Jürgen Habermas sulla risposta all’invasione dell’Ucraina. Il dilemma della linea rossa – RESET, 6 MAGGIO 2022

 

Reset

6 maggio 2022

https://www.reset.it/idee/jurgen-habermas-guerra-shock-e-indignazione-il-dilemma-della-linea-rossa

 

Guerra, shock e indignazione.
Il dilemma della linea rossa

ESCLUSIVA – Jürgen Habermas sulla risposta all’invasione dell’Ucraina

 


Jürgen Habermas

 

Settantasette anni dopo la fine della Seconda guerra mondiale e trentatré anni dopo la fine di una pace preservata con l’equilibrio del terrore, anche se solo minacciato, sono tornate alle nostre porte le immagini sconvolgenti di una guerra arbitrariamente scatenata dalla Russia. Come mai prima d’ora, la presenza mediatica di questa guerra domina la nostra vita quotidiana. Un presidente ucraino che conosce bene il potere delle immagini è in grado di creare messaggi potenti, mentre le scene giornaliere di cruda distruzione e atroce sofferenza trovano un’eco auto-rinforzante nei social network occidentali. Le novità della mediatizzazione e della calcolata pubblicizzazione di un evento bellico imprevedibile possono impressionare più noi anziani che i giovani, abituati al nuovo sistema mediale.

Abile messa in scena o meno, questi sono fatti che mettono a dura prova i nostri nervi e al cui effetto scioccante contribuisce la consapevolezza della vicinanza territoriale di questa guerra. Così, tra gli spettatori occidentali cresce l’inquietudine a ogni morte, lo shock a ogni assassinio, l’indignazione a ogni crimine di guerra e anche il desiderio di fare qualcosa al riguardo. Lo sfondo razionale in cui queste emozioni ribollono in tutto il Paese è l’evidente presa di posizione contro Putin e un governo russo che ha lanciato una massiccia guerra di aggressione in violazione del diritto internazionale e che sta perseguendo un modo sistematicamente barbaro di fare la guerra in violazione del diritto internazionale umanitario.

Nonostante questa unanime presa di posizione, un approccio differenziato sta emergendo tra i governi dell’alleanza degli Stati occidentali; e in Germania una incandescente battaglia di opinioni, alimentata dai media, è scoppiata sulla natura e la portata dell’aiuto militare a un’Ucraina duramente colpita. Le richieste dell’Ucrainainnocentemente aggredita, trasformano inesorabilmente gli errori di valutazione politica e i percorsi sbagliati dei precedenti governi federali in un ricatto morale. Sono richieste tanto comprensibili quanto sono naturali le emozioni, la compassione e il bisogno di aiutare che scatenano in tutti noi.

Eppure, mi irrita la sicurezza di sé con cui gli accusatori moralmente indignati in Germania se la prendono contro un governo federale riflessivo e cauto. In un’intervista a Der Spiegel, il cancelliere ha riassunto la sua politica in una sola frase: “Stiamo affrontando la sofferenza che la Russia sta infliggendo in Ucraina con tutti i mezzi a nostra disposizione, cercando di evitare un’escalation incontrollabile che scateni una sofferenza incommensurabile in tutto il continente, forse anche nel mondo intero”.

Avendo l’Occidente deciso di non intervenire in questo conflitto come belligerante, c’è una soglia di rischio che esclude un impegno illimitato nell’armare l’Ucraina. Questa è stata messa a fuoco ancora una volta dall’appoggio del nostro governo agli alleati nella riunione di Ramstein, così come dalla rinnovata minaccia di Lavrov di usare armi nucleari. Coloro che ignorano questa soglia e continuano a spingere il Cancelliere tedesco sempre più in questa direzione, con un tenore aggressivo e sicumera, trascurano o fraintendono il dilemma in cui si trova l’Occidente, visto che si è legato le mani da solo con la decisione, anch’essa moralmente fondata, di non diventare parte di questa guerra.

Il dilemma che costringe l’Occidente a soppesare rischiosamente le alternative nello spazio tra due mali è chiaro: una sconfitta dell’Ucraina o l’escalation di un conflitto limitato in una terza guerra mondiale. Da un lato, abbiamo imparato la lezione della Guerra fredda per cui una guerra contro una potenza nucleare non può essere “vinta” in nessun senso ragionevole, almeno non con la forza militare entro i chiari termini di un conflitto caldo. Il potenziale di minaccia nucleare significa che la parte minacciata, che possieda essa stessa armi nucleari o meno, non può porre fine all’insopportabile distruzione causata dall’uso della forza militare con una vittoria, ma al massimo con un compromesso che salvi la faccia ad entrambe le parti. Nessuna deve subire una sconfitta che faccia lasciare il campo di battaglia da “perdente”. I negoziati per il cessate il fuoco che si stanno svolgendo in concomitanza con i combattimenti sono un’espressione di questa consapevolezza: essi permettono per il momento di considerare il nemico come un possibile partner negoziale. Il potenziale di minaccia russo dipende, con ogni evidenza, dal fatto che l’Occidente creda che Putin sia capace di schierare armi di distruzione di massa. In realtà, durante le ultime settimane, la CIA ha già avvertito del pericolo reale che potrebbero essere usate armi nucleari cosiddette “piccole” (che apparentemente sono state sviluppate solo per rendere nuovamente possibili le guerre tra potenze nucleari). Questo dà alla parte russa un vantaggio asimmetrico sulla NATO, la quale, a causa della scala apocalittica di una potenziale guerra mondiale – con la partecipazione di quattro potenze nucleari – non vuole diventare parte di questo conflitto.

