— per Giorgio & Marisa — FRANCESCO CEVASCO, Il fienile in pietra del poeta sull’ultima frontiera ligure –CORRIERE.IT –05 settembre 2011

 

 

CORRIERE.IT05 settembre 2011

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Notizie di San Biagio della Cima - Riviera24

FOTO:  RIVIERA 24

 

 

 

Il fienile in pietra del poeta sull’ultima frontiera ligure

Nella terra «verticale» di Biamonti, lo scrittore che vide morire gli ulivi. Dieci anni fa si spegneva l’autore che nella solitudine ricapitolava un mondo sospeso tra Italia e Francia, cielo e mare, poveri e ricchi

 

 

SAN BIAGIO DELLA CIMA

FOTO ADRIANO MAINI

 

 

 

Ce l’aveva addosso quella «dolcezza della luce» che cercava nelle sue terre e nei suoi mari e nei suoi cieli. L’aveva addosso nel suo corpo e nei suoi occhi che erano «incielati» come i suoi ulivi. Giuseppe Conte è un poeta e lo rivede così il suo amico Francesco Biamonti morto dieci anni fa nel fienile di pietra che era diventato la sua casa.

 

L’esterno della casa-fienile

L’esterno della casa-fienile

Il fienile era nel piccolo paese di San Biagio della Cima, che per Biamonti era l’ombelico del mondo. Da qui, poche case aggrappate alle salite che dal mare portano subito su alle colline che non sono dolci ma aspre come le montagne, Biamonti riusciva a guardare tutto il mondo, il mondo delle sue terre che descriveva con ossessivo scrupolo ma che era sempre specchio del panorama chiuso dentro il cuore degli uomini e delle donne.

San Biagio della Cima si chiama così per distinguerlo dagli altri San Biagio che in Italia sono decine. Ma a farlo diventare un posto unico è stato Biamonti. L’ha messo, con i suoi ulivi incielati, con le sue vigne arrampicate, con le sue mimose sofferenti, con i suoi cieli di ardesia, con il suo mare di vapori appena poco lontano, con la sua gente che parla poco, con quelle donne belle che camminano con passi di salita, con gli olandesi e i francesi che qui vengono volentieri non per fare i turisti ma per ritrovarsi semplici con tutte le angosce che si portano dentro, con i curdi i turchi gli africani e gli arabi che cercano un passo, come il Passo della Morte, per sbucare in Francia e provare a risalire in Germania dove un lavoro forse c’è o comunque magari da qualche altra parte c’è una vita ai confini della malavita che ti dà da mangiare lo stesso; con i suoi marinai che non vengono dal mare ma dalla terra e soffrono di quel «male del ferro» che è la chiglia della nave che ti stringe come una corda, una «cima», troppo stretta che ti sgozza il respiro. L’ha messo, Biamonti, San Biagio, su quel confine metafisico che sta tra la vita e il senso della vita.

 

 

Fronde

AZIENDA AGRICOLA MARIA BIAMONTI DETTA PINUCCIA

 

 

 

Qui c’è un altro confine; di qua si chiama Italia, di là si chiama Francia, ma Biamonti quel confine non l’ha mai visto. «Perché non c’è», diceva.

C’è, c’era, soltanto per il passeur che portava di là corpi e dolori dei clandestini. Tutto il resto è uguale, di qua e di là: l’arastra, la ginestra spinosa; il bricco, l’altura montagnosa; la fascia, il terreno piano che sta insieme perché lo tiene su un muro a secco; il gerbido, quel pezzo di terra così nemico che non riesci a coltivarlo; l’invernenco, la terra dura che viene d’inverno; il lampescuro, quello che vedi appena sbuca l’alba; la neve corsa, la neve che viene dal mare; il ritano, il dosso che da dolce diventa montagnoso; l’ubago, il versante in ombra; l’aprico, quello esposto al sole.

