LIMES ONLINE DEL 12 LUGLIO 2021
https://www.limesonline.com/cartaceo/la-crimea-e-dei-tatari
LA CRIMEA È DEI TATARI
Carta di Laura Canali – 2016
I turchi sono il popolo indigeno dell’‘isola verde’. Dopo il ‘genocidio’ del 1944, dal 2014 devono sopportare nuovamente le persecuzioni russe. Malgrado la retorica, Ankara non ha mai fatto molto per i suoi cugini. Ma con Biden le cose potrebbero cambiare.
di Sezai Özçelİk
1. La Crimea è l’«isola verde» dei tatari. Elemento autoctono della penisola, questi ultimi sono stati costretti dai sovietici ad abbandonarla e sottoposti a una vigorosa pulizia etnica con l’esilio – o meglio il «genocidio» – del 18 maggio 1944. Parte degli esiliati ha fatto ritorno nella terra natia solo nel 1991, in seguito al collasso dell’Unione Sovietica. Dinamica che ha complicato la strategia di sicurezza regionale del Cremlino, dal momento che in Crimea restavano incardinati la Flotta russa del Mar Nero, aeroporti militari e basi ad alta concentrazione di truppe.
Quanto alla Russia, non ha ancora superato i traumi del 1954 – quando la sovranità sulla penisola venne trasferita alla Repubblica Socialista Sovietica Ucraina – e del 1991.
Anche perché oggi l’«isola verde» dei tatari è uno snodo di notevole importanza lungo le nuove vie della seta sviluppate dalla Cina. Nonché una delle località turistiche interne più gettonate dai russi, costretti a sopportare inverni lunghi e freddi.
In base al censimento del 2014 la Crimea ha una popolazione di 1.967.000 persone, di cui circa 350 mila tatari (17,5% del totale) 1.
Nel 1993 gli ucraini costituivano il 23% degli abitanti della penisola, ma nonostante il loro peso demografico non sono mai riusciti a organizzarsi in un blocco coeso. Principalmente perché in larga parte russificati: per quanto siano etnicamente ucraini, il loro comportamento politico è profondamente influenzato dall’elemento russo. Condizione diametralmente opposta a quella dei tatari, che fino al 2014 hanno commemorato annualmente la tragedia dell’esilio del 1944 mediante ascensioni rituali ai 1.527 metri del Çatırdağ (il «Monte tenda»).
A tali cerimonie ha posto fine l’annessione della penisola da parte della Russia, primo Stato europeo a sottrarre parte del suo territorio nazionale a un altro Stato europeo dalla fine della seconda guerra mondiale. Facendolo peraltro mentre a Soči si erano appena concluse le Olimpiadi invernali, simbolo universale di pace, e innescando di fatto il secondo esilio dei tatari. L’occupazione russa dell’«isola verde» è stata senza dubbio uno degli eventi geopolitici più rilevanti dalla fine della guerra fredda. Quasi senza precedenti, eccezion fatta per l’invasione del Kuwait da parte del regime iracheno di Saddam Hussein il 2 agosto 1990. La crisi seguìta alla mossa del Cremlino ha segnato un momento di svolta per il sistema di sicurezza euroatlantico, generando al tempo stesso la «dissonanza strategica» che caratterizza gli attuali rapporti tra Mosca e l’Occidente. Con l’aggressività e le strategie di guerra ibrida che le hanno permesso di annettere la penisola la Russia ha violato apertamente il quarto comma del secondo articolo della Carta delle Nazioni Unite, pilastro fondamentale della sicurezza internazionale. In seguito al ricorso presentato dall’Ucraina, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha peraltro riconosciuto il 27 febbraio 2014 – non il 18 marzo, quando venne formalizzata l’annessione illegale – come data d’inizio dell’occupazione russa della Crimea.
2. La Turchia è naturalmente un attore di primo piano nella crisi ucraina, non solo per i legami etnici con i tatari. Dopo la fine della guerra fredda le relazioni tra Ankara e Kiev si sono consolidate prevalentemente nel quadro dell’Organizzazione della cooperazione economica del Mar Nero (Bsec nell’acronimo inglese), fondata nel 1992 a Istanbul – dove si trova il quartier generale – su iniziativa turca.
