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Hans Fallada
Ognuno muore solo
Lingua originale: tedesco
Traduzione di Clara Coïsson
Titolo originale: Jeder stirbt für sich allein
Postfazione di Geoff Wilkes
2010
La memoria n. 832
752 pagine
Un romanzo sulla resistenza e sulla disperazione nella Germania sotto la doppia angoscia del nazismo e della guerra. Basato su una storia vera è la rielaborazione letteraria dell’inchiesta della Gestapo che portò alla decapitazione due coniugi berlinesi di mezz’età accusati di avere diffuso materiale anti-nazista.
«Il libro più importante che sia mai stato scritto sulla resistenza tedesca al nazismo» (Primo Levi).
Ognuno muore solo (uscito nel 1947) è basato su una storia vera, rielaborazione letteraria dell’inchiesta della Gestapo che portò alla decapitazione due coniugi berlinesi di mezz’età.
Hans Fallada, massimo autore del neorealismo weimariano, ormai alcolizzato, dipendente da farmaci, ripetutamente incarcerato e rinchiuso in istituti psichiatrici, ricevette l’incartamento da autorità della ricostruzione e scrisse l’opera nel tardo 1946, in ventiquattro giorni, appena prima di morire. Eppure, questo ritratto raggelante, della Germania sotto la doppia angoscia del nazismo e della guerra, è rimasto dimenticato a lungo e vive solo oggi una nuova stagione anche grazie alla trionfale scoperta e pubblicazione in America. Ciò, malgrado possegga, oltre il valore letterario e storico, tutte le qualità che assicurano un’esperienza di lettura toccante. La tensione livida, paragonata al primo Le Carré. L’azione corale di un gran numero di personaggi mai stereotipati, benché più istintivamente gran parte di loro ispirerebbe o repulsione disgustata o eroico entusiasmo. La trasfigurazione, nel racconto oggettivo privo di ogni espressionismo, dell’esperienza ambientale di chi, forse unico tra gli scrittori antinazisti già affermati, non emigrò mai, continuando a respirare il potere totale hitleriano. Una spietata caccia all’uomo, con tanto di bandierine sulle carte, guidata da investigatori tanto tecnicamente capaci quanto irrazionalmente mossi da un fanatismo assurdamente sproporzionato agli scopi. E probabilmente le ragioni dell’oblio e della riscoperta stanno appunto nel fatto che è un romanzo sulla resistenza. Un romanzo sulla resistenza e sulla disperazione. Contrastante, quindi, con il luogo comune di un Hitler che non conobbe oppositori tra la gente ordinaria, unita nella colpa collettiva.
Fallada racconta di poveri eroi. Anna e Otto Quangel, lui caporeparto lei casalinga, come tutti i loro pari soli e addormentati e poco prima ancora abbagliati dal Führer, conoscono un risveglio dopo la notizia della morte del figlio al fronte, e cominciano a riempire alcuni caseggiati della loro Berlino con cartoline vergate in modo incerto di appelli ingenui di ribellione. Lo fanno per comportarsi con decenza fino alla fine, ben sapendo che morranno e sicuri che nel vicino incontreranno più facilmente il delatore. L’autore li illumina, scorgendo in loro una specie di coscienza della nazione, rappresentata dai tanti volti intorno, espressioni di un popolo spaccato in due, chi odia e opprime e chi è sepolto nella sua paura.
Hans Fallada , in realtà Rudolf Wilhelm Friedrich Ditzen (nato il 21 luglio 1893 a Greifswald ; morto il 5 febbraio 1947 a Berlino ), è stato uno scrittore tedesco .
Rudolf Ditzen usava già lo pseudonimo di Hans Fallada con il suo primo romanzo, The Young Goedeschal , pubblicato nel 1920. Era basato su due fiabe dei fratelli Grimm . Il primo nome si riferisce al protagonista di Hans im Glück e il cognome al cavallo parlante Falada di La ragazza dell’oca : la testa mozzata del cavallo proclama la verità finché la principessa tradita non torna in sé.
