quel Pinocchio con quell’aria dimessa e arresa e quel gran naso floscio, in ammirazione della Fatina”.
Come traspare anche troppo evidentemente dalle sue parole Topor vede Pinocchio in chiave violentemente simbolica e scava all’interno della storia con matita chirurgicamente impietosa.
Pinocchio sale a simbolo esemplare della personalità dell’artista che legge e svela, sub specie populi, la propria vicenda interiore: il suo amore-odio per il sesso, i suoi complessi edipici mai spenti (Pinocchio che abbraccia le ginocchia della Fatina, ora più che mai donna, forse madre, sicuramente amante), i timori ancestrali mai completamente sopiti (il Serpente).
L’operazione-Pinocchio, vero e proprio viaggio all’interno della simbologia latente in Collodi, Topor lo compie tutto incidendo il foglio con il suo tratteggio meticolosamente ‘ottocentesco’ e la sua particolare vena triste e corrosiva.
E la conclusione, certo inevitabile, è la discesa del burattino in quell’inferno agognato e temuto dall’artista che è il ventre materno. Il Pesce-cane-grembo restituirà un Pinocchio-Topor nuovo, non sappiamo quanto ‘ragazzo perbene’, certo più consapevole e smagato, che cercherà di stemperare ogni conflitto nella sfera dell’inconscio.
Un inconscio che Roland aveva esorcizzato ogni giorno della vita con un grande sigaro nella mano sinistra, una matita-bisturi nella destra e una sonora, oceanica, irriverente risata nella grande bocca carnosa e tumida.
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Povero Pinocchio, alla sua nascita del tutto inconsapevole di cosa si celasse nella sua anima di legno!