LIMESONLINE 4 MARZO 2022 —
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ODESSA, PERLA UCRAINA NEL MIRINO RUSSO
Carta di Laura Canali – 2022
4/03/2022
La città fondata da Caterina II è obiettivo del Cremlino. Avamposto della Novorossija, sconta valenza strategica e commerciale. Componente russofona e valore simbolico eccitano le rivendicazioni di Mosca, che punta a soffocare Kiev nel Mar Nero settentrionale.
di Pietro Figuera
Pubblicato in: LA RUSSIA CAMBIA IL MONDO – n°2 – 2022
UCRAINA
1. «È impossibile ricordare senza rabbrividire la terribile tragedia di Odessa, dove i partecipanti a una pacifica azione di protesta furono brutalmente uccisi, bruciati vivi nella Casa dei sindacati.
I criminali che hanno commesso questo delitto non sono stati puniti, nessuno li sta cercando. Ma li conosciamo per nome e faremo di tutto per punirli, trovarli e processarli» ( NOTA 1. )
Nel discorso ormai celebre tenuto il 21 febbraio scorso, preludio del successivo attacco all’Ucraina, il presidente russo Vladimir Putin non ha usato mezzi termini per qualificare gli autori materiali della strage di Odessa del 2014. Facendo intendere, specie a posteriori, che le successive mosse del Cremlino avrebbero perseguito lo scopo di dargli la caccia, nel più generale disegno di «denazificazione» dell’Ucraina.
Riecheggiano le parole usate nel 1999, quando il giovane Putin, ancora solo primo ministro di El’cin, minacciava di andare a prendere i terroristi ceceni «fin nei gabinetti». Una brutalità divenuta quasi leggendaria e ben presto associata allo stereotipo di una Russia aggressiva e vendicatrice. Eppure, anche un’energica reazione a una ferita rimasta aperta nella coscienza dei russi. Violenza che chiama violenza.
Allora la guerra era combattuta contro il separatismo ceceno, oggi i separatisti sono quelli appoggiati da Mosca.
Non più nel Caucaso settentrionale, bensì nel Donbas conteso con Kiev in una disputa portata, nelle ultime settimane, alle sue estreme conseguenze. La tragedia di Odessa a cui fa riferimento Putin è quasi dimenticata alle nostre latitudini, ma ben viva nella memoria dei russi che ogni 2 maggio ne ricordano i fatti: 48 morti e 240 feriti tra i filorussi della città, vittime di un incendio doloso – e dei soccorsi ostacolati – nell’edificio in cui si erano rifugiati, la Casa dei sindacati.
Ma Odessa rappresenta molto di più per i russi.
La «perla del Mar Nero» è il simbolo dell’espansione marittima della Russia imperiale, riferimento centrale in una retorica putiniana che oggi sembra sentirsi più a suo agio con l’epopea zarista che con quella sovietica. Ed è poi, molto più prosaicamente, un centro strategico di primaria importanza per chi ne detiene il controllo, grazie alla posizione geografica, al porto e agli ingenti commerci. Senza contare la presenza di una folta comunità russofona al suo interno, che ne fa una delle grandi città più divise d’Ucraina. Nonché obiettivo primario di un’espansione russa che non vuole più limitarsi alla Crimea e al Donbas.
2. La contesa su Odessa investe già la sua genesi.
C’è chi fa risalire il suo compleanno al 1794, data della fondazione ufficiale da parte della zarina Caterina II, e chi invece insiste su precedenti origini, rimarcando la preesistenza della fortezza ottomana di Yeni Dünya e in particolare dell’insediamento di Khadžibej, attivo almeno dal XIV secolo.
Sviluppo non dissimile da quanto avvenuto quasi un secolo prima sul Baltico, dove San Pietroburgo nasceva in prossimità della fortezza svedese di Nienšanc 2. Con la differenza che sulla vecchia capitale zarista nessuno – ancora – sogna di rivendicare la sovranità.
Nei fatti però è solo con il dominio russo che Odessa assume una crescita vertiginosa, che la fa passare da duemila abitanti nel 1795 a centomila nel 1850, fin quasi a raggiungere il mezzo milione alla fine del XIX secolo.
Proiettando la propria fama ben oltre le acque del Mar Nero. Merito delle politiche zariste, che fin da Caterina avevano puntato sul popolamento della retrostante Novorossija – a sua volta parte di un progetto fortemente evocativo, già dal nome scelto per la regione 3.
E in particolare, merito della creazione di un porto franco attivo dal 1817 al 1849.
Carta di Laura Canali – 2022
Nei suoi anni d’oro la città arriva a essere la terza dell’impero, nonché il suo secondo porto dopo San Pietroburgo. Ma a differenza della sua sorella sul Baltico, Odessa si connota per la coesistenza di numerose comunità straniere, dagli italiani NOTA 4
agli armeni, dai greci agli ebrei, che ne fa un marchio di fabbrica e un caso pressoché unico nel pur multietnico impero russo. Il relativo declino d’influenza occorso alla fine dell’Ottocento è conseguenza anche della disastrosa guerra di Crimea (1853-56), che interrompe temporaneamente l’espansione meridionale dell’impero zarista. E non verrà compensato dalla continua crescita demografica della città.
A pesare, ben più degli eventi del 1905 che la consacreranno alla memoria collettiva novecentesca – l’ammutinamento della Potëmkin – sono i continui pogrom volti a sradicare la presenza ebraica, anima vitale dei commerci cittadini.
La prima guerra mondiale e la rivoluzione, poi, le daranno quasi il colpo di grazia.
Tra il 1917 e il 1920 la città cambia ben sette volte proprietario, passando dalle milizie di Symon Petljura della Repubblica Popolare Ucraina al controllo dell’Armata Rossa, con intermezzi austroungarici, dell’Intesa e «bianchi» che testimoniano – oltre alla strategicità della piazza, di cui parleremo più avanti – la sua delicata posizione di confine.
L’Odessa sovietica, ben raccontata – tra gli altri – da un Georges Simenon in cerca di risposte nelle sue peregrinazioni europee orientali 5, è solo un’ombra della «Palmira» che aveva abbagliato generazioni di viaggiatori, coi suoi palazzi neoclassici e i larghi viali.
Non perde naturalmente il suo valore geopolitico, accresciuto anzi dall’espansionismo di Stalin sul Mar Nero, specie dopo la seconda guerra mondiale.Ma non recupererà più il brand di un tempo, nonostante una certa vivacità culturale che in campo cinematografico la porta a essere la «Cannes sovietica». È anche per questo che la sua perdita, assieme al resto dei territori della Repubblica Socialista Sovietica Ucraina, suscita a Mosca meno malumori della parallela privazione della Crimea, frutto della storica leggerezza di Khruščëv. La fine dell’Urss potrebbe coincidere con l’inizio di una sua rinascita: Odessa si trova assegnata a un paese di più modesta taglia, dunque in proporzione può contare di più. Almeno sulla carta.
In realtà, il nuovo corso odessita è zavorrato da una serie di problemi che ne affliggono lo sviluppo: la criminalità trae profitto proprio dalle elevate quote di commercio che fin da subito ne fanno uno scalo essenziale per l’economia ucraina.
Nel 2015 a capo della relativa oblast’ viene chiamato Mikheil Saakashvili, ex presidente georgiano in cerca di ricollocamento,con il dichiarato intento (poi fallito) di dare una svolta alla situazione. Nonostante l’atavico multiculturalismo, che fin dai suoi esordi ne ha concesso il dominio a stranieri (a partire dal parigino duca di Richelieu, 1803-14), l’investitura di un ex capo di Stato è certamente inedita e viene letta dalla Russia come una provocazione, dati i trascorsi non proprio felici con «Miša» 6.
È passato del resto ben poco tempo dalla svolta che ha incrinato in modo definitivo la storia dei rapporti tra Russia e Ucraina.
Nel 2014 si era infatti consumato lo strappo della Crimea, che oltre a certificare il rinnovato interesse di Mosca per una proiezione sul Mar Nero (e per il revisionismo geopolitico) aveva segnalato anche la possibilità di ulteriori acquisizioni in zone favorevoli alla sua presenza. Per circa un anno, tra alti e bassi, il Cremlino mantiene vivo il progetto Novorossija, utopia di una riconquista a colpi di referendum dell’intera Ucraina meridionale, da Donec’k e Luhans’k fino appunto a Odessa. Solo le prime due, tuttavia, riusciranno a dar seguito ai propri intenti, complice anche l’attiguità dei confini della Federazione Russa.
Dopo la strage del 2014 di cui si è accennato all’inizio, Odessa vivrà una strana calma, interrotta dagli scontri delle due fazioni rivali che ne rivendicano due opposti destini: appartenenza all’Ucraina, incentivata dalle politiche linguistiche del governo centrale di Kiev, o «ritorno» alla Russia, nel solco storico zarista e seguendo il modello crimeano. Tra gli analisti, tuttavia, di Novorossija non si parlerà più 7.
Sembra un progetto sepolto, irrealizzabile anche per i più fantasiosi revisionisti. Almeno fino al colpo di mano dello scorso febbraio, capace di rimettere integralmente in discussione forma e legittimità dello Stato ucraino.
3. Odessa è ancora una città divisa quando arrivano le prime incursioni militari russe. Inaspettate per una popolazione che si credeva lontana dal fronte di guerra e che fino all’ultimo ha mantenuto un’ordinata routine a dispetto dei crescenti allarmi. E invece l’amaro risveglio del 24 febbraio scorso le fa riscoprire il suo valore strategico, comunque non certo dimenticato dal suo sindaco («se succede qualcosa, avverrà nel Donbas o qui») 8 né dalle autorità di Kiev, che vi installano un’amministrazione militare sotto la guida di Serhij Grinevec’kij 9.
Si capisce subito che una parte importante della nuova partita tra Mosca e Kiev si gioca sul Mar Nero. Oltre che per la presenza russofona e i già citati legami tradizionali, Odessa è rilevante per la Russia nella stessa misura in cui lo è per Kiev. In altre parole, la dipendenza dello Stato ucraino ne fa un obiettivo bellico primario per i russi, che hanno la possibilità unica di rendere Kiev (o meglio ancora Leopoli, nei più arditi sogni revisionisti del Cremlino) la capitale di un paese senza sbocco al mare.
Dai tre principali porti (Odessa, Južne, Čornomors’k) dei sette ospitati nell’area transitano due terzi degli scambi commerciali dell’intera Ucraina.
Rilievo ulteriormente accresciuto a seguito della perdita della Crimea. E non solo per la sottrazione di Sebastopoli e degli altri scali situati sulla penisola, ma anche per il limitato accesso al Mar d’Azov che ha progressivamente eroso le posizioni di Berdjans’k e Mariupol’. Insomma, Odessa è di gran lunga il principale snodo commerciale ucraino, necessaria valvola di sfogo marittima per un paese già in fondo alla lista dei pil pro capite europei.
Carta di Laura Canali – 2017
Al valore prettamente economico si somma quello geostrategico, fondato su molteplici fattori. In primis la sua collocazione ai confini sud-occidentali dell’Ucraina, ad appena 30 chilometri dalla foce del Dnestr e a un paio d’ore di auto dalla Transnistria filorussa. Il Danubio – che sbocca ai confini col bastione romeno dell’Intermarium – non è lontano e può assicurare un certo controllo delle merci in transito da o per buona parte dell’Europa centrale.
Odessa, inoltre, è situata a ridosso della linea rossa idealmente tracciata da Mosca per contenere le pressioni Nato sull’istmo d’Europa. Da lì il Cremlino potrebbe più agevolmente controllare l’asse difensivo che unisce gli avamposti di Kaliningrad a Sebastopoli attraverso Tiraspol’ (Transnistria) e le propaggini più occidentali della Bielorussia. E più specificatamente, minacciare la base aerea Mihail Koga˘lniceanu, situata nei pressi del porto di Costanza (Romania).
Non è difficile quindi comprendere la scelta dei russi di assicurarsi il controllo dell’Isola dei Serpenti, a 45 chilometri dalle coste ucraine, nella prima fase delle operazioni militari volute da Putin. Con la sua presa, Odessa è isolata e virtualmente priva di collegamenti coi paesi dell’Alleanza Atlantica. E può essere più facilmente presa di mira dalle forze aeronavali di Mosca, anche se – almeno al momento in cui si scrive – nella città sul Mar Nero non si registrano gli scontri più violenti della nuova guerra. Un fatto che non deve stupire. Il numero ridotto di bombardamenti e armi pesanti su Odessa potrebbe spiegarsi con una certa considerazione di Mosca per la città e i suoi abitanti, un terzo dei quali etnicamente russi.
Non vi è dubbio che, in caso di successo, la Russia spingerà molto le trattative sulla questione di Odessa. Come minimo, reclamando una tutela avanzata della sua minoranza russa. Ovvero puntando su un controllo diretto del suo territorio, avamposto estremo di una resuscitata Novorossija.
Note:
1. A. Dedjulina, «Putin v svoem videoobraščenii vspomnil pro Odessu» («Nel suo videomessaggio Putin ha ricordato Odessa»), od.vgorode.ua, 22/2/2002, bit.ly/3HsToml
2. P. Figuera, «Il faro di San Pietroburgo scruta sempre l’Occidente», Limes, «La Russia non è una Cina», n. 5/2020, pp. 319-326.
3. Lo storico William Sunderland ricorda le assonanze con le colonie europee della Nuova Spagna e del New England. Taming the Wild Field: Colonization and Empire on the Russian Steppe, Ithaca 2004, Cornell University, p. 70.
4. La presenza italiana, soprattutto nella prima metà dell’Ottocento, è particolarmente significativa ed è testimoniata anche dall’uso del relativo idioma come lingua franca. Vedi A. Ferrari, «Quando Odessa parlava italiano», Limes, «L’Ucraina tra noi e Putin», n. 4/2014, pp. 141-45.
5. Brillante è la sua descrizione nelle pagine di Europa 33, edita in Italia da Adelphi.
6. Il governatore di Odessa non durerà comunque molto: i suoi propositi riformisti si scontrano con le oligarchie locali, fino a farlo desistere dal proseguire l’avventura. Nel 2016 si dimette e l’anno successivo perde la cittadinanza ucraina, per poi recuperarla nel 2019 assieme all’incarico di presidente del Consiglio delle riforme dell’Ucraina affidatogli da Zelens’kyj. Nel 2021 Saakashvili torna in Georgia e viene arrestato per abuso d’ufficio e malversazione.
7. A. Kolesnikov, «Why the Kremlin Is Shutting Down the Novorossiya Project», carnegiemoscow.org, 29/5/2015, bit.ly/3Hs8qsO
8. F. Battistini, «Crisi ucraina, le navi russe al largo di Odessa: “Se ci attaccano, sarà qui”», corriere.it, 12/2/2022, bit.ly/3t4hXkA
9. D. Vojnalovič, «Situacija v Odesse: čto sejčas proikhodit v gorode» («Situazione a Odessa: cosa sta succedendo in città»), rbc.ua, bit.ly/3sqSXVJ
Sogno ancora le scene de “La corazzata Potemkin”.