FRANCESCO BANDARIN, Quale futuro per il patrimonio dell’Afghanistan? –IL GIORNALE DELL’ARTE, 21 agosto 2021

 

 

 

IL GIORNALE DELL’ARTE

https://www.ilgiornaledellarte.com/articoli/136791

 

 

FRANCESCO BANDARIN | 21 agosto 2021

 

 

 

 

 

La cittadella di Herat in Afghanistan

 

 

 

Map of Afghanistan. : Illustrazione stock

HERAT

 

 

 

 

FOTO GETTY IMAGES DI HERAT

 

 

 

Situation in Herat, Afghanistan : Foto di attualità

 

 

 

 

Afghanistan - Herat: Fortress rebuilt with capital by the German Federal Government and the Aga-Khan-Development-Network (AKDN) : Foto di attualità

 

 

 

 

An Afghan woman walks inside the Qala Ik : Foto di attualità

 

 

 

The Citadel of Herat, Herat, Afghanistan, Asia : Foto stock

 

 

 

 

The Restored Citadel In Herat, Afghanistan : Foto di attualità

 

 

 

A Pashtun nomad carries one of the smaller lambs back to its flock near Herat in Afghanistan : Foto stock

 

 

 

A man sells dried fruits, nuts and lentils in a market in Herat. : Foto stock

FRUTTA SECCA

 

 

 

The Restored Citadel In Herat, Afghanistan : Foto di attualità

 

 

 

 

A Pashtun nomad with his flock of sheep on open pasture land outside Herat with distant hills just visible : Foto stock

 

 

 

 

The Restored Shahzada Abdul Qasim Shrine In Herat, Afghanistan : Foto di attualità

 

 

 

 

 

AFGHANISTAN-SOCIETY-PEOPLE : Foto di attualità

 

 

 

 

 

AFGHANISTAN-US ATTACK-ENDURING FREEDOM-HERAT : Foto di attualità

 

 

 

 

Italian Soldiers Build Afghan Prison In Herat By Female Engagement Team : Foto di attualità

 

 

 

AFGHANISTAN-LIFESTYLE-PEOPLE : Foto di attualità

 

 

 

 

Friday Mosque in Herat in Afghanistan : Foto stock

MOSCHEA DEL VENERDI’

 

 

 

 

Soldier guarding the Musalla Minarets of Herat : Foto stock

I MINARETI MUSALLA DI HERAT

 

 

 

 

AFGHANISTAN-ELECTIONS-DAILY LIFE : Foto di attualità

 

 

Vastissimo, e ancora in parte sconosciuto, è il patrimonio culturale dell’Afghanistan. A partire dai regni dei Medi e dei Persiani nell’antichità, passando nel corso dei millenni dal dominio dei Greci dopo le conquiste di Alessandro Magno a quello dei Sassanidi, degli Abassidi, dei Ghaznavidi, dei Ghuridi, dei Mongoli, dei Timuridi, dei Moghul, dei Durrani, per giungere alla stagione degli interventi dei russi e degli inglesi nel XIX secolo, alla formazione di un regno durato fino al 1973, e infine al lunghissimo conflitto contemporaneo iniziato nel 1979, in Afghanistan si sono incrociate per millenni etnie, religioni e culture che hanno lasciato testimonianze di grande rilievo.

 

Minaret and Archaeological Remains of Jam (Shahrak): AGGIORNATO 2021 - tutto quello che c'è da sapere - Tripadvisor

MINARETO DI JAM  ( 1194 )– foto tripavisor

 

 

 

AFGHANISTAN Ghor Provincia del XII secolo il Minareto di Jam dettaglio della decorazione sul minareto compresi Kufic iscrizione Foto stock - Alamy

 

 

 

 

http://www.tripblend.com/luogo.php?place_id=47911&lang=it

 

Dei moltissimi esistenti, solo due siti sono per ora iscritti nella Lista del Patrimonio mondiale dell’Unesco. Il primo (2002) è stato il sito del Minareto di Jam, ubicato nella scoscesa valle del fiume Hari-Rud, ad oltre 200 chilometri ad est di Herat, in una zona isolata a quasi 2.000 metri sul livello del mare. Questo straordinario monumento, una vera e propria «torre della vittoria», venne realizzato nel 1194 dal sultano ghuride Ghiyas-od-din (1153-1203) per commemorare la conquista dell’impero.

