REPUBLLICA DEL 26 GENNAIO 2022
- Federica Oddera
- Charles Inglefield
Thomas Geve: “I miei disegni raccontano che cos’era Auschwitz”
di Wlodek Goldkorn
Uno dei disegni di Thomas Geve contenuti in Il ragazzo che disegnò Auschwitz
Da bambino sopravvissuto ha raccontato il lager in disegni che sono ora esposti allo Yad Vashem di Gerusalemme e riuniti in un libro edito da Einaudi. E a 92 anni dice: “Nei campi c’erano anche vita e solidarietà”
LA DISINFEZIONE – IL TATUAGGIO DEI DEPORTATI.
”Avanzavamo verso i tavoli. Un giovane deportato russo mi prese il braccio destro e cominciò a tatuarlo con una penna a doppia punta intinta nell’inchiostro blu’ (foto: Ansa)
https://www.ansa.it/sito/notizie/speciali/2011/01/26/i-disegni-di-Geve-tredicenne-nel-lager_8acafa18-8690-11e3-9bb0-7333a5a34056.html
Thomas Geve ha novantadue anni, vive a Herzliya, a due passi da Tel Aviv. La cosa che più colpisce, parlandogli, è l’ostinato rifiuto di considerarsi vittima, unito all’idea che i valori più importanti sono solidarietà e giustizia.
Geve, all’anagrafe Stefan Cohn, è nato a Stettino, ai tempi una città tedesca. Famiglia borghese, padre e nonno medici, quando aveva poco più di tredici anni venne deportato da Berlino ad Auschwitz.
Ora è in uscita in italiano il suo libro Il ragazzo che disegnò Auschwitz. Una storia vera di speranza e sopravvivenza, scritto assieme a Charles Inglefield e tradotto dall’inglese da Federica Oddera (Einaudi).
È un volume poderoso, 304 pagine, con disegni a colori, che Geve aveva realizzato appena liberato dagli alleati a Buchenwald, dove era finito dopo essere transitato per il lager di Gross-Rosen.
I disegni, depositati a Yad Vashem, il memoriale della Shoah di Gerusalemme, sono una documentazione della vita dei prigionieri ad Auschwitz, appunto. Ma il loro valore non è solo quello della testimonianza, sono pure belli, così come è affascinante e inconsueto il testo scritto, dove soprattutto si racconta la vita e non la morte.
Uno dei disegni di Thomas Geve contenuti in Il ragazzo che disegnò Auschwitz
Il colloquio con Geve avviene su Zoom, il tramite è la figlia che ogni tanto interviene, quando lui si spazientisce. Lei gli parla con tenerezza, consapevole della fragilità del padre, ma mai protettiva.
Geve esordisce: “Mi chiedono se sono contento per l’uscita del mio libro. E sa come rispondo? Dico che non ci sono motivi per essere contenti del passato. Però sono felice di aver potuto ricordare i quaranta prigionieri che mi hanno aiutato a sopravvivere e che attraverso questo libro è come se fossero tornati in vita”.
Infatti si parla di atti di solidarietà, talvolta gratuita, altre volte meno disinteressata e che lasciamo al lettore di scoprire. Ma intanto c’è un episodio terribile. Il protagonista dice a un guardiano che vorrebbe andare nel “campo dei bambini”. Non sapeva che i bambini finivano dritti nelle camere a gas. Il tedesco gli risponde di non rivolgere più quella domanda a nessuno.
‘E’ da questa porta del campo di Birkenau che passavano le vittime. Non sono state centinaia di migliaia, come ho scritto all’epoca, ma milioni’ (testo riportato: Ansa)
Uno dei disegni di Thomas Geve contenuti in Il ragazzo che disegnò Auschwitz
Geve reagisce: “Mi chiede se sono sopravvissuto grazie a casi fortuiti? La fortuna si ha quando hai comprato il biglietto vincente alla lotteria. Io invece sarei dovuto sopravvivere per non più di sei mesi, perché sei mesi dopo il mio arrivo ad Auschwitz (nel giugno 1943) l’inverno polacco si sarebbe fatto durissimo, con tutte le conseguenze: le malattie, aggravate dalla fame. Ma negli ultimi anni ho letto testi degli scienziati riguardanti il sistema immunitario. Ecco, io sono una persona con sistema immunitario fortissimo. Raramente mi capita di ammalarmi perfino quando fa molto freddo. È stato il mio sistema immunitario ad avermi salvato la vita”.