Nel 1994 la visita in Ucraina dell’allora presidente della Repubblica Süleyman Demirel impresse una forte accelerazione allo sviluppo dei rapporti bilaterali, immaginati come pilastro di una cooperazione regionale pacifica all’insegna della prosperità comune e della stabilità.
Proprio in quell’anno in Crimea andò in scena una crisi che con il senno di poi annunciava l’occupazione del 2014. Nel 1994 i separatisti russi nella penisola iniziarono infatti a mettere in pratica le dottrine Monrovski e Kozirev – pilastri della geopolitica del Cremlino nel suo estero vicino – e a sperimentare le strategie neoimperialiste, espansioniste e aggressive che caratterizzano l’attuale postura di Mosca.
in rosso la Transnistria – ex Moldavia ( Moldova )
wikipedia
All’epoca, un dirigente della Repubblica di Transnistria– che nel 1990 aveva dichiarato unilateralmente la secessione dalla Moldova – commentava tale svolta stabilendo che la Transnistria è «parte indissolubile della
Elaborazione New York Times– https://mappa-mundi.blogautore.repubblica.it/2014/09/15/ucraina-la-nuova-russia-di-putin/
regione meridionale della Russia, nota come Novorossija, della quale fanno parte anche la Crimea, l’oblast’ di Odessa e molti altri oblast’ attualmente sotto la sovranità ucraina. Siamo però realisti: sappiamo perfettamente che quest’affare non si risolverà a breve» 2.
Affermazioni che lasciavano presagire che la Russia, dopo la fine della guerra fredda, non avrebbe più avuto alcun riguardo per princìpi quali l’inviolabilità dei confini, dell’integrità territoriale e della sovranità nazionale degli Stati. Come hanno poi dimostrato le invasioni della Crimea e dell’Ucraina orientale, con le quali Mosca ha iniziato a introdursi nella Novorossija. Alla luce del suo progetto espansionista, è molto probabile che nel prossimo futuro il Cremlino adotti un approccio analogo in Moldova e a Odessa. Naturalmente, per «proteggere» i locali russi etnici.
Nel 1994 il governo ucraino percepiva dunque i tatari di Crimea e Ankara – loro principale sponsor – come fattori di equilibrio regionale. Fu in quella fase, mentre iniziava a manifestarsi il rampante espansionismo neoimperialista della Russia, che Turchia e Ucraina compresero il valore della loro relazione bilaterale.
I turchi non si limitarono infatti a schierarsi nella questione crimeana ma contribuirono attivamente allo sviluppo economico dell’Ucraina e della penisola contesa. Tanto che quell’anno Ankara e Kiev arrivarono a pianificare di dirottare parte del petrolio mediorientale verso Ceyhan, trasferirlo mediante oleodotto a Samsun e poi via nave a Odessa, da dove avrebbe raggiunto i mercati europei.
Dal canto suo, nell’ambito del processo di rafforzamento delle relazioni bilaterali con la Turchia il governo ucraino aumentò sensibilmente la spesa pubblica destinata ai tatari e – sempre nel 1994 – sostenne l’elezione di 14 deputati tatari nel parlamento della Repubblica autonoma di Crimea, composto di 98 membri.
PRIMO CONGRESSO MONDIALE DEI TATARI DI CRIMEA
Questo clima favorevole innescò un processo di riappropriazione identitaria culminato nel primo Congresso mondiale dei tatari di Crimea, svoltosi tra il 19 e il 22 maggio 2009 ad Akmescit (Sinferopoli). All’iniziativa presero parte 800 delegati, in rappresentanza di oltre 160 organizzazioni della società civile attive in 12 diversi paesi. La vigilia del Congresso, il 18 maggio, più di 30 mila persone commemorarono il sessantacinquesimo anniversario del «genocidio» (o esilio) commesso dai sovietici nel 1944. A dimostrazione della determinazione con la quale i tatari – malgrado gli equivoci legati a quest’ultimo etnonimo – intendono rivendicare la Crimea quale loro patria ancestrale, dunque preservare la propria presenza nella penisola di cui sono elemento autoctono.