 

 

Il fienile in pietra del poeta sull'ultima frontiera ligure - Corriere della Sera

Lo studio di Biamonti

                                                            Lo studio di Biamonti

 

 

Ma Biamonti non era soltanto uno «scrittore-contadino», come fingeva; non era vero perché, anche se per un po’ è campato vendendo le mimose del suo campo, lui non le coltivava, le contemplava, al resto ci pensavano un fratello e la zia. E poi non è che le mimose gli piacessero più di tanto: «Il loro giallo è fatuo, ignaro delle tenebre del mistero…», diceva. Quando il gelo glien’ha ammazzato due terzi, era quasi contento: meno mimose, meno preoccupazioni.

A Giulio Einaudi, il suo editore, le mimose piacevano tanto e quando una delle sue si ammalò Nico Orengo (lo stesso che segnalò a Italo Calvino il manoscritto del primo libro di Biamonti, L’angelo di Avrigue) gli consigliò una lettera «paracula» in cui Biamonti dava consigli su come salvarla, la mimosa di Einaudi. Naturalmente la mimosa si salvò e Einaudi fu contento; ancor più contento fu, Einaudi, del successo (inaspettato) che l’«Angelo» di Biamonti ebbe, tanto che dimenticando l’amore per le mimose gli scrisse: «Sono contento del fatto che adesso la smetti di coltivare mimose e ti dedichi completamente alla letteratura».

 

 

 

Francesco Biamonti- Itinerari di Letteratura - il Mediterraneo - presentazione libri - NADiRinforma - Mediconadir

FOTO NADi.R.

 

 

 

Era, Biamonti, anche uno che «andava giù» tra Bordighera e Nizza – ( Ci sono 8 km )

Dove c’erano i bar che si chiacchierava un po’ in italiano un po’ in francese fino alle quattro del mattino. A Sanremo e a Montecarlo no: perché quelli sono i posti del cemento e della mafia, della droga, non dei poveri diavoli ma degli squali e degli affari criminali. Della Francia gli piaceva guardare i tramonti macchiati dal vento largo che si nascondevano dietro il Mont Angel e l’Estérel. E quei bistrot dove dopo una cert’ora capitava una volta ogni tanto di incrociare lo sguardo di una donna di quelle che sanno donarti un amore occasionale con l’eleganza di un fiore che fatica a mostrare il suo colore stretto com’è tra le rocce che gli rendono la vita impossibile.

 

Il fratello Giancarlo indica Francesco alle elementari dove il nonno era maestro di scuola

Il fratello Giancarlo indica Francesco alle elementari dove il nonno era maestro di scuola

 

Qui, nel suo paese, dove tanti di cognome fanno Biamonti, e non sono nemmeno parenti se non molto alla lontana e indietro nel tempo, avevano capito subito che lui era un tipo speciale. I più rozzi dicevano: «È uno che non c’ha voglia di fare un belino», perché non capivano come uno potesse passare il tempo a studiare la natura con l’ossessione di un botanico e lo sguardo di un pittore anziché a guadagnarsi il pane zappando con il magaglio (la zappa con tre denti).

Tutti gli altri – ricorda Giuseppe Conte – lo chiamavano semplicemente «Francé ü poeta». E a «ü poeta» i compaesani perdonavano anche parole atroci sulla terra che amava più di ogni cosa al mondo: «Questo paese è tutto una frana. Il mondo è tutto una frana». E peggio: «Io sono da cancellare. La mia vita non conta nulla; i miei natali non hanno importanza; il mio paese è insignificante». Perché a volte Biamonti diventasse di così cattivo umore lo spiega il nipote Corrado Ramella: «Esistono due Ligurie, diceva Biamonti, quella costiera fatta di cemento e confusione e quella verticale, dell’interno, una sorta di “austera Castiglia”.

