MICHELE GIORGIO, La fame attanaglia lo Yemen. E la guerra continua a infuriare –IL MANIFESTO DEL 17 MARZO 2022 + CINZIA BIANCO, LA VERA POSTA IN GIOCO DELLA GUERRA IN YEMEN È IL BOTTINO MARITTIMO – LIMESONLINE, 16-09-2021

 

IL MANIFESTO DEL 17 MARZO 2022

La fame attanaglia lo Yemen. E la guerra continua a infuriare

 

Medio Oriente. Due terzi dei programmi Onu sono stati chiusi o ridotti. I ribelli Houthi convocati in Arabia Saudita per discutere il cessate il fuoco

 

Le macerie di un edificio distrutto dai bombardamenti a AdenLe macerie di un edificio distrutto dai bombardamenti a Aden

©  Saleh al-Obeidi/Getty Images

Michele Giorgio

EDIZIONE DEL  17.03.2022

PUBBLICATO 16.3.2022, 23:59

 

Anche l’attrice e star internazionale Angiolina Jolie, ambasciatrice dell’Unhcr, si è unita all’appello lanciato da Martin Griffiths, sottosegretario agli affari umanitari delle Nazioni Unite, per la raccolta di 4,3 miliardi di dollari essenziali per aiutare a sfamare e a curare milioni yemeniti vittime della guerra che da otto anni devasta il paese. Un conflitto figlio anche dello scontro a distanza tra Arabia saudita e Iran che ha già fatto decine di migliaia di morti – tra cui 10mila bambini ha riferito il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres – e che ha gettato lo Yemen in una «crisi umanitaria permanente». Ieri era in programma la conferenza dei paesi donatori organizzata per raccogliere fondi dall’Onu.

IL POPOLO YEMENITA rischia davvero la fame. Due terzi dei programmi delle Nazioni Unite sono stati completamente chiusi o ridotti a causa della mancanza di fondi e dell’escalation dei combattimenti. I tagli agli aiuti hanno comportato la riduzione delle razioni di cibo per otto milioni di persone e delle forniture di acqua potabile. «Siamo pronti a sostenere il popolo yemenita ma non possiamo farlo da soli. Per una questione di responsabilità morale, di decenza e compassione umana, di solidarietà internazionale e di vita o di morte, dobbiamo sostenere il popolo dello Yemen ora» ha detto Guterres rivolgendosi ai paesi ricchi per sollecitarli a non abbandonare il più povero dei paesi arabi. Secondo la Scala di classificazione integrata della sicurezza alimentare (Ipc), alla quale qualche giorno fa hanno fatto riferimento in un comunicato la Fao, l’Unicef e il Programma alimentare mondiale, lo Yemen mostra un livello elevato e persistente di malnutrizione acuta tra i bambini al di sotto dei cinque anni. In tutto il paese, 2,2 milioni di bambini sono gravemente malnutriti. Stessa la condizione di 1,3 milioni di donne incinte o che allattano. E 161mila persone saranno soggette alla carestia nella seconda metà del 2022, con un dato cinque volte maggiore rispetto a quello attuale e livelli catastrofici di fame.

La gravità della situazione umanitaria e le sofferenze della popolazione non fermano la guerra tra le forze governative appoggiate dalla Coalizione a guida saudita e i ribelli sciiti Houthi sostenuti dall’Iran.

All’inizio dell’anno l’avanzata dei ribelli verso le città petrolifere è stata arrestata grazie all’intervento di forze mercenarie agli ordini degli Emirati – uno sviluppo al quale gli Houthi hanno risposto lanciando attacchi con missili e droni su Abu Dhabi – e sul terreno ora regna una situazione di stallo. L’incapacità delle due parti di vincere la guerra non ha ancora prodotto tentativi concreti di mettere fine alle ostilità e lasciare spazio a trattative. Non pare perciò destinato ad avere successo l’invito che il Consiglio di cooperazione del Golfo (Ccg), organizzazione con base a Riyadh, ha rivolto ai ribelli yemeniti a recarsi dal 29 marzo fino al 7 aprile in Arabia saudita per discutere del cessate il fuoco. Nei prossimi giorni dovrebbero partire inviti formali alle parti. Gli Houthi dovrebbero essere «ospiti» del segretario generale del Ccg, Nayef Falah Mubarak Al-Hajraf.