Il minareto, che rimane tutt’oggi una delle costruzioni in mattoni più alte del mondo, ha un’altezza di 65 metri e una base ottagonale di 9 metri di diametro ed è completamente rivestito di iscrizioni coraniche. La conservazione del monumento ha sempre presentato notevoli difficoltà, sia per la lontananza dalle città, sia per la difficoltà legate al regime torrentizio dei fiumi che si trovano alla sua base, che ne hanno spesso minacciato la stabilità. L’Unesco ha condotto nel corso degli ultimi cinquant’anni numerose campagne di salvaguardia del Minareto (condotte anche dall’architetto italiano Andrea Bruno), e ultimamente la Fondazione Aliph ha erogato all’Unesco un fondo di due milioni di dollari per avviare una campagna di salvaguardia del monumento e degli importanti resti archeologici della zona.

Il secondo sito a essere iscritto nella lista del Patrimonio mondiale (2003) è stato il Paesaggio Culturale e l’archeologia della Valle di Bamyan, gravemente colpito dalle distruzioni dei talebani. Nonostante la perdita dei grandi Buddha, infatti, questo sito rimane la principale testimonianza di più di un millennio di storia (I-XIII secolo) della Battriana, nel corso del quale l’integrazione di diverse influenze culturali (soprattutto greca e indiana) ha dato vita all’eccezionale cultura artistica del Ghandara, di cui i due grandi Buddha (alti rispettivamente 55 e 38 metri) erano la più importante espressione.

Il sito, che costituiva una delle principali tappe della Via della Seta e testimonia quindi anche la migrazione del buddhismo dall’India verso la Cina, è caratterizzato da valli con alte pareti verticali, lungo le quali, dal III al V secolo, venne realizzato dai monaci buddhisti un gran numero di monasteri, cappelle e celle monastiche, spesso connesse da gallerie, dove si trovano dipinti murali e statue del Buddha.

L’importanza del sito ha spinto molti Paesi a offrire sostegno all’opera di restauro e conservazione. L’Italia e il Giappone, in particolare, hanno promosso, in collaborazione con l’Unesco, una serie di importanti programmi, tuttora in corso, di consolidamento delle nicchie dei Buddha, di sviluppo delle capacità tecniche e gestionali e di promozione della qualità della vita delle comunità locali della valle di Bamyan. Anche la Corea del Sud si è impegnata a Bamyan, con il finanziamento della costruzione di un centro culturale, di cui era prevista l’inaugurazione entro il 2021.

Oltre a questi due siti, ve ne sono altri quattro nella «tentative list» del Patrimonio mondiale:  Bagh-e Babur,  il giardino di Babur a Kabul, l’unico giardino di epoca timuride giunto sino a noi, magnificamente restaurato dall’Aga Khan Trust for Culture nell’ultimo decennio; la città storica di Herat, una delle più importanti capitali dei regni abbasidi, poi completamente ristrutturata durante la dinastia timuride nel XV secolo, ricchissima di monumenti tra cui la famosa Cittadella, il complesso del Musalla con il mausoleo di Gawharshad, il mausoleo di Khwaja Abdulla Ansari a Gozargah e la Moschea del Venerdì di epoca Ghuride; la città di Balkh nella regione di Mazar-i Sharif, l’antica Bactria, centro della spiritualità zoroastriana, poi del buddhismo e infine importante centro politico e culturale durante la dominazione araba, patria del grande filosofo Avicenna (980-1037 ) e del poeta Firdusi.

