ALESSIA CANDITO, La famiglia Borsellino accusa: “Depistaggio atto criminale, il piano si poteva fermare” — PALERMO.REPUBBLICA.IT — 21 MAGGIO 2022 +++ IL FATTO QUOTIDIANO, 27 APRILE 2022

 

 

PALERMO.REPUBBLICA.IT — 21 MAGGIO 2022
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La famiglia Borsellino accusa: “Depistaggio atto criminale, il piano si poteva fermare”

 

 

La strage di via D'Amelio
La strage di via D’Amelio

L’avvocato di parte civile ai poliziotti: “Dite tutta la verità”. E ai pm dell’inchiesta: “Per noi siete coinvolti”

 

Una denuncia, chiara: dietro il depistaggio c’era un disegno criminale. E si poteva fermare. Un appello ai poliziotti imputati: “dite la verità”. E un’accusa, forse dolorosa, diretta ai magistrati che hanno più o meno sostenuto la credibilità del falso pentito Vincenzo Scarantino:

“per quanto si credano assolti, per noi sono lo stesso coinvolti”. Si conclude con una stretta di mano decisa e un breve abbraccio con il cognato Manfredi Borsellino, da giorni presenza silenziosa in aula, l’intervento dell’avvocato Fabio Trizzino, marito di Lucia e legale dei familiari del giudice massacrato in via D’Amelio.

Alla sbarra, ci sono i poliziotti Mario Bo, Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei. Da codice, il reato che viene loro contestato è concorso in calunnia aggravata dall’avere favorito Cosa nostra. Nel concreto, l’accusa è di aver indottrinato Scarantino, istruendolo su come accusare degli innocenti. E così intorbidire per anni le indagini sulle strage, confondere le carte, nascondere verità e reali esecutori.

“Nell’opera di ricostruzione di ciò che è avvenuto dopo la strage di via D’Amelio, l’approssimazione, le anomalie e negligenze corrispondevano a un disegno criminoso” dice l’avvocato Trizzino.

I poliziotti che su molti di quegli abbagli investigativi – troppo clamorosi perché possano essere tali – ci hanno messo la firma, sono in aula. E lo guardano mentre dice “a me dispiace che siate solo voi a pagare, ma c’è stata omertà e negligenza. Un atteggiamento – scandisce – perfettamente sovrapponibile all’associazione mafiosa”.

Ma la “costruzione” del pentito Scarantino – dice Trizzino – non può essere stata solo opera di tre poliziotti. Lo dicono la frettolosa archiviazione dell’inchiesta “Mafia-appalti”, i trasferimenti telecomandati degli investigatori, telefonate e provvedimenti insensati, spiega il legale.

Che punta il dito anche contro il “comportamento inqualificabile” di Arnaldo La Barbera, il capo del gruppo di indagine “Falcone-Borsellino” morto nel 2002, che inchieste successive hanno identificato come uno dei pupari dei falsi pentiti.

“È stato compromesso il diritto dell’accertamento della verità negli eventi antecedenti e successivi che hanno portato alla strage di via d’Amelio” afferma il legale, che poi si rivolge direttamente ai tre agenti. “Non ci venite a raccontare la storiella che avete combattuto la mafia”, attacca. E poi l’invito, quasi un ordine: “dite la verità, dite cosa è successo”. Risuona solo il silenzio in aula.

Per loro, Trizzino chiede non solo una pena severa – la procura ha invocato 11 anni e 10 mesi per Bo, 9 anni e mezzo per Mattei e Ribaudo – ma anche una condanna morale “perché la possibilità che ingenerino nelle nuove generazioni il nichilismo istituzionale è evidente”.

Ma per l’avvocato Trizzino, come per i familiari di Borsellino che rappresenta, di quel depistaggio non sono gli unici responsabili. “Per quanto riguarda la dottoressa Palma e Petralia come indagati di reato connesso (con posizione in seguito archiviata ndr), e il dottor Di Matteo (mai indagato ndr) – tuona – noi diciamo che “per quanto loro si possano credere assolti, riteniamo che siano lo stesso per sempre coinvolti””.

È una citazione della canzone del maggio di De Andrè, ma diventa quasi un atto di guerra nei confronti dei pm che hanno inizialmente gestito Scarantino.

E come tale viene interpretato da Petralia, che all’Adn dice: “solo abbassando i toni e ricordandoci che ci sono dei limiti che tutti – parti civili e parti pubbliche – dobbiamo rispettare si rende onore alla giustizia e ai tanti eroi che in nome di essa hanno sacrificato le loro vite”. Ma per il depistaggio che ha coperto quegli omicidi, “che c’è stato” riconosce l’avvocato dello Stato, “tutti sono responsabili, quindi nessuno – chiede per Viminale e presidenza del Consiglio – deve pagare”.