 

PROPRIO IL RUOLO di primo piano ricoperto dall’Arabia saudita è l’ostacolo principale agli incontri. Pesano inoltre le 81 persone, per metà di fede sciita, giustiziate sabato da Riyadh. Un alto ufficiale Houthi ha già avvertito che il gruppo difficilmente accetterà di andare nel regno dei Saud che è parte attiva nella guerra, continua a bombardare con i suoi aerei lo Yemen e sostiene il governo di Abdrabbo Mansour Hadi, considerato «corrotto» dagli insorti sciiti. «L’Arabia saudita» ha detto Mohammed Ali al-Houthi, capo del comitato supremo, «è parte della guerra e non un negoziatore». Tuttavia, queste dichiarazioni non rappresentano né una conferma né un rifiuto dell’invito. Quindi non è da escludere che i ribelli possano ammorbidire la loro posizione, forse su pressione del loro sponsor, l’Iran. Tehran da mesi è impegnata in negoziati, mediati dall’Iraq, con Riyadh per allentare la forte tensione tra i due paesi. Le trattative dovevano riprendere questa settimana ma sono state sospese dopo le esecuzioni di massa compiute dai sauditi. Ma andranno avanti.

 

TEHRAN in questa fase, approfittando dell’attenzione sulla guerra tra Russia e Ucraina, ha tutto l’interesse a migliorare le relazioni nella regione e a chiudere il nuovo accordo Jcpoa con gli Usa e le altre potenze occidentali sul suo programma nucleare in discussione a Vienna.

 

 

 

 

https://ilmanifesto.it/la-fame-attanaglia-lo-yemen-e-la-guerra-continua-a-infuriare/

 

 

 

 

 

 

LIMESONLINE DEL 16 SETTEMBRE 2021

https://www.limesonline.com/cartaceo/la-vera-posta-in-gioco-della-guerra-in-yemen-e-il-bottino-marittimo

 

 

 

LA VERA POSTA IN GIOCO DELLA GUERRA IN YEMEN È IL BOTTINO MARITTIMO

 

Carta di Laura Canali - 2020

Carta di Laura Canali – 2020

 

2. BAB AL-MANDAB -cartina

 16/09/2021

Gli Emirati puntano fin dal 2015 a infilare le ‘perle’ yemenite nella ‘collana’ di porti medioceanici. L’Arabia Saudita ha compreso tardi questa dimensione del conflitto, ma si sta adeguando. Aden e Båb al-Mandab sono gli obiettivi primari. La lezione britannica.

 

di Cinzia Bianco

Pubblicato in: LEZIONI AFGHANE – n°8 – 2021

EMIRATI ARABI UNITI, ARABIA SAUDITA, YEMEN, MARI

 

 

1. Nel 2015 il Regno Unito è entrato nel conflitto a guida saudita in Yemen in nome di imperativi geopolitici molto chiari. Contrariamente alla narrazione comune, l’intervento britannico non ha a che fare esclusivamente con la volontà di preservare i lucrativi rapporti commerciali e finanziari con le due potenze in guerra, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. Ciò che ha definitivamente convinto il governo di Sua Maestà a partecipare all’impegno bellico è quanto appreso dalla British East India Company nel 1839 1.( = note in fondo )

Primo: solo chi proietta influenza sui mari può sostanziare le proprie velleità geopolitiche, a qualsiasi livello. Secondo: chi controlla Aden controlla uno dei due accessi al Mar Rosso, quindi i flussi tra l’Oceano Indiano e il Mediterraneo e la rotta marittima che collega Asia, Africa ed Europa. Per i britannici la guerra in Yemen è sempre stata una guerra per Aden, per non perdere gli ultimi residui dell’influenza costruita con fatica nella strategica città portuale cui Londra abdicò a malincuore nel 1963.

 

Questa dimensione del pensiero strategico britannico è stata fatta propria da uno dei principali protagonisti del conflitto in Yemen. Non si tratta dell’attore più potente e influente, l’Arabia Saudita, bensì di quello minore, gli Emirati Arabi Uniti, che compensa la differenza di taglia con smisurate ambizioni geopolitiche. Non è un caso che gli ex Stati della tregua, a differenza dell’Arabia Saudita, siano stati protettorati britannici per decenni e che ad Abu Dhabi restino ancora consiglieri inglesi insediati nel cuore della Corte emiratina, come l’ex dirigente dell’MI6 Will Tricks 2.