Al più tardi nel 1931, Fallada si era rivolto a temi socialmente critici con Pedine, pezzi grossi e bombe . Da quel momento in poi, le sue opere sono state caratterizzate da uno stile obiettivo e sobrio, studi sull’ambiente vivido e disegni di personaggi convincenti. Il successo globale Little Man – e adesso? , che tratta del declino sociale di un dipendente alla fine della Repubblica di Weimar, così come le successive opere Il lupo tra i lupi, Ognuno muore per se stesso e il romanzo pubblicato postumo Il bevitore è attribuito alla cosiddetta Nuova Oggettività.
CONTINUA :
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Il blog di Gabriella Alù
E ADESSO, POVER’UOMO? – HANS FALLADA
Hans FALLADA, E adesso, pover’uomo? (tit. orig. Kleiner Mann, was nun?), a cura di Mario Rubino. Con testi di Ralph Dahrendorf e di Beniamino Placido, p.588, Sellerio, collana La Memoria, ISBN 9788838923388
La Sellerio ha mandato in libreria, proprio in questi giorni, la prima traduzione integrale italiana di un romanzo tedesco importante.
E adesso, pover’uomo? di Hans Fallada è stato, un tempo, libro di grandissimo successo. Trasposto anche su grande e piccolo schermo, è stato poi ingiustamente dimenticato ed ultimamente non era facile reperirlo nemmeno nella vecchia e ridotta edizione Mondadori.
Si tratta dunque, questa di Sellerio, di operazione editoriale degna di nota perché oltre tutto il romanzo di Fallada, letto oggi, si rivela — considerando tutto quello che sta succedendo a livello nazionale ed internazionale — di una inquietante attualità.
Hans Fallada (1893-1947) si chiamava in realtà Rudolf Ditzen, ma quando decise di fare lo scrittore si scelse uno pseudonimo, e lo fece mettendo insieme i nomi di due personaggi tratti dalle fiabe dei fratelli Grimm.
Fallada è una delle figure di quel neorealismo tedesco (la Neue Sachlihkeit) del Novecento di cui fanno parte anche due importanti autori come Alfred Döblin (Berlin Alexanderplatz) ed Heinrich Mann (L’angelo azzurro).
Dopo aver esercitato i mestieri più disparati — guardiano notturno, mercante di cereali, agente pubblicitario — Fallada si lancia nel 1929 nel giornalismo. Si dedica poi esclusivamente alla narrativa scrivendo opere con cui disegna un quadro molto fedele della società tedesca della sua epoca.
Questo Kleiner Mann, was nun? (del 1932) è il suo secondo romanzo. Acuminato profilo della società tedesca fra le due guerre, gli garantisce una grande notorietà anche al di fuori dei confini tedeschi.
Il romanzo, scritto in quattro mesi — dall’ottobre del 1931 al febbraio del 1932 — viene dapprima pubblicato a puntate sul feuilleton di un quotidiano berlinese e poi pubblicato in volume in coincidenza dell’uscita dell’ultima puntata. Ottiene immediatamente un successo straordinario in Germania ma non solo. Viene subito tradotto e pubblicato da almeno altre dieci case editrici straniere. In Italia il libro è pubblicato nel 1933 da Mondadori con il titolo E adesso, pover’uomo?.
La vicenda narrativa di E adesso, pover’uomo? si svolge nell’arco temporale di circa due anni (primavera 1930 – inverno 1932) e dunque per i lettori del quotidiano il testo di Fallada costituiva effettivamente una descrizione “in presa diretta” della realtà tedesca.
Una realtà contrassegnata dal vertiginoso aumento del numero dei disoccupati, che erano passati dai tre milioni del 1930 ai sei milioni del 1932.
Le date, a proposito di questo libro, sono importanti. Ricordiamoci infatti che in Germania il 27 febbraio 1933 viene incendiato il Reichstadt e che il 23 marzo 1933 Hitler ottiene i pieni poteri.
Il libro narra le vicissitudini di un giovane contabile tedesco, Johannes Pinnenberg, rappresentante della piccola borghesia onesta e laboriosa, che si ritrova avvinto nelle spirali della miseria a causa della grave crisi economica in cui versa il suo paese durante gli anni Venti e Trenta.
Il titolo è importante, perché quello originale tedesco è Kleiner Mann e cioè letteralmente “piccolo uomo”, “uomo qualunque”, “uomo della strada”.
Come sottolinea Dahrendorf, il protagonista del romanzo è un tipico esponente del concetto tedesco del das Volk, il popolo tedesco. Un concetto interclassista che non a caso il nazismo includerà nel motto “Ein Volk, ein Reich, ein Führer”
Un accenno alla trama.
