ADAM ELSHEIMER, FUGA IN EGITTO, 1609, ALTE PINAKOTHETK, MONACO — LETTURA DI TOMASO MONTANARI + Vecchia Pinacoteca di Monaco

 

 

 

Adam Elsheimer, Fuga in Egitto, Monaco, Alte Pinakothek, 1609

 

 

Il pittore Adam Elsheimer- morto in miseria a trentadue anni – è uno dei più grandi poeti
della pittura.

La notizia della sua scomparsa – avvenuta a Roma – colpì amaramente il grande Rubens, che il 14 gennaio 1611 scrisse : ” Certo che dovrebbe per una tale perdita vestirsi di lutto stretto tutta la nostra professione, la quale non ritroverà facilmente un par suo “.

Un altro contemporaneo descrisse così il capolavoro di Adam, cioè la nostra Fuga in Egitto:

” Maria è seduta sopra un asino che Giuseppe conduce lungo il ruscello circondato da erbetta, tenendo con l’altra mano un pezzo di legno acceso, come fiaccola per la notte. In lontananza si vedono i pastori con gli armenti presso un fuoco acceso, che si rispecchia e si riverbera sull’acqua. La scena si svolge davanti ad un fitto bosco, sopra il quale è raffigurato il sereno cielo stellato, e in particolare la Via Lattea, con dietro però anche la luna piena, straordinaria e chiara, che dall’orizzonte si innalza sopra le nuvole, gettando il suo perfetto riflesso sull’acqua. Nessuno ha mai realizzato qualcosa di simile “.

Ed era proprio vero: fino a quel momento la Via Lattea veniva rappresentata come la mitica scia di latte fuoriuscita dal seno di Era quando quest’ultima allontanò Eracle, figlio illegittimo del suo sposo  Zeus. Elsheimer, invece, la dipinge per quel che è: un insieme di corpi celesti. Un anno dopo, un grandissimo scienziato – Galileo Galilei – affermerà la stessa idea fondandola sull’osservazione del cielo attraverso il telescopio.

E anche nella Fuga in Egitto di Elsheimer il primato della natura si sposa perfettamente con una nuova capacità di osservarla, e di leggerne la luce: qualcosa che l’artista tedesco aveva imparato da Caravaggio, di sette anni più grande di lui. Qualcosa che ci fa sentire questo quadro moderno, amico.

Perché, proprio come per Caravaggio, questa rinnovata attenzione  per la natura non si risolve in una pittura ” scientifica “, bensì in un’altissima riflessione sulla condizione dell’uomo.

Maria, Giuseppe e Gesù non sono superuomini serviti dagli angeli, ma piccoli e inermi figure, letteralmente inghiottite da un fitto buio in cui è possibile procedere solo a tentoni. Grazie alla luna, quando c’è. E grazie agli uomini che accendono fuochi intorno ai quali possiamo scaldarci, per ripartir nel nostro cammino.

Proprio come accade in questo piccolo, grande quadro: che parla del mondo che c’è dentro di noi parlando del mondo che ci circonda.

 

da :

Tommaso Montanari, L’ora d’arte,  Einaudi, 2019, pag. 106-107

 

 

 

 

 

 

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