 

Riyad ha impiegato quasi tre anni a comprendere la dimensione marittima del conflitto in Yemen e ha iniziato a fare sul serio sulle coste yemenite, anche in contrapposizione agli alleati emiratini, solo nel 2018. Oggi, Arabia Saudita ed Emirati sono allineati nel riconoscere l’importanza fondamentale dello spazio marittimo yemenita e perseguono le rispettive strategie per estendervi la propria influenza. Oltre a una guerra civile e tribale, a uno scontro per procura tra sauditi e iraniani e a una competizione tra grandi potenze, in Yemen si combatte anche un conflitto, certamente meno sanguinoso, per il controllo dei mari. Se le prime tre contese sono finora state dei completi fallimenti per la coalizione saudo-emiratina, per Riyad e Abu Dhabi la vittoria sui mari potrebbe valere le centinaia di miliardi di dollari spesi negli ultimi sei anni nella punta meridionale della Penisola Arabica.

 

2. Le acque territoriali yemenite sono passaggio obbligato per i flussi marittimi che si dirigono verso il Mar Rosso e il Mediterraneo, o verso l’Oceano Indiano, attraverso il Canale di Suez. L’alternativa è transitare nelle acque territoriali somale, famose per essere particolarmente vulnerabili alle incursioni dei pirati. La punta occidentale dello Yemen si affaccia su Bāb al-Mandab, tra i più importanti crocevia marittimi al mondo. Da questo stretto transitano circa il 10% del commercio globale e il 23% del flusso di petrolio e gas 3. Alla luce della costante crescita economica di buona parte dell’Africa orientale, il traffico attraverso Bāb al-Mandab è destinato ad aumentare ulteriormente. Si prevede che entro il 2050 il volume dei traffici commerciali nel Mar Rosso sarà quantificato in migliaia di miliardi e che il pil della regione raddoppierà 4. L’Africa sarà la nuova frontiera geopolitica e il Mar Rosso ne è uno dei principali punti d’accesso. Per Bāb al-Mandab ( punto 2. nella cartina sopra ) transitano inoltre infrastrutture digitali critiche, inclusi 15 cavi sottomarini internazionali 5. I mari dello Yemen sono perciò un bottino di guerra di tutto rispetto, di cui Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita – sia pure con strategie diverse – intendono impossessarsi.

 

 

Emirati Arabi Uniti Mappa Politica Degli Emirati Arabi Uniti - Immagini vettoriali stock e altre immagini di Carta geografica - iStock

cartina iStock

 

 

NOTA  DEL BLOG:

 

Gli Emirati Arabi Uniti (in arabo: دولة الإمارات العربية المتحدة‎, Dawlat al-Imārāt al-ʿArabiyya al-Muttaḥida) sono uno Stato nel sud-est della Penisola araba, nell’Asia sud-occidentale. Esso è composto da sette emirati: Abu Dhabi, Ajman, Dubai, Fujaira, Ras al-Khaima, Sharja e Umm al-Qaywayn. Prima del 1971, erano noti come gli Stati della Tregua (Trucial States), con riferimento a una tregua imposta nel XIX secolo dai britannici ad alcuni sceicchi arabi che non contrastavano, e anzi foraggiavano, attività piratesche miranti a colpire il naviglio transitante nel tratto di mare di loro competenza. La nazione confina con l’Oman a sud-est, con l’Arabia Saudita a sud-Ovest ed è bagnata dal Golfo Persico a nord.

Il petrolio è la principale fonte economica degli Emirati Arabi Uniti ed è il componente essenziale del loro PIL.

Il petrolio fu scoperto ad Abu Dhabi nel 1958 e a Dubai nel 1966. Gli introiti hanno fatto prosperare il Paese al punto che la città più importante, Dubai, è considerata la “New York del Golfo Persico”.

 

la città di DUBAI

A.Savin (WikiCommons) – Opera propria

 

 

DUBAI

Imre Solt –

 

 

 

 

I due terzi della popolazione (il 68%) vive nei due principali emirati (Abu Dhabi e Dubai).

I 7 paesi costituirono gli Emirati Arabi Uniti tra  il 1971 / ’72.

Nel 1990-91 gli Emirati Arabi Uniti parteciparono alla Prima Guerra del Golfo.

