( qualcosa sul – ) LA GRANDE ILLUSIONE DI JEAN RENOIR, 1937 – JEAN GABIN, PIERRE FRESNAY, ERIC VON STROHEIM ED ALTRI ++ al fondo: Profilo di Jean Renoir di Goffredo Fofi

 

 

 

La grande illusione" di Renoir a Santarcangelo - Chiamamicitta

 

 

 

 

 

LA GRANDE ILLUSION – Trailer (Il Cinema Ritrovato al cinema)– sottoscritte in italiano

CinetecaBologna- restaurato

 

 

 

Una locandina di LA GRANDE ILLUSIONE: 16822 - Movieplayer.it

 

 

 

 

Jean Renoir – La Grande Illusion (1937) – Morte di de Boëldieu  – 4.29

 

Pierre Fresnay: de Boëldieu

Erich von Stroheim: von Rauffenstein

 

 

 

 

La scena più significativa del film — parlata in francese con sottoscritte in inglese

 

Pierre Fresnay: de Boëldieu

Erich von Stroheim: von Rauffenstein

 

 

 

 

La Grande Illusione – La Marsigliese– 3.07

 

 

 

 

0.58 — La Grande Illusion (1937) by Jean Renoir, Clip: Rauffenstein taglia il suo geranio per Boëldieu

 

 

 

 

I prigionieri progettano la fuga –8.05

 

 

 

 

 

1.05  — Scena finale

 

 

 

La grande illusione (La Grande Illusion) è un film del 1937 diretto da Jean Renoir, nominato all’Oscar al miglior film nel 1939.

 

 

La grande illusione | Locandina per il film "La grande illus… | Flickr

 

 

 

Trama

1914-1918, Prima guerra mondiale.

Prologo. Fronte francese. Il capitano Boëldieu e il tenente Maréchal sono abbattuti con il loro aereo dall’ufficiale tedesco von Rauffenstein, asso dell’aviazione tedesca, e fatti prigionieri.

Campo di detenzione di Hallbach. Boëldieu e Maréchal sono trasportati in questo campo di prigionia dove incontrano altri connazionali: un attore abile nei giochi di parole, un professore, un ingegnere del catasto e Rosenthal, sarto figlio di ricchi banchieri che divide con i compagni i pacchi di viveri che la famiglia gli invia. Durante il giorno il gruppo di francesi conduce la normale vita dei prigionieri di guerra; di notte, però, lavorano segretamente alla costruzione di un tunnel per poter evadere in gruppo. Hanno anche il tempo di organizzare una festa teatrale in cui alcuni si travestono da donne, quando improvvisamente arriva l’ordine di trasferimento degli ufficiali dal campo dove arriveranno dei prigionieri inglesi. Ciò impedisce l’evasione attraverso il tunnel ormai terminato.

 

 

La grande illusione (1937) - Streaming, Trama, Cast, Trailer

 

 

Ripetuti saranno i tentativi di fuga dai tanti campi ai quali vengono destinati, per approdare, infine, alla fortezza di Wintesborn (il castello di Haut-Kœnigsbourg in Alsazia). A capo del castello c’è von Rauffenstein che, ferito gravemente in una missione aerea, è stato destinato a compiti meno rischiosi. Un’azione diversiva è ideata dal capitano Boëldieu per consentire la fuga a Maréchal e a Rosenthal, che hanno preparato una lunga corda per calarsi dalle mura del castello. Viene inscenato una specie di ammutinamento musicale per distrarre la guarnigione della fortezza. Boëldieu, in uniforme e guanti bianchi, sfida von Rauffenstein e suona un piffero con insolenza sul cammino di ronda costringendolo a sparargli addosso.