Refat Çubarov ( Samarcanda, 1957 ), figlio di un deportato del 1944.
FOTO UNIAN
Alla presidenza del Congresso venne eletto Refat Çubarov, che insieme al presidente del Parlamento nazionale dei tatari di Crimea delineò i contorni di un agenda geopolitica che mirava innanzitutto ad affrontare la questione linguistica mediante misure concrete quali il potenziamento delle scuole nazionali, lo sviluppo dell’Università di Ingegneria e Pedagogia della Crimea, la fondazione di un’accademia teatrale e il sostegno ai principali media in lingua tatara (Meydan Radyosu, l’emittente televisiva Atr, la rivista Yıldız, i quotidiani Qırım, Dünya e Hidayet).
Dopo l’annessione russa della Crimea il governo e il parlamento (Verkhovna Rada) ucraini hanno adottato iniziative analoghe al fine restituire al popolo indigeno della penisola i suoi diritti sociali e culturali. Come prima cosa, il 20 marzo 2014la Verkhovna Rada ha introdotto una riforma costituzionale che riconosce i tatari come elemento autoctono della Crimea. Il 20 giugno 2020 l’assemblea ucraina ha licenziato un provvedimento legislativo che qualifica in termini di genocidio l’esilio del 18 maggio 1944 e condanna la violazione dei diritti e delle libertà dei tatari da parte dei sovietici.
Questa legge è stata approvata a larghissima maggioranza: 310 favorevoli, 26 astenuti e nessun voto contrario. Nel parlamento di Kiev è poi in discussione un’altra proposta presentata dalla diaspora tatara che prevede la riforma della decima sezione della costituzione ucraina, dedicata alla Repubblica autonoma di Crimea. L’unione tra le diaspore ucraina e tatara del 15 agosto 2017ha inoltre aperto la possibilità per la seconda di identificarsi con la prima in termini giuridici. Infine, in occasione delle loro visite ufficiali ad Ankara il presidente e il ministro degli Esteri ucraini Volodymyr Zelens’kyj e Dmytro Kuleba hanno visitato la Kırım Derneği, organizzazione ombrello della diaspora dei tatari di Crimea.
Carta di Laura Canali – 2021
3. Contrariamente a quanto afferma Putin, la Crimea non è russa. La penisola venne assorbita nell’impero zarista dopo la separazione dall’impero ottomano sancita dal trattato di Küçük Kaynarca del 1774 e la successiva annessione da parte di Caterina II nel 1783. Prima di allora – tra il 1441 e il 1783 – era stata governata dal canato tataro. Vasta costruzione statuale che oltre alla Crimea comprendeva l’intera Ucraina meridionale e la costa settentrionale del Mar Nero da Stavropol’ al bacino del Don. Gli Stati turco-musulmani sono stati egemoni in quest’area fin dal X secolo e in particolare dopo il XIII, quando Batu Han – nipote di Cengiz Han – fondò l’Orda d’Oro. È per cancellare questa realtà storica, per annientare l’identità dei tatari di Crimea che oggi la storiografia russa pone l’accento sui periodi in cui la penisola e la regione erano dominate dai greci, da Roma e dalle città Stato italiane. Ingegneria storica che si sovrappone alla rapida russificazione cui dopo l’annessione del 1783 è stata sottoposta l’«isola verde», dove tra il 1854 e il 1856 francesi, inglesi e ottomani riuscirono con successo a sconfiggere i russi e a confinarli a nord del Mar Nero.
