Aurelio Citelli: voce, fisarmonica
Paolo Ronzio: chitarre, mandolino
Alberto Rovelli: contrabbasso
Il Sirio era una nave italiana costruita a Glasgow per il trasporto di emigranti. Inaugurata nel 1883, naufragò nel 1906 di fronte alle coste di Capo Palos, a Cartagena (Spagna). La nave, con oltre 1200 passeggeri a bordo, era salpata da Genova il 2 agosto 1906 diretta a La Plata. Il 4 agosto il Sirio passò di fronte a Capo Palos dove il promontorio si prolunga sott’acqua per riemergere poi a formare le piccole Isole Hormigas. La profondità dell’acqua sulla linea ideale che unisce il capo a queste isolette è di tre o quattro metri. Alle 16.30 circa, la nave navigando a tutta forza troppo rasente alla riva si incagliò vicino a Capo Palos. La prora fu vista innalzarsi con violenza dall’acqua per via della forte velocità. Le lance furono messe fuori servizio dall’impatto violentissimo e molti passeggeri, scagliati in mare per il contraccolpo, annegarono. L’ acqua entrò nelle cabine di prima classe, poi invase il corridoio di destra e infine lo spazio attorno al boccaporto di poppa e il corridoio a destra della sala macchine. In questa zona della nave si trovavano numerose donne e bambini che rimasero incastrati senza poter uscire e senza poter essere soccorsi. Una cronaca del tempo narra che la maggior parte dei membri dell’equipaggio riuscì a salvarsi perché rimase sulla nave che, essendo incagliata, rimase a galla ancora per quindici giorni. Le vittime furono stimate inizialmente in 293 persone per arrivare ad un totale finale di oltre 500 unità. L’episodio suscitò molta eco in tutta Europa e, tra l’altro, venne rievocato nella canzone “Il tragico naufragio della nave Sirio” che diventò in poco tempo uno dei più popolari brani da cantastorie.
Aurelio Citelli: voce, fisarmonica
Paolo Ronzio: chitarre, mandolino
Alberto Rovelli: contrabbasso
recorded: Diego Ronzio
editing: Aurelio Citelli
© Associazione culturale Barabàn, 2014
GIOVANNA MARINI E FRANCESCO DE GREGORI
Il tragico naufragio della nave Sirio · Il Nuovo Canzoniere Italiano–
LO SPETTACOLO E’ DEL 1964
Il manifesto di Bella Ciao al VII Festival dei Due Mondi
L’anno 1964 è un anno d’oro per l’attività del “NCI”. In aprile si pubblica il quarto numero della rivista, con l’apertura dedicata alla presentazione della rassegna “L’altra Italia” curata da Roberto Leydi, cui partecipano o simpatizzano una sfilza di musicisti e intellettuali dell’epoca. «L’altra Italia non vuol esser una rassegna di cultura subordinata, ma un confronto documentato dei dislivelli di cultura presenti nella nostra società. L’altra Italia vuole contribuire a dare inizio al processo di spiegazione, cioè di razionalizzazione del patrimonio delle nostre tradizioni popolari e cogliere in esso alcuni fermenti di possibile nuova cultura». Diverse pagine portano la firma di Gianni Bosio, in particolare “Alcune osservazioni sul canto sociale”, “appunti” originariamente scritti per presentare al pubblico milanese la rivista del “NCI”, nel febbraio del 1963, alla Casa della Cultura. Tra pagina undici e pagina trentotto sono proposti numerosi canti dei canzonieri internazionale e italiano, seguiti da un lungo e puntuale contributo dello storico Cesare Bermani titolato “Esperienze politiche di un ricercatore di canzoni nel Novarese”. La parte finale della rivista “Appunti e notizie” è testimonianza di una ricca interazione con i lettori, nella quale si riportano soprattutto “… integrazioni e correzioni alle note illustrative dei Dischi del Sole”. Alle pagine 59-60 è documentata l’intensa attività del “Nuovo Canzoniere Italiano” tra cui quella che si riferisce a spettacoli pubblici, edizioni testuali (vol.1 dei “Canti sociali italiani” scritto da Roberto