IL FATTO QUOTIDIANO DEL 28 APRILE 2022
DIRITTI– 28 APRILE 2022
Detenuti, l’ultimo rapporto Antigone parla chiaro: il carcere non reinserisce e va ripensato
Abbiamo presentato questa mattina in conferenza stampa il XVIII Rapporto annuale dell’associazione Antigone sulle condizioni di detenzione in Italia, alla presenza di Carlo Renoldi, Capo Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, Gemma Tuccillo, Capo Dipartimento per la Giustizia Minorile e di Comunità, Marco Ruotolo, costituzionalista e Presidente della Commissione per l’innovazione penitenziaria, Stefano Anastasia, Coordinatore dei garanti regionali dei diritti dei detenuti.
Moltissimi i temi trattati dal Rapporto, molti i numeri, le analisi e le elaborazioni, le storie raccontate, le proposte avanzate. Mi soffermo qui solamente su due punti.
Proprio pochi giorni fa il Comitato per la Prevenzione della Tortura del Consiglio d’Europa ha raccomandato agli Stati membri di fissare una soglia massima di capienza per ogni struttura penitenziaria, che non possa assolutamente venir superata (e naturalmente a questo fine non propone di costruire più carceri, ma di usare meglio le alternative alla detenzione). Gli standard dettati dal Comitato sugli spazi minimi di vita sono inferiori rispetto a quelli ufficiali dell’Italia. Ma, nella concretezza, il nostro sistema carcerario non si basa né su quelli né su questi, tenendo realmente sotto controllo solamente la soglia minima di 3mq a persona al di sotto della quale la Corte di Strasburgo fissa un pregiudizio di trattamento inumano o degradante.
Non dunque lo spazio auspicabile per far vivere le persone in un ambiente adeguato, bensì quello indispensabile affinché non vivano in un ambiente indecente. Si è surrettiziamente reintrodotta quella distinzione tra capienza regolamentare e capienza tollerabile che alcuni anni fa compariva sul sito del Ministero della Giustizia e contro la quale Antigone si è lungamente battuta.
Anche la qualità degli spazi la dice lunga sulla vita interna. Nel 17% delle carceri visitate da Antigone ci sono sezioni prive di ogni ambiente comune. Celle e solo celle. I pochi detenuti inseriti in qualche attività escono dalla sezione alcune ore a settimana, gli altri al massimo passeggiano avanti e indietro lungo il corridoio. In oltre il 30% degli istituti le persone non hanno accesso regolare alla palestra. Inutile dire quanto sia importante l’attività fisica in un carcere. Nel 35% degli istituti visitati manca l’area verde per i colloqui all’aperto con i familiari prevista dal regolamento, mentre nell’85%non esistono spazi di culto per i detenuti non cattolici. In varie carceri abbiamo trovato il water a vista accanto al letto e al fornelletto per cucinare, nonostante la legge avesse imposto che dal settembre 2005 ciò non dovesse più accadere.
Il carcere sembra appartenere a un tempo remoto, dove nel 74% degli istitutida noi visitati le persone non hanno alcuna forma di accesso a Internet. Può funzionare un percorso di reintegrazione sociale che non preveda la connessione con lo strumento che oggi più pervade la vita del mondo libero? In quale società verrà reinserita una persona che per mesi, anni, decenni non ha aperto un sito web di informazione?
Il secondo punto che volevo qui menzionare è infatti proprio questo: il carcere non reinserisce. Come emerge dal Rapporto di Antigone, solo il 38% delle persone detenute è alla sua prima carcerazione. Il restante 62% è già stato in carcere almeno un’altra volta. Ben il 18% addirittura cinque o più volte. Il carcere non funziona. Il carcere non aiuta e non promuove percorsi di reintegrazione in società. In carcere vi è poca scuola, poco lavoro, quasi nessuna formazione professionale. Tutti dati che si leggono nel Rapporto.
Come qualsiasi altro strumento che si dimostri malfunzionante, il carcere va ripensato. Si tratta, tra le altre cose, di un investimento in termini di sicurezza. Oggi c’è la possibilità di un intervento riformatore in questo senso. La Commissione per l’innovazione del sistema penitenziario voluta dalla ministra Marta Cartabia sotto la guida del professor Marco Ruotolo ha presentato un articolato sistema di proposte, del tutto in linea con quelle avanzate da Antigone nel suo progetto di riscrittura del regolamento carcerario. Ciò potrebbe contribuire a recuperare una visione costituzionale comune della pena che sappiamo essere cara al nuovo Capo del Dap, il giudice Carlo Renoldi.
foto Repubblica
Ha un nome il nuovo capo delle carceri – il Dap, ovvero il dipartimento amministrazione penitenziaria – scelto direttamente dalla ministra della Giustizia. Si chiama Carlo Renoldi, ha 53 anni, è originario di Cagliari, e in passato, è stato magistrato penale e poi di sorveglianza nella sua città. Magistrato che non ha mai cercato la ribalta mediatica, è poco noto fuori dalla cerchia interna alla categoria.
«Sono per un carcere costituzionalmente compatibile. Un carcere dei diritti, in cui però siano garantite le condizioni di sicurezza», ha scritto recentemente lo stesso Renoldi.
«Non serve un “superuomo”, ma un gruppo che giochi di squadra»
«Un uomo solo al comando non basta, e non serve. Da parte di Renoldi, ma soprattutto della Ministra Cartabia, occorre un passo avanti verso il Terzo settore: qualcuno deve iniziare a prendere atto del fatto che l’80 per cento delle attività trattamentali e rieducative in carcere sono fatte dal mondo del volontariato e delle cooperative sociali. Questo è il mandato costituzionale primo, e quello più disatteso, ancora di più in tempo di pandemia», ragiona Ornella Favero, presidente della Conferenza nazionale volontariato e giustizia e direttrice di Ristretti Orizzonti.
continua:
Come si fa a pensare che, stando così la maggior parte delle carceri italiane, la persona carcerata possa fare un percorso di riabilitazione? Forse solo i santi ci riuscirebbero.