Johannes Pinnenberg ed Emma Mörschel (Lämmchen, che in tedesco vuol dire “agnellino” è il vezzeggiativo con la quale viene chiamata) sono due ventenni che scoprono di aspettare un bambino. Molto innamorati, ottimisti, pieni di speranza, fiduciosi nelle loro capacità, decidono di sposarsi senza coinvolgere i rispettivi genitori, e vanno a vivere a Ducherow, dove Pinnenberg lavora come contabile. Il padrone della ditta, che aveva sperato di far sposare Pinnenberg con la propria figlia Maria lo licenzia però in tronco non appena scopre il matrimonio del giovane.
I due giovani non hanno altra scelta che quella di trasferirsi a Berlino, a casa della madre di lui, una donna avida e dal mestiere a dir poco ambiguo (tenutaria di bordello?).
Grazie all’aiuto dell’amante di lei Hans riesce comunque a trovare un impiego come commesso in un grande magazzino di abbigliamento. La paga è misera.
La competitività tra i commessi è spietata. La direzione dell’azienda ha infatti stabilito “quote” di vendita individuale che i commessi devono rispettare, pena il licenziamento. Si tratta della strategia aziendale che viene chiamata “obiettivi dei risultati”.
I mesi in attesa della nascita del bambino trascorrono tra mille difficoltà economiche. La minaccia di un licenziamento dovuto alle continue riduzioni di personale ed alla crisi economica che travolge la Germania è sempre presente.
Molto belle le pagine in cui Hans e Lämmchen passano ore ad arrovellarsi facendo conti interminabili per cercare di far quadrare i conti con il magro stipendio di Pinnenberg e poter arrivare in qualche modo alla fine del mese.
La consapevolezza della precarietà, l’incubo della disoccupazione non abbandona un istante la coppia, che adesso si trova anche con un bambino piccolo da nutrire ed allevare.
“Oh perché, pensa Lämmchen, non abbiamo un pochettino di soldi in più! Da non dover sempre stare in ansia a contare il centesimo! Sarebbe tutto così semplice, tutta la vita sembrerebbe diversa…”
Si tira avanti. Finché un brutto giorno, bruscamente, Pinnenberg viene licenziato in tronco, senza preavviso. Da quel momento la giovane coppia può contare solo su un misero sussidio di disoccupazione.
Ha inizio una lunga via crucis fatta di umiliazioni e di lotte in una Berlino sempre più ostile e nella quale i nazisti diventano sempre più numerosi e violenti.
E’ l’inizio insomma di una implacabile discesa nei gradini della scala sociale.
Mentre Lämmschen si arrabatta per portar qualche soldo a casa — adesso la famigliola si è ridotta ad abitare in una baracca a quaranta chilometri da Berlino — cavandosi gli occhi anche per dieci ore al giorno a rammendare e far piccoli lavori di cucito nelle case delle ricche signore berlinesi (perché di ricchi, a Berlino, ce ne sono ancora ) Pinnenberg si rende conto, ad un certo momento, di non esser più un “colletto bianco”, ma di far parte di quella massa di sottoproletariato di cui in ogni momento è possibile calpestare impunemente la dignità.
“Con lui ognuno fa quel che vuole”.
“E adesso, pover’uomo?”. Come risponde a questa domanda il “piccolo uomo” Pinnenberg, l’apolitico Pinnenberg, che non ha mai saputo decidersi a stare esplicitamente né dalla parte dei nazisti né da quella dei comunisti, come risponde Pinnenberg il quale “no, lui non è un eroe, in nessun verso”?
Pinnenberg risponde con la fuga-rifugio nel privato.
“… che altro si può fare in una città che non vi riguarda, se non starsene a casa propria, con i propri affanni? Negozi in cui non si può comprare niente, cinema in cui non si può entrare, caffè per chi può pagare, musei per chi è vestito decentemente, alloggi per gli altri, istituzioni buone solo ad angariarvi — no, Pinnenberg preferisce restarsene a casa sua.”