ABBECEDARIO DI AUSCHWITZ ‘Comincia con A come appello, B come blocco, C come Capò e termina con V come Vorarbeiter (caposquadra), W come Washraum (lavatoio) e Z come Zaun (reticolato)’ (foto: Ansa)
Non ha perso il senso dell’ironia Geve. Ma poi alla domanda sulla ragione per cui ha fatto oltre ottanta disegni, precisi nei dettagli, risponde: “Per mio padre che viveva in Inghilterra”. Il padre, nell’estate 1939 riuscì ad avere il visto per la Gran Bretagna. Il nostro interlocutore con la madre avrebbero dovuto raggiungerlo ad autunno. Ma scoppiò la guerra. La madre di Geve, deportata assieme a lui, da Auschwitz non è più tornata. Dice il nostro interlocutore: “I bambini di solito disegnano alberi, fiori. Io ho disegnato quello che avevo visto nei campi”.
”In quella lotteria che era la nostra sopravvivenza la sorte era contro di noi”. Da sinistra a destra nel disegno: il crematorio, le epidemie, la bastonatura, il bunker (foto: Ansa)
Nel 1950 Geve, da Londra, è andato a vivere in Israele. Spiega: “Avevo un amico in Svizzera”.
In Svizzera è arrivato dopo la liberazione dai lager, assieme ad altri ragazzi, per un periodo di convalescenza e riabilitazione. “Quell’amico”, continua, “è andato in Israele quando lo Stato degli ebrei è stato fondato. Mi scriveva lettere: “vieni qui. Abbiamo bisogno di te”. Io non avevo grandi rapporti con Israele, non sapevo l’ebraico, non avevo parenti da queste parti, non ero un ebreo osservante né ero interessato a questioni ebraiche. Ma ho capito che queste erano le mie origini e quindi che avrei dovuto vivere qui. È stata una decisione difficile. Mio padre non voleva darmi il permesso di andarmene, ma ci sono arrivato”.
‘Impiccagione di dodici polacchi, sospettati di aver tentato la fuga’ (foto: Ansa)
La figlia racconta che Geve era andato a una mostra di aeronautica. Seduto nella cabina del pilota di un aereo, meditava su cosa fare con la sua vita, se andare in Israele. All’improvviso vide quella che oggi è la regina in visita alla mostra. Elisabetta gli aveva fatto un cenno di saluto con la mano. Lui lo interpretò come un segno del destino. Ecco, ad Auschwitz, Geve era stato assegnato alla “scuola dei muratori”, ragazzi destinati a costruire la Germania di Hitler da schiavi. E invece andò a costruire il Paese degli ebrei da uomo libero e istruito.
Torniamo a parlare del libro.
‘Fui assegnato a un nuovo lavoro nella selezione dei materiali da costruzione, il più nutrito e il più noioso dei kommando di lavoro’ (foto: Ansa)
È scritto dal punto di vista di un ragazzo e per questo è così autentico. E c’è molta vita, perfino desiderio sessuale. “Qualcuno (si riferisce all’edizione originale) mi ha mandato un messaggio per dire che si canta troppo in questo libro e non ci sono cadaveri in strada. Ma io non volevo raccontare come si moriva né come si veniva uccisi. Io ho voluto raccontare la vita, la speranza, perfino la fiducia”.
Gli amici americani a Buchenwald con regali, sigarette, macchine fotografiche. ”I visitatori più simpatici erano i soldati americani , che venivano a trovarci quando avevano una licenza” (foto: Ansa)
All’annotazione che nel suo libro non c’è giudizio, risponde: “Ero troppo giovane per poter giudicare”. La figlia aggiunge: “Eravate ragazzi, nella scuola dei muratori, forse per questo da voi l’atmosfera era un po’ diversa”.
Lui reagisce: “Ma c’è anche il fatto che ero giovanissimo, fra i più giovani del lager, e forse per questo molti mi volevano proteggere”. Il colloquio si avvia verso la conclusione.
La domanda è perché la memoria della Shoah è importante. Geve si arrabbia: “Non so”.
Poi alza la voce: “Perché dobbiamo sapere che l’Europa era un posto orrendo. E che tanti erano i complici dei nazisti: i collaborazionisti di Vichy, i fascisti. E anche i morti erano tantissimi. Non solo gli ebrei”.
Torniamo a casa (foto: Ansa)
Riflette: “Nel 1933 Hitler cominciò con uccidere i comunisti. Poi fu il turno dei malati di mente, degli omosessuali, poi i prigionieri di guerra sovietici, i rom e fino ad arrivare a costruire le fabbriche della morte come Auschwitz, dove la maggior parte dei deportati, ebrei, dai treni andava direttamente nelle camere a gas”.
Precisa: “Non mi considero un attivista della memoria. Scrivo libri e voglio che la gente conosca il passato, desidero che quei crimini non si ripetano più”.
Credit delle foto dei disegni: Collection of the Yad Vashem Art Museum, Jerusalem.