 

 

 

La grande illusione - Sentieri Del Cinema

 

 

Maréchal e il soldato Rosenthal fuggono verso il confine svizzero. Dopo alcuni chilometri Rosenthal, ferito a una caviglia, zoppica e avanza a fatica. Provvidenzialmente trovano rifugio in una fattoria tedesca, abitata da una vedova di guerra e dalla figlia. La donna ospita i fuggiaschi e non li denuncia. Un tenero legame si stabilisce fra lei e Maréchal, ma i due francesi devono ripartire. In seguito una pattuglia tedesca li avvista mentre attraversano un pendio completamente innevato; un soldato punta l’arma, ma il compagno gli impedisce di sparare: il confine tra Svizzera e Germania è superato. Rosenthal e Maréchal sono finalmente liberi.

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  • L’idea del film risaliva a qualche anno prima. Nel 1934, durante le riprese di Toni effettuate a Martigues, Renoir incontrò il maresciallo Pinsard, poi nominato generale. Questi, nel 1915 – quando il regista durante la prima guerra mondiale era in servizio nell’aviazione francese – gli aveva salvato la vita mentre, in missione, pilotava un vecchio Caudron ed era stato attaccato da un aereo nemico. Nel corso di vari incontri il generale narrò le sue avventure di guerra, le sette catture e le sette evasioni, che al regista parvero elementi interessanti per un film d’avventura. Prese vari appunti e li mise in una scatola con l’intenzione di ricavarci un

 

 

La Grande Illusion | The Phillips Collection

 

 

La colonna sonora, curata da Joseph Kosma, contiene numerose canzoni popolari cantate dai personaggi:

  • Frou Frou (1897), parole di Hector Monréal (1839-1910) e di Henri Blondeau (1841-1925), musica di Henri Chatau (18..-1933), cantata da Lucile Panis
  • Frère Jacques
  • Si tu veux Marguerite (1913), parole di Vincent Telly, musica d’Albert Valsien
  • It’s a Long Way to Tipperary
  • La Marseillaise
  • Die Wacht am Rhein
  • Il était un petit navire, suonato da Boëldieu per distrarre le guardie durante l’evasione di Rosenthal e Maréchal

 

La prima si ebbe il 4 giugno 1937 al cinema Marivaux di Parigi.

 

 

 

Sopra: “The Great Illusion” di Jean Renoir sul manifesto di Marivaux il 14 giugno 1937.

 

 

 

Il film ebbe successo in Francia e in America. John Ford dichiarò: “È una delle cose migliori che ho visto” e il presidente Franklin D. Roosevelt ne raccomandò la visione ai suoi concittadini “…tutti i democratici dovrebbero vederlo.” Il film fu proibito dalle autorità del governo nazista in Germania. Il divieto fu esteso ai paesi successivamente occupati e, dall’ottobre del 1940, anche alla Francia.

Racconta Renoir: «Per caso, il giorno in cui i nazisti entrarono a Vienna, nelle sale distribuivano il mio film. Senza perdere un istante, la polizia lo proibì e si interruppero immediatamente le proiezioni. È una storia che mi riempie d’orgoglio.» (1938, presentazione del film per il pubblico americano)

Nel corso della distribuzione internazionale i diversi positivi in circolazione erano stati tutti più o meno mutilati. La versione completa fu proiettata soltanto nel 1958, ricostruita da Renoir e Charles Spaak da un negativo ritrovato a Monaco dagli americani alla fine della guerra.

 

 

 

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Critica

Gianni Rondolino:

«Il film è stato giustamente considerato uno dei vertici dell’arte di Renoir, per la visione prospettica e complessa della realtà della guerra che ne scaturisce, sul versante di un’attenta e partecipe indagine della condizione dei prigionieri, con variazioni sui temi della differenza di classe, del coraggio individuale e collettivo, della solidarietà nazionale, dell’antimilitarismo.»