Viveva anche su un altro confine, quello tra queste due Ligurie. Vide lo scempio: la terra dell’ulivo e della vite trasformata in serre e cemento, l’architettura dei soldi e del brutto, i paesi antichi che perdevano le pietre viola e la loro bellezza antica. Di questo soffriva. Si sentiva sepolto sotto queste “rovine”. E non sopportava la scomparsa della civiltà dell’argenteo ulivo. E forse s’è inventato una via d’uscita: la scrittura, la sua scrittura».

Una scrittura «minacciata». Minacciata dall’impossibilità di arrivare in fondo a un foglio. E così, Biamonti si scriveva addosso, nel vero senso della parola: riscriveva una parola che gli sembrava migliore della precedente sulla precedente, ma siccome non era convinto che fosse la scelta giusta, le lasciava lì, una addosso all’altra, sperando che arrivasse una Véronique, una di quelle donne che erano le sue muse, eleganti e torbide come i suoi pensieri, a cancellare quella parola sbagliata, forse la migliore. Diceva: «La vita minacciata ha più fascino».

 

Il sentiero dell’Annunziata

 

Il sentiero dell’Annunziata

 

 

 

Gli piaceva travestirsi da contadino: ma l’avete mai visto un contadino con il cappello da marinaio marsigliese, la giacca di velluto da poeta scozzese o di tweed da snob inglese, con il foulard di seta sottile sottile a disegno cachemire a coprire una cravatta mai indossata, con una pochette senza punte che quasi non si vede sbucare dal taschino della giacca? Gli piaceva mascherarsi da cinico fino a sfiorare i confini del nichilista che poi, in realtà, non era: «Non ho mai fatto figli perché non avrei avuto soldi per mantenerli»; «Il nostro secolo, il Novecento, quello dei totalitarismi, è meglio che scompaia, e tutti noi con lui, il nostro secolo è orfano di Dio e noi siamo ancora lì, a elaborare, senza riuscirci, il lutto della scomparsa». Ma poi sapeva consolarsi e consolarci con il suo Dio, per lui uomo di terra il Dio era il mare e la sua personalissima santissima trinità:

«Il golfo di Genova (Montale); il golfo di Marsiglia (Valéry), il golfo di Orano (Camus) che hanno creato una civiltà letteraria legata alle cose, in cui le cose parlano al posto dell’uomo. Una civiltà data dalla luce, dal sapere, dalla lucidità e dalla corrosione».

Francesco Cevasco

05 settembre 2011

Personaggio

La libreria (Servizio fotografico di Carla Mondino)

La libreria (Servizio fotografico di Carla Mondino)

Lo scrittore ligure Francesco Biamonti nacque a San Biagio della Cima, provincia di Imperia, il 3 marzo 1928 e morì sempre a San Biagio il 17 ottobre 2001. Dopo essere stato bibliotecario a Ventimiglia, approdò alla letteratura in età adulta. Amico intimo del pittore Ennio Morlotti, il suo romanzo «L’angelo di Avrigue», primo della tetralogia stampata dalla casa editrice torinese Einaudi, uscì nel 1983, elogiato e presentato ai lettori da Italo Calvino. Intorno a lui si è sviluppata nel tempo una leggenda letteraria che lo presentava come un solitario e schivo coltivatore di mimose. Tra i suoi libri più noti, quasi tutti pubblicati da Einaudi: «Vento largo» (1991), «Attesa sul mare» (1994); «Le parole la notte» (1998); «Il silenzio» (2003); «Ennio Morlotti. Pazienza nell’azzurro» (Ananke, 2006); «Scritti e parlati» (2008)

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4 risposte a — per Giorgio & Marisa — FRANCESCO CEVASCO, Il fienile in pietra del poeta sull’ultima frontiera ligure –CORRIERE.IT –05 settembre 2011

  1. ueue scrive:

    Bello questo ritratto di Francesco Biamonti e bella la Liguria.

  2. hai fatto un bellissimo lavoro!

  3. giorgio loreti scrive:

    Giorgio e Marisa, ringraziano per questo bellissimo post in ricordo di Francesco Biamonti e anche del fratello Giancarlo. Con gratitudine e un abbraccio.

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