Ora è Putin che decide quando l’Occidente attraversa la soglia definita dal diritto internazionale – oltre la quale egli considera, anche formalmente, il sostegno militare dell’Occidente all’Ucraina come una partecipazione alla guerra. Di fronte al rischio di una conflagrazione mondiale, che deve essere evitata a tutti i costi, l’indeterminatezza di questa decisione non lascia spazio a rischiose giocate di poker.

Anche se l’Occidente fosse abbastanza cinico da considerare il rischio implicito nell’“avvertimento” che una tale arma nucleare “piccola” possa essere impiegata – vale a dire, accettare un tale dispiegamento in uno scenario peggiore – chi potrebbe garantire che una tale escalation possa essere fermata? Ciò che rimane è un margine di argomentazione che deve essere attentamente soppesato alla luce delle necessarie conoscenze specialistiche e di tutte le informazioni richieste, non sempre disponibili al pubblico, per poter prendere delle decisioni fondate. Imponendo drastiche sanzioni sin dall’inizio, l’Occidente non ha lasciato dubbi sulla sua partecipazione de facto a questo conflitto. Adesso, deve valutare attentamente se, ad ogni ulteriore livello di sostegno militare, non stia attraversando il confine indeterminato dell’entrata formale nella guerra – indeterminato perché dipende dal potere di definizione dello stesso Putin.

D’altra parte, come la Russia sa bene, a causa di questa asimmetria, l’Occidente non può permettersi di essere ricattato a piacimento. Se dovesse semplicemente abbandonare l’Ucraina al suo destino non sarebbe solo uno scandalo dal punto di vista politico e morale, ma sarebbe anche contro il suo stesso interesse. 

Ciò perché poi dovrebbe essere pronto a giocare di nuovo alla stessa roulette russa in Georgia o in Moldavia – e chi potrebbe essere il prossimo? Certamente, l’asimmetria che porta l’Occidente in un vicolo cieco a lungo termine permane solo finché continua a evitare – con buone ragioni – il rischio di una guerra mondiale nucleare. Di conseguenza, l’argomento che Putin non dovrebbe essere messo all’angolo perché sarebbe allora capace di tutto è contrastato dal fatto che solo questa “politica della paura” dà all’avversario mano libera per spingere passo dopo passo verso un’escalation del conflitto, come ha sottolineato recentemente Ralf Fücks su questo giornale (Suddeutsche Zeitung, NdR). Anche questo argomento, naturalmente, non fa che confermare la natura di una situazione essenzialmente imprevedibile. Finché siamo determinati, con buone ragioni, ad evitare di diventare una parte di questa guerra per proteggere l’Ucraina, il tipo e l’estensione del sostegno militare deve essere qualificato anche alla luce di tali considerazioni. Coloro che si oppongono a perseguire una “politica della paura” in modo razionalmente giustificabile si trovano già nell’ambito di quella argomentazione su cui insiste correttamente il cancelliere Olaf Scholz, vale a dire di una ponderazione politicamente responsabile e di una valutazione esauriente dei fatti.

Si tratta di prestare attenzione a ciò che consideriamo l’interpretazione condivisibile da parte di Putin di un limite legalmente definito che ci siamo autoimposti. Gli accalorati oppositori della linea del governo sono incoerenti quando negano le implicazioni di una decisione fondamentale che non mettono in discussione. La decisione di non partecipare non significa che l’Occidente debba lasciare – up to the point of immediate involvement – l’Ucraina al suo destino nella lotta con un avversario superiore. Le forniture di armi possono avere ovviamente un impatto positivo sul corso della guerra, che l’Ucraina è determinata a perseguire anche a costo di gravi sacrifici. Ma non è forse una pia illusione scommettere su una vittoria ucraina contro la guerra assassina della Russia senza imbracciare le armi in prima persona? La retorica bellicista mal si adatta al palco dal quale proviene rumorosamente. Poiché essa non minimizza l’imprevedibilità di un avversario che potrebbe puntare tutto su una sola carta. Il dilemma dell’Occidente è che può solo indicare a Putin – che potrebbe anche essere pronto a un’escalation nucleare – il principio dell’integrità dei confini statali in Europa e fornire un supporto militare autolimitato all’Ucraina. Un aiuto che rimane al di qua della linea rossa di un coinvolgimento diretto nella guerra, così come definito dal diritto internazionale.

La fredda ponderazione di un aiuto militare autolimitato è ulteriormente complicata dalla valutazione dei motivi che hanno spinto la parte russa a una decisione evidentemente calcolata in modo sbagliato. L’attenzione sulla persona di Putin ha portato a speculazioni sfrenate, che i nostri principali media stanno spargendo oggi come nei giorni migliori della sovietologia speculativa. L’immagine oggi prevalente del Putin risolutamente revisionista deve essere almeno confrontata con una valutazione razionale dei suoi interessi. Anche se Putin crede che la dissoluzione dell’Unione Sovietica sia stata un enorme errore, l’immagine del visionario eccentrico che – con la benedizione della Chiesa ortodossa russa e sotto l’influenza dell’ideologo autoritario Alexander Dugin – vede la graduale restaurazione del Grande Impero Russo come il lavoro della propria vita politica difficilmente può riflettere tutta la verità sul suo carattere. Ma sulla base di tali proiezioni si è diffusa l’ipotesi che le intenzioni aggressive di Putin si estendano oltre l’Ucraina, alla Georgia e alla Moldavia, poi ai membri NATO degli Stati baltici, per spingersi, infine, dentro i Balcani.

 

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