NOAM CHOMSKYC.J. POLYCHRONIOU
PERCHÉ L’UCRAINA
Traduzione di Vincenzo Ostuni
Ragioni e sviluppi della guerra in Ucraina.
In questo libro, pubblicato da Ponte alle Grazie in anteprima mondiale, Noam Chomsky delinea le cause dell’invasione russa, partendo da una premessa fondamentale: «L’invasione dell’Ucraina è un grave crimine di guerra. È sempre opportuno ricercare spiegazioni, ma non ci sono giustificazioni o attenuanti». Citando documenti riservati, rendendo comprensibili nelle loro dinamiche i rapporti fra Russia, Stati Uniti, NATO, Unione Europea e Cina, Chomsky offre al lettore quello che raramente giornali e tv riescono ad offrire: la possibilità di comprendere le ragioni profonde e le poste in gioco nella gravissima crisi.
SEGUE DA
Analisi di un conflitto: Perché l’Ucraina di Noam Chomsky
fuga per Putin, altrimenti accadrà il peggio. Non la vittoria, ma una via di fuga».
Per gentile concessione di Ponte alle Grazie proponiamo un estratto da Perché l’Ucraina di Noam Chomsky
C.J. Polychroniou. Noam, l’invasione russa dell’Ucraina ha colto tutti di sorpresa e provocato un’onda d’urto in tutto il mondo, per quanto vi fossero numerosi segnali che Putin fosse indispettito dall’espansione a est della
Nato e dal rifiuto di Washington di ascoltare le sue richieste in merito a una «linea rossa» di sicurezza in Ucraina. Secondo te perché ha deciso di lanciare l’invasione proprio in questo momento?
Noam Chomsky. Prima di rispondere, dobbiamo precisare alcuni fatti incontestabili. Il più importante di tutti è che l’invasione russa dell’Ucraina è un grave crimine di guerra, al pari dell’invasione statunitense dell’Iraq e di quella di Hitler-Stalin della Polonia nel settembre del 1939, giusto per fare due esempi emblematici. È sempre opportuno ricercare delle spiegazioni, ma non ci sono giustificazioni o attenuanti. Tornando alla tua domanda, molti elaborano con estrema sicurezza argute analisi sulla psiche di Putin. La versione più in voga è che sia colto da fantasie paranoiche, che agisca da solo, circondato da servili cortigiani del genere ben noto qui da noi, ossia gli ultimi residui del Partito repubblicano che si recano in pellegrinaggio a Mar-a-Lago a ricevere la benedizione del Capo. Questo genere di invettive può avere una sua fondatezza, ma forse possiamo prendere in considerazione anche altre possibilità.
Forse ciò che Putin e i suoi collaboratori ripetono forte e chiaro da anni è proprio ciò
che egli intende dire. Potrebbe essere, ad esempio, che «poiché la principale richiesta di Putin è sempre stata la rassicurazione che la Nato non ammettesse altri membri, e in particolare l’Ucraina o la Georgia, non ci sarebbe stato motivo di scatenare la crisi attuale se l’Alleanza atlantica non si fosse allargata dopo la fine della Guerra fredda, o quantomeno se questa espansione fosse avvenuta in armonia con la costruzione di una struttura di sicurezza in Europa che includesse la Russia».
A scriverlo, poco prima dell’invasione, è l’ex ambasciatore degli Stati
Uniti in Russia Jack Matlock, uno dei pochi veri esperti di Russia nel corpo diplomatico statunitense. Matlock aggiunge che la crisi «si può risolvere facilmente usando il buon senso […]. Secondo qualsiasi criterio di
buon senso, è nell’interesse degli Stati Uniti promuovere la pace, non il conflitto.
IL MANIFESTO DEL 21 APRILE 2022
https://ilmanifesto.it/chomsky-sulla-linea-rossa-del-conflitto
Chomsky sulla linea rossa del conflitto
LA PACE MANCATA. Linee rosse ben chiare a Chomsky ma non troppo ai commentatori occidentali sui nostri giornali: nessuna adesione alla Nato per Georgia e Ucraina, nel cuore geo-strategico della Russia
Alberto Negri
Cosa è stato lo sappiamo, cosa accadrà nel dopoguerra possiamo solamente immaginarlo. Perché la guerra altro non è che una pace mancata. E forse avremmo evitato il massacro.