Il tema del romanzo è molto duro, ma questa cronaca della vita quotidiana di un piccolo impiegato nella Germania al termine della Repubblica di Weimar che si deve confrontare con la disoccupazione e l’inesorabile degrado delle sue condizioni di vita è addolcita dall’amore che unisce la coppia e dal personaggio femminile di Emma (Lämmchen), la più forte e coraggiosa dei due. Lei non si dà mai per vinta ed è lei che, nonostante le prove che devono affrontare, non smette mai di sostenere il marito.
“Pinnenberg non è un duro, Pinnenberg è di pasta molle; se lo mettono sotto pressione, perde la sua forma, si disfa, diventa un niente, poltiglia”
Si, forse in alcuni momenti quest’amore appare troppo idealizzato, ma serve a fare da contraltare alle durissime condizioni del “fuori”, del contesto.
“Oh, Lämmchen, dice Pinnenberg, stringendola forte ” Oh, Lämmchen, mormora, C’è di che aver paura. E noi siamo così soli. E Lämmchen annuisce lentamente con la testa e gli dice sottovoce: “Ma noi siamo insieme, noi due”.
Fallada descrive con realismo e precisione una coppia giovane, onesta, lavoratrice e perbene in caduta libera verso la povertà. A poco a poco, Hans ed Emma Pinnenberg si ritrovano ad aver sempre meno fiducia e speranze nei confronti di questa Germania degli anni ’30. La crisi economica li travolge nella sua spirale infernale senza più lasciar loro se non il loro amore reciproco.
Il romanzo descrive narrativamente il fenomeno della proletarizzazione dei ceti medi, descrive quel mondo degli impiegati analizzato con altri strumenti (quelli della saggistica) da Siegfried Krakauer che per primo, nel suo libro intitolato Gli impiegati pubblicato a Francoforte nel 1930 adopera il termine, poi divenuto celebre, di “colletti bianchi”.
Passando in mezzo agli operai disoccupati che oziano in un giardino pubblico, Pinnenberg pensa: “Solo questi sono i miei simili, questi qui. E’ vero che mi danno del bellimbusto e mi chiamano colletto duro, ma è roba passeggera. Lo so meglio di chiunque altro, quanto contino queste cose. Oggi, soltanto oggi, ho ancora una paga, ma domani, oh, domani mi toccherà il sussidio”
I lettori del feuilleton berlinese che leggevano avidamente le puntate di Kleiner Mann, was nun? si ritrovavano profondamente coinvolti e identificati in una narrazione che metteva insieme una commovente storia d’amore e un cupo dramma sul “fantasma della povertà”.
Non a caso Beniamino Placido conclude un suo articolo del 1977 su La Repubblica dedicato al romanzo di Fallada intitolato “Una coppia di agnellini o due nazisti?” scrivendo:
“Non ce la faranno ad arrivare alla fine del mese. E’ molto brutto dover fare i conti di casa entro limiti così soffocanti. Brutto e foriero di brutti pensieri. Quindi i nervosismi. Forse i nazismi”.
Dicevo, all’inizio, che il romanzo di Fallada mi sembra di un’attualità addirittura inquietante.
Da parte sua Mario Rubino, il curatore di questo volume Sellerio, conclude la sua postfazione ricordando un brano della presentazione del romanzo nella seconda di copertina dell’edizione del 1933 in cui c’era scritto:
“In un mondo nel quale si possono contare circa venti milioni di disoccupati e in un paese dove la gioventù che esce dalle scuole si vede sbarrata ogni via e ogni occupazione proficua, la storia di un disoccupato diventa quasi simbolica e ci interessa di per sé”.
Nel 1934 dal romanzo di Fallada venne tratto il film Little Man, What Now?. Il film, per la regia di Frank Borzage e con Margaret Sullavan e Douglas Montgomery attori protagonisti ebbe molto successo.
Margaret Sullavan ((Lämmchen)
In Italia, nel 1960, del romanzo venne realizzata per la Rai una versione dal titolo Tutto da rifare pover’uomo. La regia era di Eros Macchi, gli interpreti protagonisti Ferruccio De Ceresa e Carla Del Poggio. Nel cast, anche Laura Betti, Lando Buzzanca, Renzo Palmer, Paolo Poli
Ci sono molti punti di somiglianza con la realtà contemporanea, purtroppo. Uno di questi è la solitudine della persona. Del libro “Ognuno muore solo” è stato tratto un film, che ricordo di avere visto, molto bello, ma non ricordo il titolo né il regista.