chiara e le sue vecchie cose ::

 

 

Il mio non è un romanzo (bozza)


bardelli, senza titolo, computer graphic, 2022

 

 

 

Il mio non è un romanzo
e non vuole essere un’autobiografia.
Soprattutto, non voglio mostrare la strada a nessuno.

Utilizzo la mia storia e quella di altri

per mostrare che:

1. lo psicotico è un aspetto ineliminabile della mente umana
presente in tutti in una certa misura.

2. lo psicotico possiede una qualità
che sola ci rende umani e che vorrei riassumere nella
“capacità di vivere in un mondo gratuito”.

E specifico subito:

l’emotività, il contatto con il nostro mondo interno, di sentimenti e di fantasia, vorrei dire con
“il mondo proprio”

il bisogno di contatto
e di “sintonia” con gli altri

la serenità con cui accetta
un rapporto di dipendenza reciproca
senza dover sempre rivendicare la propria autonomia
una serenità cui arriva negli anni, tanti anni

lo rendono
un “modello deviante e deviato”
certamente da curare

ma sempre un modello.

Oggi, lo psicotico, come i bambini e gli artisti, è difensore di un mondo che va scomparendo

o meglio, che è lasciato sempre più come sfondo
per non intralciare la corrida.

Sia chiaro io non accuso:

è la corsa di tutta una società globale che
andrebbe fermata per poter esistere come “uomini”.

Ma quello che bisognerebbe “apprendere” dall’esperienza è che:

gli psicotici ci hanno provato

a vivere come
“uomini
interi”

ragione e sentimento tutto insieme
mondo interno e mondo esterno (quando non sono in crisi)
in relazione.

Non ci sono riusciti

hanno deviato in una brutta malattia
che va assolutamente curata

ma
loro
ci
hanno
provato.

Non ne potevano fare a meno?
Forse, ma questo non conta molto.

 

3. il mio

non è assolutamente un inno alla malattia:

un malato mentale
uno che ha provato
non accetterebbe mai di ascoltare le famose diatribe-
quelle che dovevo reggermi
alla facoltà di psicologia-

sul malato-artista-genio.
Chi è un artista e un genio
Lo è “nonostante” la malattia.

4. voglio che tocchiate con mano che il malato non produce solo devianza

ma è produttore
anche
di una
“cultura”:
sulla sua malattia
e sulla malattia mentale in genere.

E’ una cultura basata sul vissuto
che viene dall’esperienza personale
e da quella di altri come lui

ma non per questo

è cultura che non abbia diritto ad essere ricompresa nella cultura alta, molto spesso basata solo sui libri e ricca di schemi pregiudiziali.
Di “blocchi emotivi” contro il diverso a qualunque categoria questi appartenga.

Voi non potrete mai immaginare
Il profondo odio che io, malata mentale,
ho vissuto da parte dei cosiddetti normali.

Il terrore di uscire dal coro
Sicuri che l’abisso del vuoto li trascinerà.

Ma non è neanche questo:
e poi, non tutti i normali sono “normali”.

La cultura sulla malattia mentale che vi mostro è vera cultura
perché non si è limitata a “vivere” la malattia
non è stata solo “passiva”

ma l’ha osservata, ha prodotto ipotesi e verifiche
e una elaborazione complessiva

pur con tutte le
manchevolezze possibili.

Ma quello che è nuovo è che

è

cultura

“esclusivamente dal punto di vista del paziente”.

una messa a fuoco, un’angolatura che solo il malato mentale ha
perché solo lui possiede il terreno in cui si muove.

L’altra è cultura necessaria, ma cultura
“che si china sul malato” senza “esperienziare” il suo mondo in prima persona.

Anche nelle “malattie fisiche” rivendichiamo come prioritario il nostro vissuto
E le nostre ipotesi sulla malattia
Sul dosaggio dei farmaci
Come anche i medici più avveduti rivendicano:
un dialogo.

Non è così per il malato mentale
perché egli
“dopo” la malattia
soprattutto durante una crisi di delirio
anche quando è evidente che una parte sana residuale rimane-
egli, malato di mente non è più un essere umano:

nessuno chiede ad una” bestia”
come sta veramente, cosa pensa della sua malattia, quali suggerimenti ha da dare ai tecnici

si vuole curare o non si vuole curare
ha bisogno di rimanere in un certo delirio che lo fa sentire meno solo:

“ se sento le voci, se parlano di me
esisto anch’io in una comunità
unica forma di esistenza che mi è dato percepire fin dall’infanzia:

la possibilità di assomigliarsi l’un l’altro.
Se sento le loro voci forse mi somiglio a qualcuno”.

o vuole “a tutti i costi”
diventare come quei modelli di normali che vede in famiglia, in chi lo cura

Quanta straordinaria difficoltà ho avuto fin dalla adolescenza
Per trovare un modello “umano” cui voler assomigliare
Perché “senza modelli” nessuno può crescere.

Con la malattia diventiamo animali
Ma i malati mentali non sono mai stati amati come gli animali.

“Sono animali”

ma non si amano.

 

 

 

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1 risposta a chiara e le sue vecchie cose ::

  1. mariapia scrive:

    molto difficile esprimere un commento: da tutto questo lungo scritto traspare molta serenità nell’affrontare la vita di tutti i giorni

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