 

 

LA CAPITALE ABU DHABI, 1 500.000 ABITANTI NEL 2018

Denis Barthel

 

DI NOTTE, ABU DHABI

Canon PowerShot A450

 

 

FINE NOTA DEL BLOG DA:  https://it.wikipedia.org/wiki/Emirati_Arabi_Uniti

 

 

 

Nella divisione dei compiti di guerra, Abu Dhabi si è da subito offerta di occuparsi del Sud dello Yemen 6. I sauditi erano invece soprattutto preoccupati di mettere in sicurezza il loro confine meridionale e di indebolire gli ḥūṯī, considerati agenti di prossimità dell’Iran, che avevano preso la capitale Ṣan‘ā’. Abu Dhabi, anche in funzione della più limitata forza militare, si offriva di difendere Aden dalle frequenti incursioni del gruppo armato e di combattere e degradare la presenza jihadista nei governatorati meridionali di Laḥiğ, Abyan, Šabwa, Ḥaḍramawt e al-Mahrā.

 

ROBERTO ZICHITELLA – ROBZIK — YEMEN ALLO STREMO DOPO 7 ANNI DI GUERRA – “La popolazione vive in condizioni drammatiche”, denuncia Medici Senza Frontiere. –FAMIGLIA CRISTIANA.IT — 16 FEBBRAIO 2022 + link

YEMEN

 

Le operazioni militari contro le cellule di al-Qā‘ida e dello Stato Islamico annidatesi in Yemen avevano il ruolo fondamentale di giustificare almeno in parte le operazioni belliche agli occhi dell’opinione pubblica occidentale, così come di impedire che le milizie yemenite diventassero una minaccia per le stesse monarchie del Golfo o per i traffici marittimi internazionali che transitano vicino a quelle coste. Per gli Emirati Arabi Uniti – ribattezzati «piccola Sparta» per le capacità dimostrate in Afghanistan, nei Balcani e nelle Libie – ricacciare i militanti jihadisti verso il deserto del Rub‘ al-Ḫālī (il Quarto vuoto) e ridurre le loro capacità al minimo ha richiesto solo pochi mesi 7.

Nell’aprile 2016, le forze emiratine riuscirono a scacciare gli ḥūṯī dalla loro autoproclamata capitale di al-Mukallā raccogliendo il plauso unanime degli ambienti militari americani, a partire dal segretario alla Difesa americano James Mattis 8. Quando i riflettori si sono spenti, però, gli Emirati ne hanno approfittato per insediarsi ad al-Mukallā e in altre province costiere yemenite.

 

L’interesse degli emiratini all’accesso alle coste yemenite e alle loro infrastrutture è fatto così noto che nel 2019 il governatore della provincia di al-Maḥwīt chiese pubblicamente loro di «smettere di usare il pretesto della lotta contro gli ḥūṯī per occupare i porti dello Yemen» 9.

Per comprendere le scelte di Abu Dhabi è necessario introdurre un elemento fondamentale della sua geopolitica: la strategia della «collana di perle», dove per perle si intendono i porti 10. Questa collana parte da Dubai, si snoda nel Mar Arabico e nel Mar Rosso, attraversa il Canale di Suez (porto egiziano di al-‘Ayn al-Suḫna) e il Mediterraneo appoggiandosi sui terminali controllati a Cipro, nelle Libie e in Marocco e si dirige infine verso l’Oceano Atlantico.

 

La leadership di Abu Dhabi, che decide la politica estera degli Emirati Arabi Uniti, punta da anni a eccellere in una funzione di nicchia allo scopo di aumentare l’importanza strategica del paese e renderlo partner indispensabile delle grandi potenze. Abu Dhabi ha scommesso sulla connettività e sull’intensificazione della globalizzazione, vuole sfruttare la propria posizione strategica e le proprie capacità di hub logistico globale maturate con lo sviluppo di infrastrutture fisiche (porti, aeroporti, ferrovie, strade) e digitali – oltre dieci cavi sottomarini internazionali passano per le sue acque.

 

 

Il controllo dei flussi marittimi diventa dunque un obiettivo strategico imprescindibile. Soprattutto quando l’unica potenza globale in ascesa, la Cina, punta molto sulla connettività marittima: diventare una piccola potenza dei mari e integrare la propria strategia con le nuove vie della seta cinesi può rendere gli Emirati i più importanti interlocutori regionali di Pechino 11. Ecco perché Abu Dhabi ha eletto una delle sue eccellenze – la multinazionale della logistica basata a Dubai Dp World, specializzata in operazioni portuali, servizi marittimi e sviluppo di zone di libero scambio – ad attore geopolitico. Oggi Dp World è il soggetto che controlla o opera il maggior numero di infrastrutture portuali nel Mar Rosso – dallo Yemen, al Somaliland, dall’Eritrea al Sudan, dall’Arabia Saudita all’Egitto. Può gestire i trasporti marittimi dalla sua base a Dubai fino al cuore del Mediterraneo in modo totalmente autonomo, divenendo strumento essenziale del soft power di Abu Dhabi.