Leydi) e discografiche (de I Dischi del Sole). Nella rivista del 1964 non se ne trova menzione, ma sicuramente il Gruppo di “NCI” è in quei mesi in fermento per la preparazione dello spettacolo “Bella Ciao”, in procinto di essere presentato a giugno nel tempio della musica classica a Spoleto, al Festival dei Due Mondi diretto da Giancarlo Menotti, compositore di origini lombarde. Si tratta di uno spettacolo curato da Roberto Leydi che prevede un programma tutto di canzoni popolari italiane. La regia, come per “Milanin Milanon”, è affidata a Filippo Crivelli, mentre i testi sono di Franco Fortini: –
«Le canzoni presentate sono esempi della espressività musicale del popolo, colta nei suoi momenti più significativi: il lavoro, lo svago, il divertimento, il rito, l’amore, la guerra, la protesta sociale e politica. Il programma ripropone il patrimonio di una cultura che si presenta con una fisionomia autonoma rispetto alla cultura dominante…». L’idea dello spettacolo “Bella Ciao” per alcuni appare rivoluzionaria e politicizzata, ma francamente, a parte l’ambiente atipico di rappresentazione, conoscendo l’intensa attività del “NCI” negli anni precedenti, l’evento pubblico a chi scrive sembra perfettamente in linea con il loro percorso di ricerca, tendente a diffondere anche attraverso gli spettacoli vocali e teatrali i documenti della tradizione orale nazionale. Tuttavia siamo nel 1964, un periodo storico ricco di trasformazioni, vivace e politicamente tormentato. Sono gli anni della Guerra fredda e del boom economico, caratterizzato dall’evoluzione repentina della tecnologia industriale, dei media (radio, cinema, tv) e di una massiccia diffusione dei diversi stili musicali giovanili attraverso i dischi. Al fine di evitare polemiche, Leydi, Crivelli, Fortini e Menotti cercano di presentare uno spettacolo culturalmente valido, innovativo e progressista, ma sostanzialmente accettabile anche da un pubblico così targettizzato come quello del Festival dei Due Mondi. A causa dell’improvviso calo di voce di Sandra Mantovani, si decide all’ultimo momento di far eseguire la canzone “Gorizia” a Michele Straniero, il quale in concerto esegue una strofa non prevista in scaletta (“… traditori signori ufficiali che la guerra l’avete voluta – scannatori di carne venduta – e rovina della gioventù …”), considerata irriverente da una parte del pubblico. Apriti cielo! Seguono contestazioni in sala, con accesi e coloriti scambi di opinione (chiamiamoli così) e, nelle ore successive, strascichi polemici nei giornali e anche in tribunale. Michele Straniero e gli organizzatori, infatti, sono denunciati per vilipendio delle forze armate.
Il Disco di Bella Ciao |
In conseguenza dell’accaduto, lo spettacolo “Bella Ciao” diviene un caso nazionale. La qualità delle proposte musicali e le accese diatribe nei media decretano così la sua fortuna anche negli anni a venire, con centinaia di repliche e circa 100.000 copie di dischi venduti. Un vero successo da tanti punti di vista, segno che la cultura musicale “altra” riesce in questo periodo a uscire gradualmente dagli “spazi” nei quali normalmente era relegata. Allo spettacolo “Bella Ciao”, negli anni, partecipano diversi interpreti di spicco del cosiddetto folk revival (questa terminologia è di raro uso nei primi anni Sessanta), per buona parte gravitanti attorno al Gruppo di ricerca promosso da Roberto Leydi e da Gianni Bosio. Tra questi Sandra Mantovani, Giovanna Daffini (ex mondina di Gualtieri), Giovanna Marini (all’epoca scoperta da Leydi al Folk Studio di Roma), Michele L. Straniero, il Gruppo Padano di Piadena, Caterina Bueno, Maria Teresa Bulciolu, Silvia Malagugini, Caty Mattea, Hana Roth, Ivan Della Mea, Gaspare De Lama (alla chitarra).