Se Kiev e Mosca – con Washington di mezzo a volere evitare seriamente un conflitto- avessero intavolato prima delle trattative. Ora come europei paghiamo invece il prezzo di non aver regolato sull’onda dell’89 (crollo del Muro di Berlino) e del ’91 (fine dell’Urss) i rapporti con Mosca.
Gli occidentali, Stati Uniti in testa, avrebbero potuto e dovuto capire allora che prima o poi il fantasma della Russia nazionalista, alle prese con la nostalgia imperiale (Novorossija), si sarebbe di nuovo aggirato per l’Europa.
Ce lo ricorda anche il grande linguista Noam Chomsky, di origini ucraine, in un’intervista ieri sul Corriere della Sera, in buona parte equivocata nel titolo perché – pur definendo «eroica» la resistenza ucraina e indicando in questo l’elemento che la fa simile alla nostra Resistenza – nella sostanza infastidisce assai la narrativa predominante di questo conflitto.
«Ci sono due modi – dice Chomsky – per determinare cosa ha in mente Putin. Uno è speculare sulla sua mente contorta. L’altro è ascoltare quello che dice da tempo. Per 30 anni il governo degli Usa è stato avvertito, in modo fermo e chiaro, che stava perseguendo un percorso pericoloso e inquietante respingendo le preoccupazioni della Russia in materia di sicurezza e, in particolare, le sue esplicite linee rosse». Linee rosse ben chiare a Chomsky ma non troppo ai commentatori occidentali sui nostri giornali: nessuna adesione alla Nato per Georgia e Ucraina, nel cuore geo-strategico della Russia.
Gli avvertimenti erano arrivati dai diplomatici più rispettati – George Kennan, Henry Kissinger, l’ambasciatore Jack Matlock – e anche dai responsabili della Cia. Il segretario alla Difesa di Clinton, William Perry, ricorda Chomsky, andò vicino alle dimissioni in segno di protesta quando il presidente americano decise di violare la ferma e inequivocabile promessa del suo predecessore a Gorbaciov che la Nato non si sarebbe allargata “di un pollice a est”, vale a dire a est della Germania. Oggi Clinton sull’ “Atlantic” tenta una maldestra giustificazione dicendo che temeva «l’ultranazionalismo russo», che per la verità ai tempi di Eltsin sembrava morto e sepolto.
Nel 2004 Putin affermava di non temere l’espansione della Nato ammonendo però che la marcia verso Est dell’alleanza militare «non migliorava la sicurezza internazionale». Non era un ultimatum ma la definizione di un “limes”. La Russia poteva accettare – come avvenne – l’allargamento della Nato agli ex Paesi del Patto di Varsavia e persino alla tre repubbliche baltiche ma non all’Ucraina e alla Georgia. L’Occidente però faceva orecchie da mercante e invece di rispettare la linea rossa di Mosca investì dozzine di milioni di dollari nella rivoluzione arancione di Kiev.
L’amministrazione Bush cercava di indorare la pillola spiegando che la Russia non doveva vedere il problema ucraino in termini di «sfere di influenza»: ma proprio di questo si trattava. Come se gli Usa fingessero di non avere le «loro» sfere di influenza.
Era prevedibile che la Russia appena si è sentita più forte reagisse in Georgia nel 2008 e in Ucraina nel 2014: risultato ora neppure il più ottimista considera reversibile l’annessione della Crimea.
In realtà non negoziando con la Russia invece di un ordine internazionale ispirato alle regole del diritto e alle cosiddette sfere di influenza si è tornati alla classica e devastante politica di potenza.
Allora Henry Kissinger aveva avvertito che se l’Ucraina voleva sopravvivere e prosperare «non doveva diventare l’avamposto di una parte contro l’altra ma fare da ponte tra le due». Era il 5 marzo 2014 in un articolo dell’ex segretario di stato comparso sul Washington Post. Amen.
Sembra che il buon senso e la moderazione dei propri appetiti abbia abbandonato la quasi totalità delle potenze occidentali.