 

Carta di Laura Canali - 2021Carta di Laura Canali – 2021

 

3. Grazie alla pianificazione della leadership, la dimensione militare della geopolitica marittima emiratina è complementare a quella commerciale. Il modello strategico sviluppato è stato coerente con lo status di piccola potenza: la costituzione di gruppi nuovi tramite la cooptazione delle tribù locali, in tutto e per tutto dipendenti dagli Emirati, che agiscono quasi come agenti di prossimità 12.

Tra il 2016 e il 2017 ad al-Mukallā Abu Dhabi ha creato, armato, addestrato e stipendiato le forze d’élite ḥaḍramī, affiancate dalle forze d’élite šabwānī a est e dalle forze d’élite mahrī a ovest. Questo ha garantito agli Emirati l’accesso ai porti di al-Mukallā, al-Šiḥr, Ruḍūm, Bālḥāf, Nišṭūn e al-Ġayḍa. Scali indubbiamente non molto grandi, ma che rivestono una certa importanza in quanto terminali per l’esportazione di idrocarburi. Nišṭūn e al-Ġayḍa, in particolare, sono stati individuati come sbocchi ottimali di un nuovo oleodotto che collegherebbe direttamente i giacimenti emiratini e sauditi al Mar Arabico, permettendo alle due petromonarchie di esportare il proprio petrolio bypassando lo Stretto di Hormuz e di prevenire quindi eventuali minacce iraniane alle loro vitali esportazioni 13. Si tratta di un progetto di lungo periodo e di ardua implementazione, ma di altissimo valore strategico.

 

Quanto a Aden, per gli emiratini questa città portuale ha sempre avuto un’importanza eccezionale. Anche qui, nel 2017, Abu Dhabi ha costituito una sorta di agente di prossimità, il Consiglio di transizione del Sud (Stc nell’acronimo inglese) 14. A differenza degli altri gruppi, l’Stc è un progetto di natura più ampia che prevede, accanto alle forze militari, anche un consiglio politico e una vera e propria amministrazione. Il Consiglio è stato sviluppato a partire da un’organizzazione autoctona, il Movimento per lo Yemen del Sud (comunemente noto come al-Ḥirāk),costituito nel 2007 ma erede di una storia decennale di lotte separatiste da parte delle élite politiche dello Yemen meridionale, alle quali la riunificazione del 1990 con il Nord impoverito e ultratribale non è mai andata a genio.

Il sostegno finanziario, tecnico, militare e politico emiratino ha permesso all’Stc di fare il salto di qualità: nel 2018 ha proclamato lo stato d’emergenza, ha iniziato a combattere contro il governo del Nord di ‘Abd Rabbih Manṣūr Hādī – fortemente sostenuto dall’Arabia Saudita – e nell’aprile 2020 ha dichiarato l’«auto­go­verno».

Come per le altre zone costiere del Sud-Est del paese, la linea diretta tra Abu Dhabi e l’Stc – la cui leadership si divide tra Yemen ed Emirati – ha permesso agli emiratini di mantenere una formidabile influenza su Aden anche dopo il ritiro della maggior parte delle truppe nel 2019. Quest’influenza si concretizza in un ridotto contingente militare con capacità di ricognizione, ma anche in una consistente presenza commerciale. Dp World ha firmato il primo accordo per la gestione del porto di Aden già nel 2008 15. Cancellato nel 2012, l’accordo è stato riattivato nell’ottobre 2015, solo pochi mesi dopo l’inizio delle operazioni militari saudo-emiratine in Yemen 16.

 

L’attenzione rivolta verso le isole di Suquṭrā e Barīm completa la proiezione marittima emiratina in Yemen. L’altissimo valore strategico di Suquṭrā – isola di circa 3.800 km quadrati all’imbocco del Golfo di Aden – è testimoniato dall’insediamento nel 1834 delle prime guarnigioni della British East India Company, che qui si stabilì cinque anni prima di installarsi a Aden. Gli Emirati hanno prima cooptato il governatore locale riversando aiuti umanitari e investimenti per un valore di due miliardi di dollari e poi, già dal 2017, dispiegato una presenza militare discreta ma significativa, sostenendo anche militarmente l’autorità politica esclusiva dell’Stc contro il governo Hādī, appoggiato dai sauditi 17.