All’interno delle rovine delle sue mura si trovano ancora importanti monumenti come il santuario timuride di Khwaja Abu Nasr Parsa del 1460 e la madrasa di Sayyid Sudhan Quli Khan del XVII secolo. All’esterno, il grande monastero buddista di Nau Bahar e la sua stupa  di Tepe Rustam, oltre alla grande moschea di Noh Gunbad, anche chiamata di Haji Piyada, risalente all’epoca dell’Impero samanide (819-1005), probabilmente la più antica dell’Asia Centrale, restaurata negli ultimi anni dalla dall’Aga Khan Trust for Culture, in collaborazione con la Dafa francese, il World Monuments Fund e l’Associazione Giovanni Secco Suardo (Agss). Anche un importante sito naturale, Band-e Amir, si trova nella «tentative list» dell’Afghanistan.

Si tratta di un parco nazionale nella provincia di Bamyan, nella catena dell’Hindu Kush, caratterizzato da spettacolari formazioni geologiche e da una serie di laghi, famosi per il loro colore blu intenso.

Innumerevoli sono stati in Afghanistan, negli ultimi venti anni, gli interventi di restauro e conservazione del patrimonio, sostenuti da moltissimi progetti internazionali, al punto che oggi si è sviluppata una forte capacità tecnica locale, sostenuta da programmi di formazione che hanno visto anche l’Italia in prima fila, con l’azione dell’Istituto Superiore per la Conservazione ed il Restauro. Nell’insieme, probabilmente il contributo più importante alla conservazione del patrimonio culturale afghano è stato offerto dall’Aga Khan Trust for Culture, che ha condotto un programma intensissimo di restauro dei beni culturali (sono oltre 200 gli interventi realizzati), sempre associando al suo intervento un’importante azione di sviluppo sociale e economico delle comunità locali.

Inoltre, in questi vent’anni, sono stati restaurati molti musei, che costituiscono l’embrione di una infrastruttura culturale nazionale. Il più importante di essi, il Museo Nazionale di Kabul, venne completamente distrutto durante i vent’anni di guerra che precedettero l’arrivo delle forze militari internazionali guidate dagli americani. Ma le sue importanti collezioni, per fortuna, sopravvissero grazie a un’iniziativa condotta, a rischio della vita, dai dirigenti del museo, che nascosero le opere in luoghi che i talebani non furono in grado di scoprire. Anche il patrimonio immateriale ha ricevuto una crescente attenzione da parte del Governo ora deposto, con l’iscrizione nella Lista del patrimonio immateriale dell’Unesco di un elemento comune a tutti i Paesi della regione, la festa di primavera del Nawruz, e la proposta, per il 2022, di alcuni nuovi elementi: lo stile delle miniature Behzad, la danza nazionale Atan e il rubab afghano, il principale strumento musicale della tradizione locale.

Molti progetti di protezione e valorizzazione del patrimonio immateriale sono inoltre stati avviati in collaborazione con i Paesi vicini, nell’ambito di un programma sulla cultura della Via della Seta (2018-21) finanziato dalla Unione Europea, in collaborazione con l’Unesco.

In queste drammatiche settimane, il mondo della cultura si domanda con apprensione che cosa succederà del patrimonio afghano adesso che i talebani sono tornati al potere. Non è difficile ipotizzare che ci possano essere gravi conseguenze sulle capacità di controllo e conservazione degli importanti siti archeologici del Paese. Si è visto, negli ultimi trent’anni, come le guerre in Medio Oriente e in Asia Centrale abbiano prodotto effetti devastanti sul patrimonio, dai danni provocati dall’occupazione di aree archeologiche da parte di gruppi armati, fino alle distruzioni deliberate, ai saccheggi e agli scavi illeciti alla ricerca di tesori archeologici.

 

 

 

La valle di Bamyan in Afghanistan

 

 

 

 

 

Il mausoleo Abd al-Razzaq a Ghazni in Afghanistan

 

 

 

 

Il parco nazionale di Band-e Amir in Afghanistan

 

 

 

il minareto di Jam in Afghanistan. