Limesonline, 24 marzo 2022 : NICCOLO’ LOCATELLI, IL FRONTE DELL’ONU ++ Fulvio M. Palombino, Rosario Aitala, NEL FRAGORE DELLE ARMI LA LEGGE NON È SILENTE, LIMESONLINE DEL  4 MARZO 2022

 

 

LIMESONLINE- IL MONDO OGGI, 24 MARZO 2022 

https://www.limesonline.com/notizie-mondo-oggi-24-marzo-guerra-ucraina-vertice-nato-gas-rubli-risoluzione-onu-crisi-umanitaria/127238

 

 

Summit, gas e altre notizie dalla guerra d’Ucraina

Carta di Laura Canali - 2021

La rassegna geopolitica del 24 marzo.

analisi di Mirko Mussetti, Niccolò Locatelli

 

 

NEL LINK, OLTRE A QUELLO SCELTO DA NOI SULL’ONU, CI SONO DUE TEMI SVILUPPATI DA MIRKO MUSSETTI :

 

 

 

VERTICI OCCIDENTALI  [di Mirko Mussetti]

 

GAS E RUBLI [di Mirko Mussetti]

 

 

 

 

 

IL FRONTE DELL’ONU

 

 di Niccolò Locatelli

 

 

Al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite una risoluzione sull’emergenza umanitaria in Ucraina presentata dalla Russia è stata votata soltanto dalla Cina, oltre che dalla Russia stessa. Tutti gli altri 13 membri del Consiglio si sono astenuti. All’Assemblea generale è stata invece approvata una risoluzione franco-messicana sullo stesso tema, con esplicita condanna dell’invasione.

 

 

Perché conta:

 

L’esito dei conflitti viene deciso fuori dal Palazzo di Vetro, ma i lavori del Consiglio di sicurezza e dell’Assemblea generale in tempo di guerra possono offrire indicazioni interessanti sul versante diplomatico.

Nello specifico, la risoluzione presentata da Mosca non aveva possibilità di passare, visto che ometteva qualsiasi riferimento all’invasione russa. Ha però permesso alla Cina di mostrare la propria vicinanza al vicino settentrionale, per quanto nelle stesse da Pechino arrivasse l’ennesimo distinguo: l’ambasciatore della Cina negli Usa ha infatti confermato che nell’amicizia con Mosca non ci sono limiti, ma ha aggiunto che ci sono delle linee guida – tra cui proprio la Carta delle Nazioni Unite, che non contempla l’uso della forza per violare la sovranità territoriale di un altro Stato.

 

La risoluzione ha inoltre permesso di assistere all’ennesima prova di equilibrismo dell’India, il cui rappresentante permanente al Palazzo di Vetro non si è astenuto solo dal voto ma anche dal rilasciare dichiarazioni (unico tra i 15 diplomatici del Consiglio di sicurezza).

La partita si è poi spostata all’Assemblea generale, dove la risoluzione stilata da Francia e Messico contenente un’esplicita condanna dell’aggressione russa è stata approvata con 140 voti a favore, 34 astenuti e 5 contrari – gli stessi della risoluzione di inizio marzo: Russia, Bielorussia, Corea del Nord, Siria ed Eritrea.

I voti che si contano sono ampiamente a sfavore di Putin. Tra i voti che si pesano, perso l’Occidente (Brasile compreso), il Cremlino si deve accontentare dell’astensione degli altri Brics, di Cuba e dell’Iran.

Forse abbastanza per alimentare la retorica del multipolarismo, sicuramente poco per sfuggire nel lungo periodo al ruolo di stazione di servizio della Cina.

Per approfondire: Nel fragore delle armi la legge non è silente

 

 

 

LIMESONLINE DEL  4 MARZO 2022

https://www.limesonline.com/cartaceo/nel-fragore-delle-armi-la-legge-non-e-silente

 

NEL FRAGORE DELLE ARMI LA LEGGE NON È SILENTE

Carta di Laura Canali - 2022 (dettaglio)

Dettaglio di una carta di Laura Canali. La versione integrale nell’articolo.

 

 4/03/2022

La giustizia internazionale potrebbe occuparsi dei crimini commessi in Ucraina, ma lo sbarramento politico lo rende improbabile. Il ruolo della Cpi e la questione dei neonazisti. Come decrittare la ‘dichiarazione di guerra’ di Putin.

di Fulvio M. Palombino, Rosario Aitala

Pubblicato in: LA RUSSIA CAMBIA IL MONDO – n°2 – 2022

 

ONU, RUSSIA

1. Le parole, secondo Verga, hanno il valore che dà loro chi le ascolta. In geopolitica però rileva anche, e molto, l’intento di chi le pronuncia. In diritto, poi, le parole «parlano», hanno un significato oggettivo che può prescindere dagli intendimenti e dai propositi degli uni e degli altri.

 

Nella dichiarazione mandata in onda nella notte fra il 23 e il 24 febbraio con cui il presidente della Federazione Russa Vladimir Putin imprime ufficialità alle operazioni militari in corso da mesi e annuncia l’inizio della guerra le parole sono scelte con cura chirurgica e si rivolgono a interlocutori eterogenei, esterni e interni.

 

«Non ci è stata lasciata altra scelta per difendere la Russia e il nostro popolo se non quella che siamo costretti oggi a compiere. In queste circostanze dobbiamo, immediatamente e con coraggio, entrare in azione. Le Repubbliche Popolari del Donbas hanno chiesto l’aiuto della Russia. In questo contesto, in conformità con l’articolo 51 (Capitolo VII) della Carta delle Nazioni Unite, con l’autorizzazione del Consiglio della Federazione Russa e in esecuzione dei trattati di amicizia e reciproca assistenza con la Repubblica Popolare di Donec’k e la Repubblica Popolare di Luhans’k, ratificati dall’Assemblea federale il 22 febbraio, ho deciso di condurre un’operazione militare speciale. Lo scopo di questa operazione è proteggere il popolo che, ormai da otto anni, è sottoposto all’umiliazione e al genocidio perpetrato dal regime di Kiev. A tal fine intendiamo demilitarizzare e denazificare l’Ucraina, e portare in tribunale coloro che hanno perpetrato numerosi e sanguinari crimini contro i civili, anche della Federazione Russa».

 

L’inquilino del Cremlino attinge liberamente a concetti giuridici, argomenti politici e suggestioni storiche. 

 

Proviamo a decrittarne le parole. 

 

2. La dichiarazione si lega strettamente al lungo discorso televisivo 

con cui Putin aveva annunciato al paese il riconoscimento delle repubbliche separatiste ed è costruita in modo suggestivo, in modo da qualificare l’avvio delle operazioni militari come atto necessario e inevitabile. Lo storico Marcello Flores di recente ha denunciato un certo atteggiamento giustificatorio occidentale delle ragioni russe (non dell’azione armata), dovuto all’abitudine di osservare quel paese con gli occhiali vetusti della guerra fredda. E ha segnalato che la scelta delle armi esprime la preoccupazione tutta politica di un pericoloso contagio democratico ai propri confini, oltre al timore di potenziali aggressioni territoriali alla Federazione; e insieme manifesta un disegno neozarista ma con modalità di controllo dell’area di influenza più indirette, come dimostrato dagli interventi armati in Cecenia, Georgia e Crimea e dall’abbandono del percorso di cooperazione intrapreso negli anni Novanta con la Partnership for Peace e il Nato-Russia Founding Act e proseguito con il Nato-Russia Council del 2002, che implicavano l’accettazione dell’allargamento della Nato verso est. A questo disegno, secondo Flores, è strumentale la revisione storica con cui Putin spiega l’asserita inesistenza autonoma dell’Ucraina rispetto alla madrepatria russa.

‘Non ci è stata lasciata altra scelta (…) se non quella che siamo costretti oggi a compiere (…) in conformità con l’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite’

 

 

Indossiamo le lenti del diritto internazionale.

 

La dichiarazione di Putin, indipendentemente da come la si valuti, esprime una presa di posizione giuridicamente rilevante che declina l’asserita ineluttabilità di un intervento armato preoccupandosi di perimetrare le circostanze che lo legittimerebbero. Il Cremlino fa implicito richiamo alla sentenza della Corte internazionale di giustizia del 1986 che nel caso Nicaragua contro Stati Uniti aveva accertato un uso illegittimo della forza realizzato dagli Usa con attività militari e paramilitari in Nicaragua e non altrimenti giustificabile per ragioni di legittima difesa. In quella decisione, difatti, era stata sottolineata la centralità delle dichiarazioni ufficialmente attribuibili a organi statali. Ed è questa la ragione per cui Putin spiega in termini giuridici le ragioni di una decisione prettamente politica.

 

Ma procediamo con ordine. 

 

L’intervento militare russo in Ucraina è un esempio di uso della forza nel senso di cui all’articolo 2 della Carta delle Nazioni Unite: «Le parti si asterranno nelle proprie relazioni internazionali dalla minaccia o dall’uso della forza contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato, ovvero in modo comunque incompatibile con le finalità delle Nazioni Unite». Il Cremlino lo riconosce esplicitamente, ritenendo però l’atto di aggressione giustificato e dunque lecito. È davvero così?

 

L’unica eccezione al divieto cogente dell’uso della forza è la legittima difesa così come circoscritta dall’articolo 51 della Carta stessa, per cui nessuna delle sue disposizioni pregiudica «il diritto naturale di autotutela “individuale” o “collettiva”, nel caso in cui abbia luogo un attacco armato contro un membro» dell’organizzazione.

Secondo il diritto internazionale, il diritto di legittima difesa può essere esercitato solo in presenza di un attacco armato «già sferrato», con il che si esclude l’uso della forza a fini meramente «preventivi», vale a dire allo scopo di anticipare un attacco. Putin, richiamando l’esigenza di difendere la Russia e il popolo, allude al pericolo di sicurezza comportato dalla progressiva espansione del nemico, la Nato, verso est, ai confini della Federazione, reiterato in numerose dichiarazioni e nel lungo discorso con cui annunciava il riconoscimento delle repubbliche separatiste. Richiama dunque un uso preventivo della forza, ritenuto dagli studiosi inammissibile nel diritto internazionale, e contraddice anche la posizione critica costantemente espressa dalla Russia, da altre potenze sovraniste e dallo stesso Putin, il quale nel contesto della crisi irachena e dell’intervento americano del 2003 dichiarò la contrarietà russa a leggere estensivamente la nozione di legittima difesa, come sostenevano gli Stati Uniti per giustificare le proprie azioni. 

 

‘Le Repubbliche Popolari del Donbas hanno chiesto l’aiuto della Russia’

 

L’articolo 51 della Carta apre le porte anche a una dimensione collettiva della legittima difesa che consente un intervento armato per difendere un soggetto statale diverso dall’interveniente. Putin non perde l’occasione di farvi riferimento, ma non sembrano ricorrerne le condizioni. Questa forma di difesa può essere esercitata da uno Stato diverso da quello attaccato solo su richiesta di quest’ultimo. Per questo il capo del Cremlino esplicita la sollecitazione ricevuta dalle entità separatiste. E tuttavia il riconoscimento ad horas da parte della Russia ha un valore meramente dichiarativo, politico, e non può conferire alle Repubbliche Popolari del Donbas la soggettività di diritto internazionale che a entrambe difetta. Donec’k e Luhans’k non sono soggetti di diritto internazionale perché mancano del requisito dell’indipendenza – o sovranità esterna – che presuppone un ordinamento originario e indipendente da altri Stati. Le repubbliche non avevano il potere di invocare legittimamente l’intervento della Russia né tantomeno potevano concludere validamente i trattati del 22 febbraio.

 

Carta di Laura Canali - 2022Carta di Laura Canali – 2022

 

Nell’ultimo passaggio, forse il più suggestivo, Putin sostiene che l’intervento armato sarebbe funzionale a proteggere la popolazione del Donbas, vittima di atti genocidari a opera del «regime» di Kiev.

Anche in questo caso le parole utilizzate non sono casuali e alludono a un’altra e controversa teoria del diritto internazionale, la «responsabilità di proteggere» (responsibility to protect), a lungo avversata dalla Russia e altre grandi potenze. La teoria, secondo alcuni versione moderna della dottrina dell’intervento umanitario, attribuisce a ciascuno Stato il dovere di proteggere i propri cittadini da gravi violazioni dei diritti dell’uomo, fra cui atti di genocidio, e trasferisce in caso di inadempienza questa responsabilità alla comunità internazionale nel suo complesso. Poiché le autorità ucraine, sottintende il Cremlino, non agiscono per proteggere i russofoni da atti genocidari, anzi ne sono autrici, lo può e lo deve fare la Russia. Questi interventi sono però considerati legittimi solo in presenza di un’autorizzazione del Consiglio di Sicurezza, come avvenuto nell’ambito della crisi libica che nel 2011 portò alla destituzione di Gheddafi. Secondo una posizione isolata, ogni Stato sarebbe legittimato ad assumere da solo la responsabilità di proteggere in nome e per conto dell’intera comunità internazionale. Ma anche adottando quest’ottica e ammettendo la sussistenza di atti genocidari commessi dal governo ucraino (vedi oltre), l’uso operato dal governo russo della dottrina sembra strumentale al perseguimento di interessi geopolitici che mai come in questa occasione sono del tutto disarmonici rispetto a quelli della comunità degli Stati.

 

‘Operazione militare speciale’

 

La formula, in sé priva di valore descrittivo, va letta in negativo; è funzionale a escludere altri termini che sottintendano l’idea dell’aggressione.

Putin si rivolge a un tempo al paese e alla comunità internazionale. L’opinione pubblica russa ha spazio di sviluppo e azione ridotto, circoscritto dagli apparati securitari, ma sarebbe gravemente erroneo supporne l’irrilevanza. Gli eventi di questi giorni sembrano anche dimostrare un ruolo importante delle élite politiche ed economiche russe, che rischiano di pagare il prezzo più alto delle sanzioni, non sempre allineate con il Cremlino.

In Russia, il dominio governativo dell’informazione non è assoluto. Se è vero che oltre il 60% della popolazione attinge le notizie alle televisioni, in massima parte controllate dalle autorità, i giovani sotto i quarant’anni, particolarmente i conoscitori della lingua inglese, si informano su Internet e sui social media. Su Telegram, che gira su linee criptate ed è molto popolare, viaggiano diversi canali indipendenti critici con centinaia di migliaia di iscritti.

Secondo media occidentali, fra cui il Guardian, per sedare e lenire il disagio che scuote fasce sempre più vaste della popolazione preoccupate dalle pesanti conseguenze economiche della guerra e contrarie a spargimenti del sangue di un popolo fratello (in base a un sondaggio del Centro Levada solo il 45% dei russi approva la guerra), i media controllati dal governo sono stati mobilitati per propagandare informazioni coerenti con la narrazione di Putin e degli organi governativi a ogni livello.

L’invasione è raccontata come una virtuosa campagna difensiva per liberare l’Ucraina e per proteggere le popolazioni civili russofone da asseriti attacchi di Kiev; non vengono mai citate vittime civili delle operazioni russe e viene esplicitamente negata la campagna militare in atto contro la capitale e altre città ucraine. Il Roskomnadzor, il Servizio federale russo di controllo sulle comunicazioni, incaricato della censura di guerra, avrebbe emanato direttive specificamente rivolte a una decina di media indipendenti imponendo di attenersi alle informazioni e ai dati ufficiali e vietando l’uso di espressioni quali «invasione», «attacco», «dichiarazione di guerra», «vittime civili» e simili, a pena del blocco dell’attività.

 

In termini giuridici è opinione della maggior parte degli Stati e degli specialisti che le operazioni militari russe costituiscano una guerra di aggressione, illecita in quanto ingiustificata.

 

Le sanzioni economiche e politiche adottate da un numero crescente di Stati, unilateralmente o nell’ambito di organizzazioni regionali o internazionali, ne sono prova manifesta. Il Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa, agendo ai sensi dell’articolo 8 dello statuto dell’organizzazione, ha sospeso la Federazione Russa con effetto immediato dai diritti di rappresentanza in seno a tale organo e all’Assemblea parlamentare. Nella scontata paralisi del Consiglio di Sicurezza, impossibilitato a adottare una risoluzione di condanna dell’invasione dell’Ucraina per effetto dell’esercizio del diritto di veto russo, sarà l’Assemblea Generale, convocata d’urgenza per la prima volta dopo quarant’anni, a occuparsi della questione. ( VEDI ARTICOLO SOPRA ). Ma l’organo è sostanzialmente privo di poteri vincolanti e assume decisioni di carattere solo politico. Che il Consiglio, il quale invece ha gli strumenti e il dovere di intervenire per assicurare il mantenimento della pace e della sicurezza internazionali, sia ancora una volta condannato all’inazione e all’impotenza in nome di quel diritto di veto che è il sintomo più evidente di un deficit di democraticità, rende improcrastinabile una riforma delle Nazioni Unite, la cui alternativa è l’irrilevanza davanti alla storia.

 

‘Denazificare l’Ucraina’

 

Il verbo ambisce a scolpire la suggestione, in questi termini priva di fondamento, che l’Ucraina sia controllata da movimenti e forze politiche di ispirazione neonazista.

 

Il richiamo diretto è ai movimenti nazionalisti di estrema destra attivi nel paese dalla caduta dell’Unione Sovietica nel 1991, ma Putin fa implicito riferimento all’antecedente storico più remoto delle formazioni partigiane che nel 1941 si schierarono con il Terzo Reich.

 

Quando la Germania abbatté le linee sovietiche nel giugno 1941, riprese vigore il nazionalismo ucraino, mai sopitosi, e si formarono crudeli milizie di collaborazionisti che combatterono al fianco dei nazisti contro l’Armata Rossa concorrendo attivamente alle stragi delle minoranze polacche della Volinia e della Galizia orientale e allo sterminio di un milione e cinquecentomila ebrei sovietici costretti a vivere nella «Zona di residenza», che in buona parte si trovava in territorio ucraino.

Alcune unità ucraine vennero poi organizzate nella divisione Galizia delle Waffen-SS, la quattordicesima, che esponeva il vessillo giallo-blu oggi bandiera della repubblica ucraina.

Una pagina dolorosissima della storia ucraina consegnata all’oblio, anche perché non è stato istruito un solo processo contro i carnefici. Di questa pagina nera alcuni media russi si sono appropriati da tempo per marcare una linea di continuità fra quelle formazioni e i movimenti estremisti di destra attivi nel paese, che contano migliaia di militanti stranieri, europei e italiani inclusi.

 

 

Carta di Laura Canali - 2022Carta di Laura Canali – 2022

 

Quando l’Unione Sovietica si scioglie nel 1991 le formazioni neonaziste rialzano la testa e riemergono nei teatri di guerra della regione:

 

nel 1993 combattono con i georgiani contro i russofoni in Abkhazia, oggi repubblica secessionista riconosciuta da Mosca; l’anno dopo con i terroristi ceceni neutralizzati da Putin. Nel 2004 gli estremisti nazionalisti giocano un ruolo minore nella «rivoluzione arancione» e nel 2014 agiscono da protagonisti in Jevromajdan, la rivolta innescata dalla mancata firma da parte del governo di Viktor Janukovyč dell’accordo di stabilizzazione e associazione con l’Unione Europea e dalla brusca sterzata filorussa. È allora che il mondo conosce l’estrema violenza di bande di giovani pesantemente armati che calzano elmetti-cimeli del secondo conflitto mondiale e indossano svastiche e i simboli delle Schutzstaffeln, le sanguinarie milizie naziste.

La destra filonazista ha un limitato peso numerico nella Verkhovna Rada, il parlamento ucraino, ma le formazioni – fra le quali i Battaglioni di difesa territoriale, i Patrioti dell’Ucraina, il Settore di destra – esercitano un potere condizionante sulla politica e sono fra i fattori che hanno fortemente frenato l’applicazione degli accordi di Minsk fra il governo di Kiev e i separatisti filorussi di Donec’k e Luhans’k.

Il nazionalismo ucraino è il principale responsabile delle ingiuste prevaricazioni nei confronti delle minoranze russofone, che non giustificano tuttavia in alcun modo le azioni armate di Mosca. Però sono state tollerate anche dai partner occidentali dell’Ucraina in modo poco lungimirante.

 

 

Per paradosso, nel Donbas prospera un estremismo di destra uguale e contrario. La regione è diventata il centro attrattivo globale del terrorismo di destra, vivaio internazionale di suprematisti bianchi, antisemiti, razzisti, fascisti e odiatori che nel silenzio dei media conducono più attentati e fanno più morti del jihadismo, in America e in Europa.

Sarebbero complessivamente 17 mila i miliziani, mercenari, estremisti accorsi in Ucraina orientale da cinquanta paesi per combattere con i nazionalisti o con i separatisti. Gli italiani, secondo il ministero dell’Interno, sono una sessantina e fanno riferimento a Forza Nuova, Lealtà e azione, CasaPound, formazioni naziskin e sedicenti piccole cellule comuniste.

 

 

‘Proteggere il popolo sottoposto al genocidio, (…) portare in tribunale coloro che hanno perpetrato numerosi e sanguinari crimini contro i civili’

 

Si richiama al genocidio non solo il governo russo per qualificare il trattamento che verrebbe riservato ai russofoni dal governo ucraino, ma anche chi denuncia l’azione russa come guerra di aggressione.

 

È un richiamo corretto?

Il termine fu coniato alla metà degli anni Quaranta dal giurista polacco Lemkin che congiunse il lemma greco γένος («genere», «stirpe») e il suffissoide latino –cidium, dal verbo caede˘re («uccidere»)per indicare quelle condotte sistematiche e coordinate di persecuzione e distruzione di collettività nazionali, religiose o etniche.

Lemkin aveva in mente, in particolare, lo sterminio degli ebrei che la sua famiglia aveva drammaticamente sperimentato in Polonia, costringendolo alla fuga.

 

Nel 1948 le Nazioni Unite elaborarono una convenzione che definisce come genocidiogli omicidi e le lesioni fisiche o mentali a membri del gruppo perseguitato; l’inflizione di misure «di morte lenta» tali da determinare la distruzione del gruppo, per esempio privandolo di adeguati alimenti, assistenza medica, vestiario, abitazioni; le misure intese a impedire la riproduzione del gruppo, come le sterilizzazioni, le mutilazioni sessuali, la segregazione sessuale e gli stupri per alterare la composizione etnica del gruppo; e il trasferimento forzato dei bambini ad altri gruppi. Occorre però che sia accertato in capo agli autori l’intento di distruggere il gruppo, in tutto o in parte. Il crimine è nella giurisdizione del Tribunale per l’ex Jugoslavia, del Tribunale per il Ruanda e ora della Corte penale internazionale. È stato applicato, per esempio, per condannare all’ergastolo, fra gli altri, Karadžić, presidente della Repubblica Serba, e Mladić, comandante dell’esercito serbo-bosniaco per l’assassinio a sangue freddo di 8 mila uomini e ragazzi e la deportazione di 30 mila donne e bambini nella città di Srebrenica, enclave dei musulmani bosniaci.

 

Il termine nel discorso comune e giornalistico è usato impropriamente come sinonimo di eccidi e di crimini di massa particolarmente efferati, al punto che la parola ha subìto un processo di volgarizzazione – il fenomeno di progressiva diffusione di usi generici e inappropriati di un termine – simile a quelli che hanno riguardato per esempio i lemmi «mafia» e «terrorismo». Anche a prescindere dalla definizione giuridica, il concetto di genocidio ha una precisa specificità che lo distingue da massacri e violenze anche molto gravi: presuppone e comporta il disconoscimento del diritto all’esistenza a intere collettività e a ciascuno degli appartenenti in quanto tale e persegue il radicale annichilimento del gruppo perseguitato.

 

Mentre diversi storici, studiosi e attivisti hanno denunciato la commissione di crimini internazionali nella storia recente dell’Ucraina, nessuno finora ha su fonti aperte rivelato prove o indizi di condotte riconducibili al genocidio.

 

Guardando indietro nel tempo torna alla mente l’Holodomor – la «morte per fame» – che in Ucraina negli anni Trenta determinò la morte di tre o quattro milioni di persone.

Secondo gli storici Naimark, Graziosi e Flores, Stalin sfruttò scientemente una carestia devastante che spinse la popolazione alla disperazione e persino al cannibalismo per punire il nazionalismo dei contadini ucraini.

 

Nel 1932 il raccolto dei cereali nel paese era crollato del 40%, anche per via dell’eliminazione di settecentomila kulaki, i «contadini ricchi», uccisi in massa, e della deportazione di altri due milioni.

 

Stalin allora aumentò all’inverosimile le requisizioni, comprese le sementi necessarie per l’anno successivo, proibì ai contadini di abbandonare l’Ucraina, represse funzionari e intellettuali, assunse il controllo del Partito comunista ucraino e negò che fosse in atto una carestia. Il folle obiettivo del dittatore era colpire i gruppi etnici e le popolazioni considerate inaffidabili e potenzialmente pericolose per la sicurezza dello Stato sovietico, non per distruggere tout court ma per indebolire e piegare la nazione ucraina. Si trattò di una delle atrocità più efferate della storia umana, secondo gli studiosi citati di un vero e proprio genocidio.

 

3. Mentre il conflitto è in corso l’Ucraina non ha esitato a tentare una soluzione giurisdizionale, investendo la Corte internazionale di giustizia di un ricorso depositato il 26 febbraio contro la Russia, che conferma quanto il presidente Volodymyr Zelens’kyj aveva anticipato in un tweet.

 

Il procedimento riguarda la presunta violazione della convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio del 1948, di cui sia l’Ucraina sia la Russia sono parti,e sembra possa radicarsi davanti alla Corte sulla base dell’articolo 9, in base al quale le controversie fra le parti contraenti relative all’interpretazione, applicazione ed esecuzione della convenzione, comprese quelle relative alla responsabilità di uno Stato per atti di genocidio, sono sottoposte alla Corte internazionale di giustizia, su richiesta di una delle parti in controversia.

Riferendosi alle dichiarazioni di Putin, Zelens’kyj chiede alla Corte di accertare l’infondatezza della ricostruzione dei fatti proposta dal Cremlino, ossia di confermare che in Ucraina non sia in corso un genocidio e, conseguentemente, l’impossibilità di giustificare in alcun modo l’intervento armato russo. La convenzione in effetti pone sugli Stati l’obbligo di prevenire e punire gli atti genocidari che però deve essere eseguito in buona fede, talché una parte contraente non potrebbe utilizzare una falsa accusa di genocidio per giustificare un intervento militare altrimenti illegittimo. L’Ucraina ha anche chiesto alla Corte l’adozione di misure cautelari che impongano alla Russia la sospensione immediata delle operazioni militari e prevengano così pregiudizi irreparabili ai diritti dell’Ucraina e dei suoi cittadini, evitando un inasprimento del conflitto.

 

Carta di Laura Canali - 2022Carta di Laura Canali – 2022

 

È verosimile che la Russia (probabilmente senza successo) solleverà un’eccezione di politicità della controversia, contestando nel caso la giurisdizione della Corte, che si può occupare di questioni giuridiche e non politiche.

Ed è probabile che anche se la Corte dovesse dare ragione nel merito all’Ucraina, nei lunghissimi tempi richiesti da questi procedimenti, la sentenza rimarrebbe inattuata perché l’esecuzione delle sentenze della Corte è affidata all’adempimento spontaneo della parte soccombente. È vero che per l’articolo 94 della Carta se una delle parti della controversia è inadempiente agli obblighi derivanti da una sentenza, l’altra parte può ricorrere al Consiglio di Sicurezza. Ma riemergerebbe la questione del diritto di veto in tutta la sua problematicità, visto che la Russia, quale membro permanente, avrebbe ancora una volta la possibilità di paralizzare l’eventuale azione del Consiglio.

 

4. La Corte internazionale di giustizia non è l’unico tribunale internazionale davanti al quale la vicenda ucraina potrebbe essere esaminata.

 

La Corte penale internazionale (Cpi), invocata a più riprese con notevoli imprecisioni nel dibattito politico e diplomatico che è seguito all’inizio delle ostilità, potrebbe giudicare la responsabilità individuale per crimini internazionali eventualmente commessi nel contesto della guerra e in precedenza. La Corte ha giurisdizione sui crimini di guerra, che consistono nelle gravi violazioni delle norme del diritto internazionale che disciplinano i mezzi e le modalità legittime di condotta delle ostilità armate e il trattamento dei civili e dei militari fuori combattimento; sui crimini contro l’umanità, la categoria che gli Alleati crearono in vista del processo di Norimberga per punire i nazisti del Terzo Reich per le atrocità commesse contro i propri stessi cittadini di religione ebraica e che comprende crimini espressione della tracotanza del potere governativo, in forma di attacchi estesi o sistematici contro popolazioni civili espressione di politiche governative o organizzative: omicidi, torture, detenzioni arbitrarie, stupri, persecuzioni; sul genocidio, consistente in condotte violente sostenute dall’intento di distruggere un gruppo etnico, nazionale o religioso; e sul crimine di aggressione.

 

Secondo la dichiarazione adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1974, per «atto di aggressione» si intende l’uso della forza armata da parte di uno Stato contro la sovranità, l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di un altro Stato, o comunque in qualunque altro modo contrario alla Carta delle Nazioni Unite.

Un atto di aggressione come quello che in questo momento gran parte degli Stati attribuisce alla Russia a determinate condizioni può dare luogo anche a un crimine di aggressione, come tale suscettibile di essere sottoposto alla giurisdizione della Corte penale internazionale.

Per lo statuto della Corte, come modificato nella conferenza di Kampala del 2010, il crimine di aggressione consiste nella pianificazione, preparazione, inizio o esecuzione di un atto di aggressione che per carattere, gravità e portata costituisce una manifesta violazione della Carta delle Nazioni Unite. È un crimine di élite che possono commettere solo quelle pochissime persone in grado di esercitare effettivamente il controllo o dirigere l’azione politica o militare di uno Stato, vale a dire i massimi dirigenti politici e militari che dispongono del potere effettivo di decidere e controllare l’uso della forza militare. La Corte non potrebbe tuttavia esercitare la giurisdizione in relazione ai fatti dell’Ucraina procedendo per aggressione perché una norma dello statuto, frutto di un miope e pericoloso compromesso voluto a Kampala proprio da Stati Uniti, Russia e altri grandi Stati, vieta alla Corte di esercitare la propria giurisdizione per il crimine di aggressione qualora la condotta criminosa sia tenuta da un cittadino di uno Stato non parte dello statuto.

 

La Federazione Russa non è parte della Corte; anzi, pur avendo sottoscritto a Roma il trattato internazionale con cui si dava vita all’organo giudiziario internazionale nel 1998, all’epoca di El’cin, ha sentito l’esigenza di approvare una legge con la quale si esclude che lo statuto possa essere ratificato.

La Corte non avrebbe alcun margine di manovra sotto questo profilo, ma potrebbe giudicare i crimini di guerra e contro l’umanità da chiunque eventualmente commessi in territorio ucraino sia nei confronti di cittadini ucraini sia nei confronti di cittadini russi.

L’Ucraina non è Stato parte della Corte ma ne ha accettato la giurisdizione in due momenti, prima per i crimini eventualmente commessi sul suo territorio dal 21 novembre 2003 al 22 febbraio 2004 e successivamente per ogni crimine internazionale ipoteticamente commesso dal 20 febbraio 2014 in poi, senza termine.

Il 28 febbraio scorso il procuratore della Corte ha annunciato l’intenzione di aprire un’indagine al più presto e nello stesso giorno il governo lituano ha anticipato che segnalerà alla Corte di indagare«crimini di guerra e crimini contro l’umanità in Ucraina».

Se un’indagine venisse in effetti condotta, la Corte potrebbe dover valutare se siano stati commessi in qualsiasi momento successivo al 21 novembre 2013 crimini internazionali nel contesto della rivolta di Jevromajdan, nei confronti delle minoranze russofone, come denunciato da Mosca, o ancora in questi giorni di conflitto.

Anche se la Corte non potrà giudicare per fatti eventualmente riconducibili al crimine di aggressione, potrebbe dovere valutare preliminarmente la sussistenza del cosiddetto elemento contestuale, cioè la ricorrenza di un conflitto armato in connessione al quale siano stati commessi omicidi, torture, persecuzioni e via dicendo. Nel farlo dovrebbe valutare le circostanze che hanno condotto al conflitto, compresa la legittimità dell’uso della forza da parte dello Stato che ha iniziato le ostilità. Il processo penale internazionale ha la preponderante funzione di accertare la verità e tanto basterebbe per consegnare alla storia una ricostruzione oggettiva degli eventi in corso.

 

Bisogna però tenere presente che le indagini nei contesti di conflitto sono di particolare difficoltà e che i procedimenti davanti alla Corte sono, per ragioni procedurali e pratiche, lunghi e articolati. Se la procura riuscisse a condurre le indagini con successo, dovrebbe poi dimostrare ai giudici la sussistenza di prove e di esigenze cautelari per l’emissione di mandati di cattura nei confronti dei responsabili e quindi ottenerne la consegna, perché la Corte può rinviare a giudizio e sottoporre a processo solo imputati presenti.

 

5. Nel 1942 il giudice britannico James Atkin, ribaltando l’aforisma ciceroniano «silent enim leges inter arma», scrisse che «nel fragore delle armi la legge non è silente».

È davvero così? La contemporaneità è profondamente segnata da fenomeni involutivi di natura politica, un generale arretramento nei parametri che qualificano la civiltà moderna.

La democrazia intesa come pluralismo, qualità della politica, rispetto delle libertà e funzionamento delle istituzioni è in costante declino.

 

Oltre un terzo della popolazione mondiale vive sotto il dominio di autocrazie. In 80 dei 193 paesi del mondo i civili sono coinvolti in conflitti armati e situazioni di deprivazione sistematica e violenta dei diritti fondamentali. Terrorismi, atrocità di massa e metodiche violazioni dei diritti umani in molte aree del globo sono diventate cronica inerenza del potere, cinica grammatica della politica.

 

Le architetture politico-ideali del secondo dopoguerra sono andate frammentandosi. La politica internazionale è ammalata di relativismo morale; a seconda di interessi contingenti gli Stati sostengono o giustificano le atrocità di massa oppure osservano con indifferente apatia la quotidiana carneficina dei diritti fondamentali. Il diritto internazionale è irriso, le giurisdizioni internazionali ignorate o intimidite. E tuttavia l’uno e le altre restano un argine imprescindibile contro l’insicurezza, l’ingiustizia, le diseguaglianze, contro il Male e l’oblio del Male.

 

 

Il diritto internazionale esiste affinché gli Stati non risolvano le controversie ricorrendo alla brutalità della forza sregolata: nec ad arma veniant. I tribunali internazionali e i fori multilaterali sono il luogo di composizione pacifica e giusta degli interessi particolari in competizione. E tuttavia sarebbe una finzione conferire al diritto internazionale una vita propria: sono gli stessi Stati a formarlo, ad attuarlo e a comprometterne l’autorità e l’effettività, mettendo a rischio le prospettive dell’umanità. Oggi si chiudono gli occhi davanti alle sofferenze di un popolo «altro», si tollera una prevaricazione, oppure si permette che le giurisdizioni internazionali siano derise e minacciate, domani ci si sveglia in un mondo irrimediabilmente senza regole. La lezione di questi giorni è che il diritto è prima di ogni altra cosa memoria.

 

Pubblicato in: LA RUSSIA CAMBIA IL MONDO – n°2 – 2022

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1 risposta a Limesonline, 24 marzo 2022 : NICCOLO’ LOCATELLI, IL FRONTE DELL’ONU ++ Fulvio M. Palombino, Rosario Aitala, NEL FRAGORE DELLE ARMI LA LEGGE NON È SILENTE, LIMESONLINE DEL  4 MARZO 2022

  1. ueue scrive:

    Notizie e dati molto interessanti, che aiutano a capire un po’ di più.

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