Dello spettacolo ritengo significativo ricordare la scelta scenografica operata dal regista Filippo Crivelli, essenziale per dare forza alla semplicità dei canti, con uno sfondo ricavato da teli di juta (materiale da riciclo tanto caro a Burri) variamente illuminati, con un certo numero di sedie disposte sul palco a seconda delle differenti esecuzioni. Spesso si dimentica che, nel 1964, l’evento spettacolare di “Bella Ciao” ottiene il supporto di un influente e propositivo sponsorizzatore-produttore, Giovanni (Nanni) Ricordi (1932-2012).
A lui (è stato detto) si deve il titolo dello spettacolo, forse prendendo spunto (ma questa è una mia supposizione) dal successo discografico dell’anno precedente avuto con “Bella Ciao” dal toscano (francesizzato) Yves Montand. Comunque sia, Nanni Ricordi in questi anni si distingue nella scena nazionale come promotore di numerosi autori di spicco della canzone italiana quali Giorgio Gaber, Gino Paoli, Enzo Jannacci, Sergio Endrigo, Ornella Vanoni, Ricky Gianco etc., avvalendosi della collaborazione di arrangiatori del calibro di Giampiero Boneschi, Gian Piero e Gianfranco Reverberi.
Una particolarità della ricerca etnomusicale proposta nello spettacolo è la doppia versione del canto di “bella ciao”, prendendo spunto da quanto sostenuto da Giovanna Daffini, cioè di averlo imparato come canto delle mondine ben prima della seconda Guerra, con un testo differente rispetto a quello della Resistenza. Negli anni si scoprì che non era temporalmente vero. Ormai è assodato dagli storici che questo canto era poco eseguito dai partigiani se non in limitate aree geografiche (in particolare nell’Appennino modenese e nelle Alpi Apuane). Tra i combattenti antifascisti erano più diffusi altri canti quali, ad esempio, “Fischia il vento” (infuria la bufera …), “La brigata Garibaldi” (Fate largo, fate largo…) o la “Badoglieide”(canzone satirica su Pietro Badoglio). Di certo nella memoria musicale degli italiani, la Resistenza è ancora oggi principalmente identificata con “bella ciao” forse anche grazie al successo ottenuto dallo spettacolo in questione. La quinta pubblicazione della rivista de “Il Nuovo Canzoniere Italiano” (per le Edizioni del Gallo) è del febbraio 1965, sempre a cura di Roberto Leydi, in collaborazione con Amodei, Bermani, Della Mea e Straniero. In settantadue pagine sono condensate le ricerche e le numerose attività del periodo. In primo piano, a tutta pagina, viene riprodotta la locandina dello spettacolo “Pietà l’è morta. La resistenza nelle canzoni”
Pietà L’è Morta al Teatro Regio, 24 Aprile 1964 |
(verosimilmente in quegli anni lo spettacolo prediletto dagli esecutori del “NCI”), curato da Leydi, Crivelli e da Pirelli, presentato in anteprima al Teatro Regio di Parma (il 21 aprile del 1964). Un articolo a firma di Bosio e Leydi titolato “Discussione aperta” pone in risalto un consuntivo dell’attività del Gruppo, accennando anche ai fatti accaduti a Spoleto. Da pagina nove a pagina cinquanta numerosi interventi sono riservati al ruolo culturale e musicale di Giovanna Daffini (e al marito Vittorio Carpi, violinista). Due approfondimenti di Cesare Bermani e Dario Bellamio sono riferiti agli spettacoli “L’altra Italia” (in cartellone a Milano tra il 6 e il 29 maggio) e “Pietà l’è morta”, centrato sul tema della “Resistenza nelle canzoni, 1919-1964”.