Pochi mesi dopo, Abu Dhabi ha installato sull’isola una base militare in grado di raccogliere intelligence sui traffici verso il Mar Rosso. Contestualmente, gli emiratini cercavano segretamente di costruire una base aerea nella piccolissima Barīm, grande solo 13 km quadrati ma oggetto del desiderio dei portoghesi nel XVI secolo, dei francesi nel XVIII e, chiaramente, dei britannici nel XIX perché collocata esattamente al centro di Bāb al-Mandab.All’insaputa di tutti, compresi i sauditi, nel 2016 Abu Dhabi ha iniziato a costruire una pista aerea lunga quasi 2 km e altre infrastrutture militari 18. Con la presenza a Barīm e Suquṭrā, la proiezione emiratina nei mari yemeniti meridionali – stretto di Bāb al-Mandab incluso – assume connotazioni egemoniche.

In aperto contrasto con la postura dell’Arabia Saudita, che pure sarebbe leader della coalizione militare impegnata in Yemen.

 

4. A differenza degli Emirati, l’Arabia Saudita ha lanciato le operazioni militari nel 2015 spinta da impulsi decisamente reattivi 19. La visione strategica e la geopolitica marittima emiratina divergono dalla postura saudita, caratterizzata soprattutto da un approccio tattico inquadrato prepotentemente nel conflitto con l’Iran. L’entrata in guerra sembrava a Riyad l’unica opzione per indebolire gli ḥūṯī – quindi la Repubblica Islamica – prima che da Ṣan‘ā’ riuscissero a conquistare anche Aden e a minacciare tanto il Mar Rosso quanto l’Arabia Saudita stessa. Nei primi anni di conflitto, perciò, i sauditi si sono focalizzati soprattutto sugli attacchi diretti contro le milizie yemenite, cercando di tagliare loro l’accesso alle forniture militari inviate da Teheran.

 

Carta di Laura Canali - 2021Carta di Laura Canali – 2021

 

È solo da questa prospettiva che a partire dal 2018 i sauditi si sono interessati ai porti dello Yemen. In particolare a quelli di al-Ḥudayda e Muḫā, individuati come principali punti d’arrivo delle spedizioni iraniane 20.

Nel 2017 e nel 2018 gli ḥūṯī hanno usato lo scalo di Muḫā come base di lancio per attacchi contro petroliere emiratine e saudite, tanto da costringere Riyad a interrompere le esportazioni di petrolio attraverso Bāb al-Mandab per diverse settimane nell’aprile 2018 21.

Con l’accordo di Stoccolma promosso dalle Nazioni Unite e firmato sia dai sauditi sia dagli ḥūṯī il porto di al-Ḥudayda, principale ingresso degli aiuti umanitari internazionali verso lo Yemen, sarebbe dovuto passare sotto l’egida dell’Onu. In realtà il porto è rimasto sotto il controllo del gruppo armato, mentre le forze del governo Hādī, sostenute dai sauditi, continuano a mettere sotto pressione militare l’area perimetrale 22.

Lo scalo di Muḫā è stato invece sottratto agli ḥūṯī, ma con il sostegno militare delle forze legate agli Emirati, incluso l’Stc. Ora è controllato delle milizie di Ṭāriq Ṣāliḥ, nipote dell’ex presidente yemenita ‘Alī ‘Abd Allāh Ṣāliḥ, alleato sia di Riyad sia di Abu Dhabi 23.

Il controllo saudita sulle infrastrutture portuali yemenite settentrionali rimane dunque abbastanza labile, anche dopo sei anni di guerra: sebbene la strategia del regno in Yemen abbia acquisito una dimensione marittima, quest’ultima non è ancora prevalente. Dal punto di vista militare e geopolitico, l’attenzione di Riyad rimane concentrata su Ṣan‘ā’ e sulle province settentrionali pericolosamente vicine al confine come Ma’rib, fulcro dell’azione militare nei primi otto mesi del 2021 24.

 

Eppure, la leadership saudita è perfettamente consapevole del potenziale logistico del Mar Rosso. Il principe della Corona Muḥammad bin Salmān, patrocinatore del progetto di diversificazione economica «Vision 2030», ha posto l’accento sul potenziale inesplorato delle coste occidentali dell’Arabia Saudita fin dalla pubblicazione del piano di sviluppo nel 2016 25.

Una delle differenze tra sauditi ed emiratini è proprio questa: Riyad ha uno sbocco sul Mar Rosso, quindi sente meno bisogno di estendere l’influenza sulle coste yemenite e percepisce invece l’urgenza di sfruttare le proprie risorse ( VEDI PRIMA CARTINA IN ALTO ). L’intenzione è di potenziare la qualità dei servizi offerti e delle infrastrutture disponibili per diventare uno hub della distribuzione commerciale e della filiera industriale globale verso il Medio Oriente.