 

Daniele Dottorini:

«“Capitano, non le piacciono le illusioni?”, “No, io sono un realista” una delle battute chiave del film funge da entrata nel suo mondo poetico. Illusione e realismo, costruzione e svelamento, è anche in questa opposizione (già vista all’interno delle dinamiche renoiriane) che si muove La grande illusione

(Daniele Dottorini)

 

François Truffaut:

«Il meno contestato dei film di Renoir è costruito sull’idea che il mondo si divide orizzontalmente per affinità e non verticalmente per barriere.[…] Vi si pratica una guerra ancora improntata sul fair-play, una guerra senza bombe atomiche e senza torture. Un film di cavalleria, sulla guerra considerata, se non come una delle belle arti, per lo meno come uno sport, come un’avventura in cui si tratta di cimentarsi tanto quanto di distruggersi.[…] La grande illusione consiste quindi nel credere che questa guerra sia l’ultima. Renoir sembra considerare la guerra come un flagello naturale che ha i suoi aspetti positivi come la pioggia, il fuoco… Secondo Renoir è l’idea di frontiera che bisogna abolire per distruggere lo spirito di Babele e riconciliare gli uomini che continueranno tuttavia a essere divisi per nascita.»

(François Truffaut)

 

Paolo Mereghetti:

«Toccante il tema dell’amicizia che vince le barriere di classe e di nazione, è impossibile non commuoversi alla scena in cui Von Stroheim (forse nella sua interpretazione più grande) coglie l’unico fiore del castello per onorare il nemico che ha fatto uccidere.»

(Paolo Mereghetti, Dizionario dei Film)

 

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Riconoscimenti

  • 1939 – Premio Oscar
    • Nomination Miglior film a Réalisations d’Art Cinématographique
  • 1937 – Festival di Venezia
    • Premio al valore artistico a Jean Renoir
    • Nomination Coppa Mussolini a Jean Renoir
  • 1938 – National Board of Review Award
    • Miglior film straniero
  • 1939 – New York Film Critics Circle Award
    • Miglior film in lingua straniera

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La pace e la guerra

«Ne La grande illusione mi sono sforzato di mostrare che in Francia non si odiano i Tedeschi. Il film ha avuto un grosso successo. No, non è migliore di un altro film, ma traduce semplicemente quello che un Francese medio, mio fratello, pensa della guerra in generale. Si è per lungo tempo rappresentato il pacifista come un uomo dai capelli lunghi, con i pantaloni strappati, che, seduto su una cassa di sapone, profetizzava senza tregua calamità e entrava in trance alla vista di un uniforme. I personaggi de La grande illusione non appartengono a questa categoria. Sono la replica esatta di come noi eravamo, noi la «classe 14». Ero ufficiale durante la grande guerra e ho conservato un vivo ricordo dei miei compagni. Nessun odio ci animava nei confronti dei nostri nemici. Erano dei buoni Tedeschi come noi eravamo dei buoni Francesi. Sono convinto che lavoro per un ideale di progresso umano presentando sullo schermo una verità non alterata. Attraverso la rappresentazione di uomini che compiono il loro dovere, secondo le leggi sociali, nel quadro delle istituzioni, credo di aver dato il mio umile contributo alla pace mondiale.»

(Jean Renoir, Ecrits (1926-1971), pp. 326-327)

 

 

 

 

JEAN RENOIR — qualcosa

 

 

Jean Gabin e Jean Renoir sul set di 'Le bas-fonds' (1936)

JEAN RENOIR E JEAN GABIN

Jean Renoir è nato il 5 settembre 1894 a Parigi. Secondo figlio del pittore Auguste Renoir, si è confrontato molto presto con il mondo dell’arte e dello spettacolo la cui l’influenza si è esercita sulla famiglia intera: suo fratello maggiore Pierre è attore, suo fratello minore Claude, produttore e il nipote Claude Renoir junior, direttore della fotografia. Nel 1902 entra al collège Sainte-Croix a Neuilly dove svolge i suoi studi secondari e scopre il cinema. Nel 1914, fa il servizio militare. È in occasione di un permesso che vede Les Mystères de New York ed i film di Charlie Chaplin che sono per lui una vera e propria rivelazione. Ferito alla gamba destra, viene riformato nel 1915. Si arruola come osservatore nell’aviazione e termina la guerra come tenente-pilota. Nel 1919, sposa Catherine Hessling, modella di suo padre. Su suo consiglio, apre un atelier ed esercita il mestiere di ceramista fino al 1923. Debutta nella regia nel 1924 con La Fille de l’eau. Gli anni ’30 e l’avvento del sonoro segnato il debutto della sua vera carriera. Le Bas-fonds (Verso la vita), la Grande illusion e La Bête humaine (L’angelo del male) lo consacrano tanto in Italia quanto all’estero.