Nel 1917, subito dopo la rivoluzione d’Ottobre e prima che l’effimera Repubblica di Crimea divenisse parte della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa, i tatari riunirono nella penisola un’assemblea generale (kurultay) immaginata come il nucleo di un futuro parlamento nazionale. Segno della volontà di congiungersi al resto del mondo turco in nome dell’«unità nella lingua e nell’idea» (dilde, fikirde, is¸te birlik), come recita la massima coniata dall’ideologo e scrittore İsmail Gaspıralı, la cui figlia S¸efike fu la prima deputata tatara. A tale esperienza posero fine la soppressione del kurultay da parte dell’Armata Rossa e le successive angherie del tirannico governo sovietico nei confronti dei tatari. Le prime violazioni avvennero già nel 1932, anno in cui il segretario generale del Partito comunista dell’Unione Sovietica Iosif Stalin si rese responsabile dell’Holodomor, lo sterminio per fame di milioni di ucraini.
Ciò che più influenza l’immaginario tataro è tuttavia quanto accaduto il 18 maggio 1944, quando su ordine di Stalin nel giro di una sola notte l’intera popolazione tatara della Crimea venne mandata in esilio. Nella penisola non rimase un solo tataro. E migliaia di coloro che vennero esiliati – in larga maggioranza donne, bambini e anziani – morirono prima di raggiungere la destinazione finale. È per questo che l’esilio fu in realtà un «genocidio».
Il parziale ritorno dei tatari nell’«isola verde» venne preparato da due svolte geopolitiche. La prima fu la morte di Stalin e la conseguente riduzione del tasso di aggressività della dittatura sovietica. Fu in questa fase che il Movimento nazionale dei tatari di Crimea e il suo leader Mustafa Abdülcemil Kırımoğlu riuscirono a emergere sulla scena politica.
Kırımoğlu è una sorta di Ghandi, Martin Luther King o Mandela tataro che nel corso degli anni ha permesso al suo popolo di sviluppare efficaci strategie di trasformazione sociale fondate su atti di disobbedienza civile e improntate alla non violenza.
La seconda svolta fu il consolidamento al potere di Nikita Khruščëv, di origini ucraine, che in nome dell’amicizia eterna tra Russia e Ucraina nel 1954 sottopose l’oblast’ di Crimea – divenuto nel frattempo Repubblica autonoma – alla sovranità della Repubblica Socialista Sovietica Ucraina. Senza tuttavia allentare la presa sulla penisola. Persino dopo il collasso dell’Unione Sovietica nel 1991, la base di Akyar (Sebastopoli) – sede della Flotta del Mar Nero, strumento decisivo della proiezione eusina e mediterranea della Russia – è rimasta sotto la sovranità di Mosca.
La Federazione Russa – come l’impero zarista e l’Unione Sovietica – è perfettamente consapevole del fatto che «chi controlla la Crimea controlla il Mar Nero», come recita la formula con la quale viene comunemente riassunta l’importanza geostrategica dell’«isola verde». Trasformandola in base militare, gli zar la resero avamposto cruciale della strategia talassica imperiale. Stravolgendone al contempo la demografia. Dopo l’annessione del 1783 migliaia di russi emigrarono infatti nella regione, mentre per scampare alle atrocità e all’oppressione di San Pietroburgo altrettanti tatari fuggivano verso i «territori bianchi» (Aktopraklar)3 – come allora si riferivano allo spazio ottomano.
Tra il 1783 e il 1922 furono circa un milione e ottocentomila i tatari che allo scopo di proteggere le loro vite, i loro beni materiali e la loro identità – direttamente minacciati dall’amministrazione russa – si rifugiarono in Anatolia e Dobrugia.
L’impero ottomano ricevette almeno otto diverse ondate migratorie (nel 1792-93, 1802-03, 1812-13, 1828-29, 1860-61, 1874, 1890 e 1902), in conseguenza delle quali oggi in Turchia vive una diaspora tatara quantificabile in circa quattro milioni di anime. Non si può dunque comprendere la contesa geopolitica che ha come posta in gioco la Crimea senza collocarla nel demoniaco triangolo turco-russo-ucraino, di cui costituisce – anche geograficamente – il cuore.
Carta di Laura Canali – 2019
4. I tatari di Crimea hanno giocato un ruolo fondamentale nello sviluppo e nel miglioramento delle relazioni tra Turchia e Ucraina, che si sono consolidate proprio in coincidenza del ritorno dei primi esiliati nella penisola. Insediatisi in ghetti costruiti ai margini delle città, questi ultimi sono rimasti immediatamente vittime delle prevaricazioni delle locali forze russe. È a questo punto che è entrata in gioco la diaspora tatara di Turchia, la quale ha fatto da ponte tra Ankara e Kiev nel contesto di profonda crisi economica, alta disoccupazione, assenza di servizi sociali ed emergenza abitativa generato in Crimea dal collasso dell’Unione Sovietica.
Insieme all’Assemblea nazionale (Kırım Tatar Millî Kurultayı) – organo rappresentativo ufficiale dei tatari di Crimea, eletto democraticamente e composto da delegati provenienti da diversi paesi – è stata la diaspora tatara di Turchia a inoltrare ai massimi livelli del governo ucraino le richieste degli abitanti originari della penisola. Fino al 2014, queste riguardavano la riabilitazione dei loro diritti sociali, politici, economici, culturali e psicologici, l’assegnazione di spazi d’insediamento e la predisposizione dell’infrastruttura culturale necessaria all’insegnamento della lingua tatara e della religione islamica.
Dopo l’annessione russa, tuttavia, la Turchia non ha fatto nulla di concreto per la Crimea.
Negli scorsi anni il presidente Recep Tayyip Erdoğan e il ministero degli Esteri hanno ribadito in ogni occasione che Ankara non riconosce l’occupazione e l’annessione della penisola da parte di Mosca e sostiene l’integrità territoriale dell’Ucraina. Ma a causa delle profonde relazioni bilaterali in campo energetico, commerciale e turistico, delle pressanti questioni di sicurezza nel Mar Nero, in Siria, in Libia, nel Nagorno Karabakh e della minaccia del Pkk/Pyd, sul piano geopolitico la Turchia ha preferito seguire una linea cauta ed equilibrata. Per impedire uno squilibrio nei rapporti di forza nel Mar Nero a svantaggio della Russia, Ankara si è persino opposta a un ruolo più attivo della Nato in questo specchio d’acqua. In un contesto nel quale Mosca si è rivelata un partner fondamentale in Siria, in Libia, a Cipro e nella lotta contro il Pkk e le relazioni con Stati Uniti e Unione Europea attraversano un’evidente crisi, la Turchia non ha interesse a mettersi contro il Cremlino sulla questione della Crimea. Le due potenze eusine sono infatti determinate ad assicurare sicurezza e stabilità nel Mar Nero e a fare di questo bacino un mare pacifico, come hanno convenuto ancora di recente in alcuni incontri riservati. In particolare, Ankara e Mosca sono convinte che la risoluzione delle crisi e dei problemi regionali spetti unicamente ai paesi costieri.
In seguito all’incidente dello Stretto di Kerč’ del novembre 2018 – in occasione del quale la Russia sequestrò 3 imbarcazioni e arrestò 24 marinai ucraini – le Marine dei paesi della Nato e degli Stati Uniti hanno intensificato le incursioni nel Mar Nero. Precauzione volta a evitare che dopo la Crimea e l’Ucraina orientale l’espansionismo russo possa rivolgersi verso Odessa e la Transnistria, dunque compromettere ulteriormente l’integrità territoriale di Ucraina e Moldova. L’approccio americano si è ulteriormente indurito con l’elezione alla Casa Bianca di Joe Biden, evento che ha influenzato sensibilmente anche la postura della Turchia.
Facendo leva sui diritti assegnatigli dalla Convenzione di Montreux, Ankara continua a facilitare il raggiungimento da parte della Russia dei suoi principali obiettivi geopolitici: accedere ai «mari caldi» (il Mediterraneo orientale) e impedire l’ingresso delle grandi potenze – Stati Uniti, Regno Unito, Francia – nei «mari freddi» (il Mar Nero). Contestualmente, ha però consolidato notevolmente i rapporti con Kiev. In occasione del vertice tra Erdoğan e Zelens’kyj dello scorso 9 aprile a Istanbul, le relazioni bilaterali sono state per esempio elevate al livello di partnership strategica. I due capi di Stato hanno inoltre deciso di aumentare l’interscambio bilaterale a dieci miliardi di dollari e stretto importanti accordi nei settori turistico e della difesa. Particolarmente rilevanti sono quelli che riguardano la coproduzione di droni, corvette, Antonov 178 e il relativo trasferimento di tecnologia. Inoltre, Erdoğan ha annunciato che presenzierà alla riunione della Piattaforma Crimea in programma il prossimo 23 agosto a Kiev. È una mossa degna di nota, anche perché sostanziata da iniziative concrete quali la costruzione di 500 unità immobiliari destinate ai tatari di Crimea nella capitale ucraina, a Mykolajiv e a Kherson.
