1958-2006
Cecenia. Il disonore russo
Fandango Libri, 2003
Anna Politkovskaia è stata più di quaranta volte in Cecenia per seguire la guerra, la seconda che questa piccola repubblica caucasica ha subito in dieci anni. Ha vissuto con i ceceni, condiviso il loro calvario. Incurante dei rischi e delle minacce, ha continuato a voler raccontare il conflitto, ha testimoniato dei saccheggi, degli stupri e degli omicidi perpetrati dai militari russi, e di come i combattenti ceceni stiano annegando nella delazione e nei regolamenti di conti. Il “viaggio all’inferno” di Anna Politkovskaia è un duro atto d’accusa contro la società russa, colpevole di tacere o acconsentire al genocidio, e contro il presidente Vladimir Putin, che ha bisogno di un nemico per far dimenticare i problemi reali del suo paese.
Anna Politkovskaja
Nasce a New York perché figlia di due diplomatici sovietici di origine ucraina di stanza all’Onu. Studia giornalismo a Mosca e si laurea nel 1980. Nel 1982 inizia il suo lavoro di giornalista presso l’Izvestija, giornale moscovita che lascerà nel 1993. Dal 1994 al 1999 lavora come responsabile della Sezione Emergenze e come assistente del direttore Egor Jakovlev alla Obšcaja Gazeta, oltre a collaborare con radio e televisioni. Per la prima volta affronta la realtà cecena nel 1998 come inviata della Obšcaja Gazeta e intervista Aslan Maskhadov, da poco eletto Presidente della Cecenia. Dal giugno 1999 lavora per la Novaja Gazeta. Nello stesso periodo pubblica alcuni libri fortemente critici su Putin e sulla conduzione della guerra in Cecenia, Daghestan ed Inguscezia.
Spesso per il suo impegno viene minacciata di morte, in particolare da Sergei Lapin, ufficiale di una polizia che dipende direttamente da Ministero degli Interni, tanto che nel 2001 è costretta a fuggire a Vienna. Denunciato e dopo alterni giudizi, Lapin verrà condannato definitivamente nel 2005. Numerose le visite in Cecenia della giornalista e il sostegno continuo alle famiglie i cui membri hanno subito abusi o uccisioni. Il suo terzo libro, Cecenia, il disonore russo, del 2003 provoca scalpore e nel 2004, mentre si sta recando a Beslan, durante la crisi degli ostaggi, ha un malore, probabile vittima di un tentativo di avvelenamento. La denuncia della persecuzione nei suoi confronti è esplicita nel 2005 durante la conferenza di Reporter senza frontiere a Vienna.
Anna verrà ritrovata morta, un colpo di pistola alla testa la uccide, il 7 ottobre 2006 nell’ascensore di casa sua a Mosca. Il mandante è tuttora sconosciuto. Il giorno dopo le è sequestrato il computer con tutto il materiale relativo all’inchiesta che stava svolgendo. Solo alcuni appunti non sequestrati verranno pubblicati sulla Novaja Gazeta il 9 ottobre. Più di mille persone partecipano ai funerali della Politkovskaja, ma nessun rappresentante del governo russo.
«Certe volte, le persone pagano con la vita il fatto di dire ad alta voce ciò che pensano. Infatti, una persona può perfino essere uccisa semplicemente per avermi dato una informazione. Non sono la sola a essere in pericolo e ho esempi che lo possono provare».
Frase pronunciata nella conferenza a Vienna del 2005 organizzata da ” Reporter senza frontiere “.
nota :
Reporter Senza Frontiere (RSF), o Reporters Sans Frontières (RSF) (nella originaria denominazione francese), o Reporter Without Borders (RWB) è un’organizzazione non governativa e no-profit che promuove e difende la libertà di informazione e la libertà di stampa. L’organizzazione ha sede principale a Parigi ed ha lo status di consulente delle Nazioni Unite.
SEGUE DA :
Anna Politkovskaja, Cecenia. Il disonore russo
Autore:Conci, Donata
Curatore:Leonardi, Enrico
Fonte:CulturaCattolica.it
Illustrazione di Chiara Ciceri
Il testo Cecenia. Il disonore russodi Anna Politkovskaja riguarda la storia della Repubblica Cecena autonoma della Federazione Russa, negli anni precedenti il 2003, quando ancora si stava svolgendo nel paese la seconda guerra con la Russia (1999-2006).
Da allora la situazione è molto cambiata e migliorata: il governo russo ha fatto cospicui investimenti in territorio ceceno, sono stati realizzati grandi lavori di ricostruzione nella città di Grozny, Putin si è conquistato maggiori consensi fra la popolazione e di conseguenza appare rischiarato il clima di conflitti e violenze rispetto a 10 anni fa, anche se giornalisti e osservatori affermano che quotidiana rimane la lotta contro la corruzione.
Il libro scritto dalla giornalista russa Cecenia. Il disonore russo suscita comunque ancor oggi un altissimo interesse , perché presenta lo spaccato di uno dei periodi più bui e tragici della storia di questa Repubblica federata e testimonia l’impegno e il coraggio di una donna che in nome dei diritti umani, politici e sociali di ogni uomo ha denunciato situazioni di violenza e ingiustizia colpevolmente sottaciute e per lo più negate nel suo stesso paese e a livello internazionale.