 

Per raggiungere quest’obiettivo è però indispensabile anche l’istituzione di collegamenti più veloci e semplici con altri punti strategici nella stessa Arabia Saudita e nella regione. Questo spiega l’investimento per la costruzione di un ponte terrestre ferroviario che dovrebbe collegare il porto di Gedda, sul Mar Rosso, a quello di al-Dammām, sul Golfo Persico, via Riyad. Un altro scalo del Mar Rosso, Yanbu‘, è il punto d’arrivo di un oleodotto che permette di esportare parte del petrolio estratto nella Provincia Orientale aggirando lo Stretto di Hormuz, sotto minaccia iraniana, e quello di Bāb al-Mandab, a tiro degli ḥūṯī. Altrettanto fondamentale sarà creare collegamenti stabili con la sponda africana del Mar Rosso.Questo è l’obiettivo del Consiglio del Mar Rosso, istituito nel gennaio 2020 sotto l’egida dell’Arabia Saudita dopo un lavoro preliminare di due anni 26.

L’organismo ha tra i suoi membri tutti gli Stati dell’area: Egitto, Giordania, Sudan, Eritrea, Gibuti, Somalia e Yemen. Gli obiettivi – potenziamento del coordinamento su questioni politiche, economiche, culturali, ambientali, con un’attenzione speciale alla sicurezza e alla connettività marittime – sono evidentemente legati alla creazione di uno spazio subregionale a guida saudita.

 

All’atto pratico, però, il Consiglio ha ottenuto ben pochi risultati. Notevole l’assenza degli Emirati, che dimostra come Riyad si renda conto che il suo alleato può diventare un temibile rivale sul Mar Rosso. Quest’assenza pesa sull’organismo, alla luce del fatto che diversi paesi membri – primo fra tutti il Sudan – sono centri d’influenza emiratina. Eppure l’Arabia Saudita non sembra voler cedere il passo ad Abu Dhabi. Da questo punto di vista, l’insediamento di Joe Biden alla Casa Bianca non ha fatto che acuire la rivalità tra le due monarchie nel Mar Rosso: l’inviato speciale del presidente statunitense per il Corno d’Africa Jeffrey Feltman ha da subito individuato Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti come suoi principali interlocutori e non ha esitato a sfruttare la competizione tra loro per avanzare gli interessi americani 27. Riyad ha raccolto la provocazione ed è impegnata a dimostrare – se necessario a imporre – la propria leadership sull’amico-nemico emiratino 28.

 

5. Negli ultimi anni Emirati e Arabia Saudita hanno sviluppato strategie geopolitiche e geoeconomiche più o meno ambiziose con l’obiettivo di trasformarsi in cerniere tra Oceano Indiano e Mediterraneo.L’epidemia di Covid-19 e il conseguente drammatico crollo dei prezzi del petrolio, che faticano ancora a riassestarsi su cifre interessanti per i paesi produttori, hanno però avuto un impatto negativo su entrambi i paesi. Nel maggio 2021 uno stratega emiratino vicino alla leadership ha suggerito che per Abu Dhabi è il momento di passare da una strategia di «proiezione del potere» a una strategia di «protezione del potere» e di virare dallo hard power al soft power, da un approcciomilitare a un approccio fondato su investimenti, finanziamenti, aiuti umanitari e sanitari 29.

 

I sauditi gli fanno eco. Soprattutto in conversazioni private, ventilano l’ipotesi di mettere in pausa le strategie di espansione nel Mar Rosso per consolidare la sicurezza nazionale e concentrarsi sulle «minacce più imminenti» 30. Entrambe le monarchie – come gli altri paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo (Ccg) e molti attori mediorientali – vogliono prepararsi a gestire il contraccolpo, certamente massiccio, dell’arretramento strategico americano dalla regione.

È dunque possibile che nel prossimo futuro Abu Dhabi e Riyad riducano la proiezione marittima nelle acque yemenite e nel Mar Rosso. Senza tuttavia rinunciare a far sentire la propria crescente influenza in questi quadranti, nel Mar Arabico e nei crocevia marittimi di rilevanza globale come Bāb al-Mandab, snodi geopoliticamente troppo cruciali per essere trascurati da potenze regionali in ascesa come Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti.