Carta di Laura Canali – 2017
In Turchia sono attive circa 50 associazioni dei tatari di Crimea. Dopo l’occupazione e l’annessione russa della penisola la diaspora d’Anatolia ha dato vita a numerosi incontri, conferenze e manifestazioni. Compreso il secondo Congresso mondiale dei tatari di Crimea, che si è tenuto ad Ankara il 4-5 aprile 2015 e al quale hanno preso parte 180 organizzazioni della società civile tatara (43 dalla Turchia, il resto da 12 altri paesi).
All’iniziativa parteciparono il leader dei tatari di Crimea Mustafa Cemiloğlu, il presidente del Parlamento nazionale dei tatari di Crimea Rıfat Çubarov, il ministro degli Esteri ucraino Pavlo Klimkin, il vicepresidente della Grande Assemblea Nazionale Turca Naci Bostancı e il vicepremier Numan Kurtulmus¸.
In quell’occasione il governo turco stabilì che la questione dei tatari di Crimea era un problema separato dalle relazioni con la Russia e si impegnò a non far mancare il proprio sostegno politico ed economico al popolo indigeno della penisola. Nei messaggi inviati al Congresso, il presidente della Repubblica e il primo ministro turchi ribadirono al mondo intero che la Turchia non riconosceva l’annessione russa della Crimea e che si impegnava a sostenere i tatari e a proteggere l’integrità territoriale dell’Ucraina.
Tra il 17 e il 20 aprile dello stesso anno Ankara arrivò a inviare nella penisola una commissione presieduta dal professor Zafer Üskül per investigare le condizioni dei tatari.
Nel rapporto scaturito dall’indagine viene dimostrato che in conseguenza dell’annessione la Russia ha ripetutamente violato i loro diritti fondamentali. Le violazioni più gravi riguardano la soppressione del diritto di stampa e di parola e la compressione dei diritti all’educazione, alla proprietà e alla casa. Il rapporto della commissione sottolinea inoltre che i tatari vengono costretti con la forza ad acquisire la cittadinanza russa, spogliati del diritto a processi equi e imparziali e fortemente limitati nei loro diritti religiosi dalle incursioni punitive nelle moschee. Malgrado la conferma formale del tataro come lingua ufficiale della Crimea, le ore di lezione in tale idioma sono state ridotte, i libri stampati durante il periodo di sovranità ucraina messi al bando e sostituiti da testi russi. Senza contare i numerosi ostacoli posti da Mosca alle manifestazioni di commemorazione dell’esilio del 18 maggio 1944, simbolo della contrazione dei diritti e delle libertà dei tatari conseguita all’annessione del 2014. La commissione ha infine rilevato che l’amministrazione russa della Crimea insabbia i processi relativi agli omicidi compiuti da ignoti e quelli riguardanti le persone scomparse, adottando un approccio aggressivo e intimidatorio nei confronti dei tatari che ne chiedono conto. Erdoğan ha consegnato questo rapporto al suo omologo russo Vladimir Putin il 13 giugno 2015, dopo una visita di Stato in Azerbaigian 4.