 

IL FATTO QUOTIDIANO DEL 27 APRILE 2022

https://www.ilfattoquotidiano.it/2022/04/27/borsellino-processo-per-il-depistaggio-contro-tre-poliziotti-il-pm-sono-passati-30-anni-se-ce-stato-altro-ditelo/6572177/

 

Borsellino, processo per il depistaggio contro tre poliziotti. Il pm: “Sono passati 30 anni, se c’è stato altro ditelo”

Borsellino, processo per il depistaggio contro tre poliziotti. Il pm: “Sono passati 30 anni, se c’è stato altro ditelo”

Davanti ai giudici di Caltanissetta sono imputati Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo perché accusati di aver indotto Vincenzo Scarantino a raccontare falsità sulla strage di via D’Amelio, in cui morirono il magistrato e i cinque agenti della sua scorta Emanuela Loi, Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Vincenzo Li Muli, Claudio Traina 

 

Il processo a coloro che sono ritenuti tra gli autori di uno dei “più grandi depistaggi della storia” è, dopo oltre 70 udienze e 112 testimoni, arrivato al secondo giorno di requisitoria. “Se gli appunti sui verbali in possesso di Vincenzo Scarantino non erano tutti farina del suo sacco, ci dica Fabrizio Mattei chi altro ci ha messo mano. Sono passati 30 anni, se c’è stato dell’altro ditelo” ha detto il pm Stefano Luciani.

Nel processo sono imputati tre poliziotti: Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo sono accusati del depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio, in cui morirono il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della sua scorta, Emanuela Loi, Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Vincenzo Li Muli, Claudio Traina.

 

Secondo l’accusa i tre ex componenti del gruppo “Falcone Borsellino” avrebbero indotto Vincenzo Scarantino a dichiarare il falso, mediante minacce, pressioni psicologiche e maltrattamenti. Come raccontato dallo stesso Scarantino ai giudici di Caltanissetta nel giugno del 2019.

Il pm Stefano Luciani si è soffermato nel corso della requisitoria sugli appunti che Fabrizio Mattei avrebbe scritto di proprio pugno sui verbali in possesso di Scarantino. In un primo tempo il poliziotto, secondo la ricostruzione dell’accusa aveva detto che erano stati interamente scritti da lui per poi dire che non erano tutti suoi.

L’accusa – di cui sono chiamati a rispondere davanti al Tribunale collegiale presieduto da Francesco D’Arrigo – è di calunnia aggravata dall’aver favorito Cosa nostra.

“Mattei – ha aggiunto il pm Luciani – non ha detto il vero quando ha tentato di disconoscere la paternità di queste scritture poste a margine. Se si arrivano a rendere dichiarazioni che vengono smentite dalla realtà dei fatti evidentemente una motivazione c’è. Non puoi rispondere in esame con un ‘non lo so’ se ti viene chiesta se è tua la paternità di quelle manoscritture. Allora Mattei non diceva il vero nel 1994 “. “Sono trascorsi trent’anni, adesso è ora di dire basta. Se c’è stato dell’altro, ditecelo. Mattei ci dicesse, una volta per tutte, chi gli ha dato questi benedetti appunti” ha proseguito.

Sulla strage di via D’Amelio “i falsi collaboratori di giustizia”, come Vincenzo Scarantino, “hanno costruito un castello di menzogne“. In particolare, Luciani ha ripercorso le “due settimane che avevano preceduto l’esame dibattimentale di Scarantino al processo Borsellino uno”, “in cui Scarantino stesso è imputato”, dice. “Era il primo vaglio dibattimentale serio alla sua collaborazione”, aggiunge. E poi ha ribadito che bisogna “Maneggiare con assoluta cura le propolazioni ( = divulgazioni ) di tutti questi soggetti che avevano falsamente collaborato con la giustizia costruendo quel castello di menzogne sono stati su questa vicenda sempre coerenti, una narrazione che ha riferito sempre gli stessi dettagli”.

 

Per l’accusa i fatti emersi sono chiari.

Scarantino subì vessazioni preordinate e finalizzate a costruire falsi collaboratori di giustizia e una verità sulla strage che solo le rivelazioni del collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza – che presto potrebbe tornare libero – riuscirono poi a smascherare.

“Fu Spatuzza – dice Luciani – a raccontare una verità che da subito è apparsa dirompente. Ed era una verità che andava a sconvolgere ben due processi che si erano già celebrati per la strage di via D’Amelio, una verità che andava a mettere in discussione condanne all’ergastolo comminate sulla base di prove manipolate.

Infatti era stata manipolata la collaborazione di Salvatore Candura, quella di Francesca Andriotta e infine quella di Vincenzo Scarantino”.

A Scarantino, ne è certa la Procura, fu fatto recitare un copione col quale chiudere in fretta l’indagine sulla strage e assicurare colpevoli facili alla giustizia. “Più andavo avanti e più bravo diventavo”, ha ammesso il finto pentito ai pm. Una frase che la procura cita perché, per gli inquirenti, Scarantino non è una vittima. Contribuì al depistaggio, contribuì a inquinare l’inchiesta. Per quelle ricostruzioni false furono condannati da innocenti nove persone per cui solo nel 2017, con il processo di revisione, è arrivata una sentenza di assoluzione.

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  1. mariapia scrive:

    molto ben dettaggliato l articolo su Borsellino. gli uomini in gamba muoiono e noi restiamo restiamo sempre con i peggioriIersi sera all7 la trasmissione della Gruber l’ha dimostrato chiaramente gratteri trombato alla super procura antimafia,,,,,,

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