 

 

Carta di Laura Canali - 2017Carta di Laura Canali – 2017

Note:

1. Sul ruolo della British East India Company in Yemen, cfr. Z.H. Kour, The History of Aden, London 2005, Routledge.

2. R.S. Zahlan, The origins of the United Arab Emirates: A political and social history of the Trucial States, London 2016, Routledge.

3. J. Calabrese, «The Bab el-Mandeb Strait: Regional and great power rivalries on the shores of the Red Sea», Middle East Institute, 29/1/2020, bit.ly/3kvMPpO

4. Ibidem.

5. «Bab al-Mandab Submarine Cables», TeleGeography, 2021.

6. P. Salisbury, «Case Study: The UAE in Yemen», in «Risk Perception and Appetite in UAE Foreign and National Security Policy», Chatham House, luglio 2020, bit.ly/2WwzDIO

7. Ibidem.

8. Sembra che sia stato proprio Mattis a coniare il soprannome «piccola Sparta», cfr. «The ambitious United Arab Emirates», The Economist, 6/4/2017, econ.st/38kfSqF

9. Cit. in «Yemen official: We ask the UAE to take its hands off our oil, gas and ports», Middle East Monitor, 8/7/2020, bit.ly/3mFsfWT

10. Sulla strategia della «collana di perle» cfr. C. Bianco, A. Occhiuto, «La guerra Emirati-Turchia rimpicciolisce l’Italia», Limes, «Il turco alla porta», n. 7/2020, pp. 293-299.

11. C. Bianco, C. Čok, «Emirati DPlomacy and Chinese BRInkmanship», Middle East Institute, 28/7/2020, bit.ly/3BeDl98

12. P. Salisbury, op. cit.

13. Y. al-Sewari, «Yemen’s Al-Mahra: From Isolation to the Eye of a Geopolitical Storm», Sana’a Center for Strategic Studies, 5/7/2019, bit.ly/3kzoPCa

14. J. Heibach, «The Future of South Yemen and the Southern Transitional Council», German Institute for Global and Area Studies, Giga Focus Nahost, n. 2, marzo 2021, bit.ly/3yjBK05

15. A. Nasser, «A double-edged operation for UAE in Gulf of Aden», The New Arab, 13/10/2016, bit.ly/3ku3dHr

16. Ibidem.

17. J. Heibach, op. cit.

18. «Mysterious airbase being built on volcanic island off Yemen», The Guardian, 25/5/2021, bit.ly/3yjmuQM

19. C. Bianco, «Dallo Yemen al Golfo i sauditi attaccano perché sono deboli», Limes, «La radice quadrata del caos», n. 5/2015, pp. 59-68.

20. Ibidem.

21. «Saudi Arabia halts oil exports in Red Sea lane after Houthi attacks», Reuters, 25/7/2018, reut.rs/3sSmxC5

22. A. Baron, «Out of Stockholm: Diplomacy and de-escalation in Yemen», European Council on Foreign Relations, 15/1/2019, bit.ly/3ykNkb3

23. Ibidem.

24. N. Hetari, «The Battle of Marib: The Challenge of Ending a Stalemate War», The Washington Institute for Near East Policy, 9/7/2021, bit.ly/3jn8Wzf

25. La strategia saudita e il focus sulla logistica risaltano in modo evidente da documenti ufficiali come: «Transforming Saudi Arabia in a Global Logistics Hub», Saudi Logistics Hub, 2018, bit.ly/3BnOt3s

26. D. Custers, «Red Sea Multilateralism: Power Politics or Unlocked Potential», Stimson Center, 7/4/2021, bit.ly/2Y4OdIy

27. Intervista dell’autrice a un diplomatico saudita, 2021.

28. Ibidem.

29. A. Abdulla, «The Rise of the United Arab Emirates», The Cairo Review of Global Affairs, primavera 2021, bit.ly/3jko1Sh

30. Interviste dell’autrice a funzionari sauditi del ministero degli Esteri e del Dīwān, 2021.

Pubblicato in: LEZIONI AFGHANE – n°8 – 2021

SE QUALCUNO AVESSE ANCORA FIATO..

 

 

ROBERTO ZICHITELLA – ROBZIK — YEMEN ALLO STREMO DOPO 7 ANNI DI GUERRA – “La popolazione vive in condizioni drammatiche”, denuncia Medici Senza Frontiere. –FAMIGLIA CRISTIANA.IT — 16 FEBBRAIO 2022  + link da Limes del 27-10-2021 : ” Perché e a chi fanno gola Mar Rosso e Corno d’Africa “

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