5. Le relazioni tra i tatari di Crimea e il governo ucraino hanno subìto una svolta radicale in coincidenza con il tentativo delle forze di occupazione russe e delle locali milizie legate al Cremlino di entrare nel parlamento della Repubblica autonoma nella notte del 26 febbraio 2014. Di fronte alla violenza di Mosca, i deputati tatari iniziarono a urlare «Ucraina» e a esporre la bandiera nazionale al fianco di quella tatara. Tali iniziative hanno convinto Kiev che i turchi della Crimea non costituiscono una minaccia alla propria sicurezza e che quei soggetti demonizzati dalla propaganda sovietica sono dei sinceri sostenitori dell’integrità territoriale del paese. Tanto da boicottare il referendum svoltosi sotto la minaccia delle armi russe il 16 marzo 2014, cinque giorni prima dell’annuncio ufficiale di Vladimir Putin circa l’annessione della Crimea alla Russia come ventiduesima Repubblica autonoma.
Il 27 marzo 2014, sei giorni dopo il comunicato del presidente russo, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato la risoluzione 68/262, rinnovando il proprio impegno a difesa dell’integrità territoriale, della sovranità e dell’indipendenza politica dell’Ucraina e invitando tutti gli Stati ad astenersi dall’uso della forza o da altre azioni illegali volte a modificare i confini del paese e a intaccarne l’unità in tutto o in parte. Dal canto suo, l’Unione Europea ha vietato alle aziende dei paesi membri di importare ed esportare beni da o verso la Crimea, così come di realizzarvi investimenti o attività nel settore turistico. Comminando inoltre sanzioni a 177 individui colpevoli di violazioni nei confronti dell’integrità territoriale, della sovranità e dell’indipendenza dell’Ucraina e congelando i beni di 48 società russe – di cui 11 basate in Crimea, soprattutto ad Akyar (Sebastopoli). In quella fase, la Turchia preferì mantenere un approccio equilibrato: votò a favore della risoluzione Onu del 27 marzo 2014, ma non aderì alle sanzioni occidentali.
A causa dei legami etnici, linguistici, storici e religiosi e della presenza di una folta diaspora tatara in Anatolia e in Tracia, è perfettamente comprensibile che i turchi si sentano responsabili nei confronti dei loro cugini di Crimea e che intendano incidere sulla loro condizione presente e futura. La diaspora tatara in Turchia esercita dunque una forte influenza tanto sugli assetti geopolitici della penisola quanto sulle dinamiche delle relazioni turco-ucraine e turco-russe. I tatari hanno inoltre introiettato la democrazia, lo Stato di diritto, il rispetto dei diritti umani e, più in generale, i valori occidentali. Che vivano in Turchia, in Russia o in Ucraina, sono dunque in grado di condizionare positivamente i rapporti tra Ankara e Mosca e la geopolitica del Mar Nero sotto i profili militare, economico, politico e psicologico. Il Cremlino non ha mai reagito negativamente alla narrazione turca relativa alla Crimea in generale e ai tatari in particolare. Quest’ultima è d’altra parte conseguenza naturale del peso della diaspora tatara in Anatolia, dell’appartenenza di Ankara alla Nato e dello slittamento a favore di Mosca dei rapporti di forza eusini. Finché i turchi si limiteranno ad alzare il livello della retorica senza passare ai fatti, i russi chiuderanno un occhio. Tolleranza corrisposta dalla Turchia, la quale non intende permettere che le violazioni dei diritti umani dei tatari influiscano negativamente sui rapporti bilaterali con la Russia. In particolare su quelli economici, che Ankara separa dalle relazioni politiche e militari. Non aderendo alle sanzioni occidentali contro il Cremlino, Erdoğan ha dimostrato di sapere mettere gli interessi nazionali al di sopra di tutto. Fatta eccezione per il periodo di crisi compreso tra l’abbattimento di un Su-24 al confine turco-siriano il 24 novembre 2015 e l’assassinio dell’ambasciatore russo ad Ankara Andrej Karlov il 19 dicembre 2016, l’annessione della Crimea non ha minimamente intaccato la cooperazione economica tra Turchia e Russia. Quest’ultima è il secondo partner commerciale di Ankara, con la quale l’interscambio bilaterale supera i 50 miliardi di dollari. Al cui interno, oltre all’energia, ha un peso specifico sempre maggiore il turismo: ogni anno circa cinque milioni di turisti russi visitano l’Anatolia, flusso che ha reso l’economia turca dipendente dai rubli che essi vi riversano.