Anna Politvkovkaja ha iniziato la sua professione nel 1982, presso un giornale di Mosca e dal 1999 fino al 2006, anno della sua uccisione, ha pubblicato scritti che documentavano le continue violazioni dei diritti fondamentali dei Ceceni, e la politica brutale e oppressiva da lei imputata direttamente a Putin, senza risparmiare le sue critiche all’allora presidente ceceno Aslan Maskadov, colpevole a sua volta della tragica situazione che stava vivendo il popolo.
Numerosi riconoscimenti e premi le sono stati assegnati per l’attività svolta, ma negli ultimi anni si era attirata aspre critiche e inimicizie, aveva subito minacce, interrogatori umilianti e un arresto nel febbraio del 2001.
Come si legge nel libro, l’Autrice attraversava i confini della Cecenia di nascosto durante la notte, per incontrare amici e testimoni che la informavano delle prevaricazioni e violenze subite dalla popolazione, e ripartiva la mattina seguente evitando accuratamente i posti di blocco, per scrivere, a prezzo del rischio della propria vita, ciò che aveva visto e sentito, con l’intendimento di fermare la catena di crimini commessi.
Nella città di Grozny in particolare, bande feroci formate da gruppi non ben identificabili di russi, di ceceni e russi o di soli ceceni desiderosi di vendicarsi di qualche torto subito, si aggiravano seminando terrore: irrompevano nelle case, spaventavano gli abitanti, violentavano le donne e uccidevano senza motivo con rituali feroci di giustizia sommaria, contando su una sicura impunità.
Ma queste crudeltà dettate dalla superbia e dal disprezzo della vita dono di un Altro, sottolinea la scrittrice, si ritorcono contro i loro autori e complici: le ingiustizie palesi di cui si sono macchiati dividono al proprio interno la popolazione sia cecena che russa, creando spie e delatori, generando un clima di sospetto e odio reciproco, cancellando ogni sentimento di compassione e di pietà.
I conflitti hanno stravolto l’identità di entrambi i contendenti, corrodendone il senso morale e la responsabilità civile.
E la Politkovskaja afferma: Dopo un certo periodo, in mancanza di risposte ragionevoli, la coscienza comincia a disgregarsi come un fungo marcio e la mente finisce in un vicolo cieco…Tuttavia non è follia, è un fenomeno diverso. E’ come se tutti i pilastri che hanno sostenuto la tua vita fino a quel momento fossero crollati (Op. cit. pag.28)
Per questo, senza risposta, era rimasta la domanda rivolta ad un soldato russo durante un interrogatorio sul perché avesse barbaramente ucciso e scalpato un ceceno, così come invano la giornalista aveva ricercato un motivo plausibile che spiegasse il martirio subito da una donna sventrata con ferocia per il solo fatto che i suoi aguzzini non avessero trovato una birra da bere nella sua casa.
Simili fatti vengono raccontati nel libro con capacità analitica e precisione, e con altrettanta lucidità vengono descritte le famigerate zaciska, che anziché operazioni di meri controlli dei documenti, si trasformavano in organizzate irruzioni per saccheggio nei villaggi isolati e in follie orgiastiche, in cui le donne trovate sole venivano afferrate e colpite alla testa, ai reni, alle gambe prima di essere violentate e abbandonate sanguinanti.
In 4 mesi erano state soccorse e medicate negli ospedali di Grozny 267 persone ferite da spari ed esplosioni.
In questo truce e desolato affresco emergono le figure di coloro che si sono opposti al male e lo hanno contrastato, come quella del giovane maggiore russo Nevmerjitsi che non aveva esitato a denunciare il massacro compiuto per ordine di un colonnello distaccato nei pressi del villaggio di Shatoi, o come quella del capo del villaggio di Tovzeni Vakha Kossuiev, che aveva patteggiato un accordo con il comandante dell’offensiva russa e aveva accettato poco dopo di incontrare l’Autrice, pagando con la vita il suo atto di coraggio.
Commentando il clima determinato dal conflitto in atto, l’Autrice scrive: Questa sporca guerra ha creato a poco a poco un’onnipresente atmosfera bellicosa nella quale gli argomenti normali non sono più in voga. Abbiamo preso l’abitudine di parlarci con intolleranza, senza più traccia della nostra benevolenza naturale, della nostra pazienza, della tendenza a perdonare, insomma di tutto quello che rappresenta tradizionalmente il carattere russo (Op. cit. pag 77).
Per questa struggente nostalgia per i valori che caratterizzavano nel passato i rapporti fra gli uomini Anna ha scritto i suoi testi: perché ognuno potesse condannare le azioni colpevoli compiute, ritrovare la capacità di perdonare e riconoscere i tratti sacri del volto umano in sé e nell’altro.
Il 7 ottobre 2006, Anna Politkovskaja è stata freddata in ascensore da assassini rimasti impuniti e la sua morte ha provocato l’indignazione e la condanna di tutto il mondo. Ma ad oggi l’assassinio non risulta avere né colpevoli né mandanti.
Alla memoria della giornalista, alla sua sete di verità e alla sua tensione etica è stato dedicato nel 2009 a Milano un ceppo nel Giardino dei Giusti di tutto il mondo e nel 2012 il Consiglio Comunale della città le ha intitolato una piazza e un giardino.
Lascia stupefatti il coraggio di alcune persone, il coraggio di tutti i giorni quando sai di essere preso di mira.