 

 

 

Un profilo di Renoir firmato da Goffredo Fofi:

“C’è in La Règle du jeu (La regola del gioco, 1939) una battuta famosa della proprio dal regista, qui anche in veste di attore: ‘Quel che è più terribile, su questa terra, è che tutti hanno le loro ragioni’. Si può partire da qui per cercare di capire il ‘mistero Renoir’, o almeno la varietà, con tutti i suoi accadimenti, della sua lunga attività di regista.

Renoir (Parigi 1894 – Los Angeles 1979) è un onnivoro, dotato di forte capacità mimetica, che ha affrontato con egocentrica autonomia esperienze le più diverse. La decadente avanguardia simbolista degli anni venti (La Fille de l’eau, 1926; Charleston, 1927; La Petite marchande d’allumettes, 1928), che è il ‘cinema colto’ del suo tempo e del suo paese. Ma già, contemporaneamente, film i più commerciali, tra i quali una farsa militare, Tire au flanc (1928), notevole per la presenza di un positivo stordito tra i personaggi. Due adattamenti da classici ottocenteschi, quel Nana (1926) che lo riconcilia, dopo la breve presa di distanza avanguardista, con il mondo del/dei padre/i e con la tradizione, e un antesignano del ‘cinema di qualità’ alla francese, Madame Bovary (1924), di corposa teatralità naturalistica. Un confuso ‘giallo’ da Simenon, in quella provincia francese che continua a nascondere ‘nidi di vipere’, La Nuit du carrefour (1933).

Un film, che segna l’inizio della miglior stagione del regista, La Chienne (La cagna, 1931), e che sacrifica a modelli weimariani (il ‘film di strada’), ma con una possente descrizione di ambienti parigini e con un attore-feticcio, Michel Simon, che ritorna in Boudu sauvé des eaux (Boudu salvato dalle acque, 1933), pieno della divertita retorica dei clochards per vocazione, satira anche di un personaggio intellettuale (il libraio che dal clochard è affascinato e vorrebbe rieducarlo) che ha quel tratto alla ‘Anatole France’, e Chotard et C.ie (1933), farsa sui bottegai, anch’essa di simpatico realismo.

Del ’34 è Toni, cupo dramma contadino provenzale, che parte da Pagnol per fare tutt’altro, tragedia di sensualità e incrocio di destini, mediterranea e nera, girata con una immediatezza, una scioltezza, una spontaneità che davvero preludono al neorealismo. Ma subito dopo, è il ’35, c’è Le Crime de Monsieur Lange (Il delitto del signor Lange), scritto da Prévert, squisita pittura populista del piccolo mondo di un cortile parigino, tra operai tipografi e sartine, padroni sudici e bislacchi e speranze cooperative, culminante con un giusto delitto premiato dalla solidarietà proletaria.

 

 

È il breve, intenso periodo delle speranze del Fronte popolare, e nel ’36 Renoir costruisce per il Partito comunista francese un film di propaganda elettorale, La Vie est à nous, che pesca a piene mani dalle esperienze militanti e documentarie più diverse, prima tra tutte quella del prevertiano Gruppo Ottobre.

Il ’36 è ancora l’anno di Les Basfonds (Verso la vita), adattamento da Gor’kij, mescolanza curiosa di umori russi e francesi, virati da una sorta di esistenzialismo che odora di insincerità. Ma è anche l’anno di Une Partie de campagne (La scampagnata), incompiuto gioiello impressionista, viaggio nella natura e nei sensi, con una finale malinconia già un po’ manierosa.