6. La Crimea non è solo un problema strategico o di sicurezza. Non si può comprendere la questione senza tener conto dei traumi vissuti dai tatari dal 1783 a oggi, in particolare dell’impatto del «genocidio» perpetrato dai sovietici il 18 maggio 1944. Ferite riaperte dall’occupazione e dall’annessione russa dell’«isola verde», in seguito alle quale i tatari – che già attraversavano una difficile condizione sociale, politica, economica e culturale, retaggio del collasso dell’Urss – hanno dovuto subire per l’ennesima volta la crudeltà, le violazioni dei diritti umani e l’oppressione dei russi. I leader politici e gli attivisti tatari sono stati mandati nuovamente in esilio o arrestati dalle autorità d’occupazione, che hanno anche decretato la chiusura del Parlamento nazionale dei tatari di Crimea. Decisione che la Corte internazionale di giustizia ha definito iniqua e contraria al diritto internazionale. L’Occidente ha invece ignorato i tatari, commettendo un grave errore. Perché non è possibile dare corso alla retorica sulla liberazione della Crimea e la restaurazione dell’integrità territoriale dell’Ucraina senza denunciare le violazioni dei diritti umani ai danni del popolo indigeno della penisola.
Carta di Laura Canali – 2020
Un’altra variabile cruciale dell’equazione crimeana è naturalmente l’approccio degli Stati Uniti, che Joe Biden sta parzialmente correggendo. Il presidente americano intrattiene stretti rapporti con i russi fin dagli anni Settanta e intende adottare nei confronti di Mosca una politica più razionale e consistente. Riassunta in una frase del comunicato con cui il 26 febbraio 2021 la Casa Bianca ha condannato l’occupazione del 2014: Crimea is Ukraine. E messa in pratica già in occasione della recente crisi nel Donbas, quando ha reagito alle intimidazioni di Putin ordinando l’invio di due navi da guerra nel Mar Nero. Optando poi per il dispiegamento di unità britanniche per favorire la distensione. Divenuto presidente, l’architetto del reset obamiano sembra intenzionato ad applicare nei confronti della Russia un approccio no reset, no escalation e a proteggere con maggiore determinazione gli interessi americani 5.
In questo contesto, gli obiettivi geopolitici fondamentali della Turchia non cambiano. Ankara continuerà a non transigere sull’integrità territoriale dell’Ucraina e sul rispetto dei diritti territoriali dei tatari. A cambiare potrebbero essere gli strumenti. Il governo turco ha sempre inteso risolvere la questione della Crimea mediante la diplomazia e il dialogo, bilanciando la propria geopolitica regionale. Nel prossimo futuro potrebbe non essere più possibile. È anzi probabile che il peggioramento delle condizioni di sicurezza dei tatari, le continue violazioni dei loro diritti e l’impatto di tali dinamiche sull’opinione pubblica anatolica causino un sensibile deterioramento nei rapporti tra Mosca e Ankara. Inducendo quest’ultima ad avvicinarsi ulteriormente a Kiev e a sacrificare l’approccio equilibrato finora adottato.
(traduzione di Daniele Santoro)
Note:
1. S. Yılmaz, «Kırım Krizi ve Dünya Kırım Tatar Kongresi» («La crisi di Crimea e il Congresso mondiale dei tatari di Crimea»), Sde Bakıs¸, n. 12, agosto 2015, bit.ly/2R1QgtT
2. Cit. in S. Kınıklıoğlu, «Türkiye-Ukrayna İlis¸kileri ve Kırım Tatar Meselesi» («Le relazioni Turchia-Ucraina e la questione dei tatari di Crimea»), Bilig, n. 3, 1996, p. 35.
3. Nel senso di «territori sacri» (n.d.t.).
4. S. Yılmaz, op. cit.
5. S. Özçelİk, «Yeni ABD Bas¸kanı Biden, Ukrayna ve Kırım Dostu mu?» («Il nuovo presidente americano Biden è un amico dell’Ucraina e della Crimea?»), Qha, 9/1/2021, bit.ly/3wFQO7X
Quante cose che non sapevo!