Michele Straniero, invece, scrive e riflette in modo articolato su quanto accaduto a Spoleto evidenziando che, nonostante le contestazioni «… la maggior parte della sala resse alla prova incitando e applaudendo, rimproverando i disturbatori, ritrovando un guizzo di solidarietà proprio grazie alla palese provocazione…». Tullio Savi si occupa delle “Proposte per un nuovo canzoniere”, spiegando e facendo notare come l’attività del “NCI”, dopo essere stata conosciuta in diverse parti della Penisola, approda positivamente e con successo anche a Roma. La rivista termina elencando (per ben due pagine e mezzo) gli impegni culturali e le date degli spettacoli del “NCI”, informando sulla suddivisione degli esecutori musicali secondo le singole rappresentazioni nelle differenti città (o paesi). Nel settembre del 1965 esce il sesto numero della Rivista, l’ultimo curato da Roberto Leydi. In apertura, con il consueto impegno, scrive un breve saggio su “Nuova canzone e rapporto città-campagna oggi”, prospettando la necessità di un allargamento della ricerca folclorico-musicale anche verso quella che definisce la “nuova canzone”, che si stava sviluppando soprattutto nei centri urbani con autori quali Ivan Della Mea, Fausto Amodei, Gualtiero Bertelli, Silvano Spadaccino, il Gruppo Padano di Piadena. In merito, Leydi termina l’intervento osservando criticamente che «…nella misura in cui la nuova canzone riuscirà a rappresentare la realtà della situazione operaia nel sistema neocapitalistico, nella misura, cioè, in cui sarà spietatamente “vera”, sarà strumento non secondario per superare il sistema stesso». Dai miei appunti legati all’attività culturale di Roberto Leydi – seppur nel limitato periodo preso in considerazione che, è utile ripetere, solo in minima parte rivela l’attività complessiva dello studioso – ho dovuto escludere o ridurre all’osso per fini espositivi parecchio materiale.
Roberto Leydi, Canti Popolari Italiani |
Mi è gradito concludere l’intervento intonando quel canto atipico in tonalità minore con l’attacco in “levare”, di cui si è tanto parlato in ambito etnomusicologico proprio grazie a Roberto Leydi, Giovanna Daffini e al Gruppo di ricerca de “Il Nuovo canzoniere Italiano”: – Mi la si do laa ¬- mi la si do laa – mi la si do – si la do – si la mi (alto) mi mi – mi re mi fa laa (alto)”. Proprio sulla nota più acuta della melodia desidero soffermarmi, considerando con ammirazione le vette raggiunte negli anni da Roberto Leydi, il quale ha con scienza concretamente aiutato un popolo intero a dare valore profondo e spirituale (e non solo sociale e politico) ai canti e alle musiche di tradizione orale. La sua produzione culturale interdisciplinare – vasta, variegata e di elevato livello – si è sviluppata nell’arco di oltre mezzo secolo. Per queste ragioni, dati alla mano, è considerato il più emblematico etnomusicologo italiano del Novecento, naturalmente senza nulla togliere ai ricercatori a lui contemporanei che meritano adeguata considerazione. La melodia di “bella ciao” può ora ripartire ed essere intonata coralmente in memoria di Roberto Leydi, di cui molto si parlerà negli anni a venire anche sotto il profilo umano, per la sua straordinaria capacità aggregativa fra gruppi eterogenei di ricerca e di lavoro. In particolare (io penso) sarà ricordato come studioso acuto e scrupoloso, distintosi per aver reso più “vera” la cultura musicale italiana, dando “voce” ai più deboli, offrendo al contempo un generoso contributo intellettuale per rendere la società più aperta e idealmente unita nel segno della libertà di pensiero e della tolleranza tra i popoli.
Paolo Mercurio