Renoir si adatta, si mimetizza. Spera e dispera, sorride e piange, si mescola alla vita dei suoi personaggi con curiosità e affetto sempre, ma sempre con una spiritosa distanza. Pesca dove la curiosità (e l’occasione) lo spinge. Rompe i canoni e ne costruisce di nuovi. E nuovo è nella vivace mobilità degli esterni, nella corale definizione dei personaggi, nella svagata presa di contatto con la realtà, anzi con più realtà, che egli sonda da gran signore apparentemente pacioso, disponibile, aperto. Dalle sue molte tentate adesioni al mondo che volta per volta narra nasce il suo fascino ambiguo, film per film.

Scopre le sue carte veramente solo nei tre film successivi, cui La Bête humaine (L’angelo del male, 1938) funge da parentesi infine pessimistica sui destini di un proletario morso internamente dalla malattia che, ben più che l’eredità di follia di Lantier (Jean Gabin), è già l’impossibilità reale di avere in sé forza sufficiente a cambiare il mondo. In La Marseillaise (La Marsigliese, 1938), pur finanziato nel ’37 con una sottoscrizione popolare gestita dai sindacati e dal Pc, l’affresco storico dà a tutti ‘le loro ragioni’, monarchi e popolani, nobili e giacobini, ma con un michelatiano afflato nazionale di grandeur unanimista.

 La Grand illusion (La grande illusione, 1938) unisce ancora le classi, dentro una prigione tedesca per francesi della prima guerra mondiale, ma per una volta Renoir sembra pienamente sincero quando, nei personaggi del nobile francese (Fresnay) e del nobile tedesco (Stroheim), esprime infine la sua ottica (e solidarietà) alto-borghese sui casi della storia e sulla fine di una classe, o meglio, della cultura di una classe che è la sua.

 

 

 

La Règle du jeu (1939), il capolavoro, è un marivaudage sulla fine insipiente della borghesia francese, un balletto in cui servi e padroni si equivalgono – servi e padroni, un tema già toccato in Nana, e che tornerà ancora in Diary of a Chambermaid (Il diario di una cameriera, 1946), in La carrozza d’oro (1952) e ancora altrove -, più corposi gli uni, più sfatti gli altri. Renoir dà a se stesso la funzione di malinconico commentatore della fine di un tempo. Poi è la guerra, l’esilio americano, dopo un tentativo nell’Italia fascista di una Tosca abortita. Ancora una volta, Renoir si adatta. Il suo modo di girare non è del tutto gradito alla precisione della macchina hollywoodiana, ma tuttavia se la cava, scende a qualche patto e nel ’45, con The Southerner (L’uomo del sud) annuncia una nuova svolta.

La sua reazione a una guerra vista da lontano ora ha, pure ancora unanimista, un senso vagamente religioso, certo spiritualista, che accentuerà nel ’51 The River (Il fiume), girato in India. Un pacato capolavoro, semplice con solennità”

(da I grandi registi della storia del cinema: dai Lumière a Cronenberg, da Chaplin a Cipri e Maresco, Donzelli, Roma 2008)

 

 

TESTO PUBBLICATO DA :

 

Il Cinema Ritrovato

 

 

JEAN RENOIR: UN PROFILO

https://distribuzione.ilcinemaritrovato.it/per-conoscere-i-film/la-grande-illusion/jean-renoir

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1 risposta a ( qualcosa sul – ) LA GRANDE ILLUSIONE DI JEAN RENOIR, 1937 – JEAN GABIN, PIERRE FRESNAY, ERIC VON STROHEIM ED ALTRI ++ al fondo: Profilo di Jean Renoir di Goffredo Fofi

  1. ueue scrive:

    Di questo film ricordo l’impressione che si trattasse di uno sguardo intelligente, malinconico, a volte ironico su una delle più grandi tragedie dell’umanità, cioè la guerra.

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