Thomas Geve (nato il 27 ottobre 1929) è un ingegnere, autore ed ebreo sopravvissuto all’Olocausto
Nato a Stettino nel 1929, visse da bambino a Beuthen, prima di trasferirsi a Berlino con la madre nel 1939. Durante gli anni della guerra, lavorò per alcuni mesi come becchino al cimitero di Weißensee. Fu deportato ad Auschwitz nel giugno 1943 con la madre, che morì nel campo. Rimase ad Auschwitz fino alla sua evacuazione nel gennaio 1945, dopo di che sopravvisse ancora alla marcia della morte, al campo di concentramento di Gross-Rosen e al campo di concentramento di Buchenwald prima che quest’ultimo fosse autoliberato dai detenuti nell’aprile 1945.
Dopo la liberazione era troppo debole per lasciare il campo e procedette a registrare la vita del campo in 79 diversi disegni. Dopo la guerra, si recò in un campo in Svizzera per sopravvissuti alla Shoah orfani, e quando fu ritrovato suo padre, si riunì con lui in Inghilterra. Nel 1950 emigrò in Israele e si stabilì ad Haifa.
Le sue esperienze sono raccontate in due libri e due film documentari. Il primo libro, Gioventù in catene , che racconta gli anni della guerra, è stato successivamente ripubblicato e tradotto in altre sei lingue. Il suo secondo libro, che racconta le sue esperienze dopo la guerra, è stato pubblicato in tedesco. Inoltre, i suoi disegni sono stati pubblicati separatamente e trasformati in un documentario in lingua francese. Oggi tiene conferenze sulla Shoah nelle scuole in Germania e in altri paesi.
i due film dal :
SITO DI THOMAS GEVE — ci sono molte foto
http://www.thomasgeve.com/movies.html
UN ALTRO LIBRO DI THOMAS GEVE — Einaudi, 2011
- Margherita Botto
Il libro
A tredici anni il desiderio di esplorare e conoscere il mondo ti fa spalancare gli occhi, stupiti e avidi, sulla realtà che ti circonda: ma cosa succede quando il tuo unico, insuperabile orizzonte è quello dell’Olocausto, dell’umiliazione quotidiana e sistematica? Come si diventa uomini quando nulla intorno a te è degno di un uomo?«Sono nato nel 1929 e nel 1933 i nazisti prendono il potere: l’unico mio ricordo è la persecuzione».
Thomas Geve ha tredici anni quando, nel 1943, viene deportato ad Auschwitz. Solo perché ha l’aria di essere un po’ più grande della sua età, Thomas viene assegnato ai lavori forzati: nella logica folle e rovesciata del campo è una fortuna perché «i bambini al di sotto dei quindici anni vengono mandati direttamente alle camere a gas». Nonostante le quotidiane violenze, un lavoro che è solo tortura, la scientifica e continua offesa alla dignità umana, Thomas sopravvive: l’11 aprile 1945 le truppe alleate irrompono nel campo e liberano i prigionieri. Allora fa qualcosa di unico nella storia delle testimonianze dei sopravvissuti. Per conservare la memoria dell’inferno e raccontare ai genitori ciò che ha visto (non sapendo ancora che la madre, internata come lui, non è sopravvissuta), sceglie di fare quello che ogni bambino ha sempre fatto: inizia a disegnare. Si procura delle matite colorate, un bene prezioso e inarrivabile durante i giorni della prigionia, e trasforma il retro dei moduli e dei formulari delle SS nei 79 disegni che compongono questa raccolta (e solo più tardi, anni dopo, aggiungerà qualche, essenziale, parola di commento).Ogni cosa, ogni episodio, ogni traccia, per quanto flebile, di vita, ogni manifestazione, per quanto spaventosa, dell’orrore, viene registrata dai disegni di Thomas. Con il tratto semplice e stilizzato della sua età ma con l’attenzione per il dettaglio del futuro ingegnere, Geve dà vita a un documento di una bellezza straziante nel suo tentativo di sfidare l’abisso con lo sguardo, e le matite, di un bambino.
Volendo, potete leggere qui le prime quattro pagine del libro
https://www.einaudi.it/content/uploads/estratti/978880620348PCA.pdf
DISEGNI DI THOMAS GEVE ALLA MOSTRA DEL MUSEO DELLA RESISTENZA A TORINO – da febbraio a maggio 2012
mostra «Qui non ci sono bambini. Infanzia e deportazione. I disegni di Thomas Geve», allestita nel Museo diffuso della Resistenza di Torino, nel Palazzo dei Quartieri militari, in corso Valdocco 4/A.
Thomas Geve nel 1945 ed oggi
Sport punitivo
I parassiti
I bracciali
Amici americani a Buchenwald
Catturiamo alcune SS
Thomas Geve
L’intervento di Alberto Cavaglion
L\’intervento di Guido Vaglio, Direttore del Museo Diffuso
tutto sopra da :
SPAZIO TORINO
Qui non ci sono bambini. Infanzia e Deportazione. I disegni di Thomas Geve
E’ incredibile come la vita riesca, a volte, a vincere la morte: come il bucaneve che spunta nel freddo dell’inverno.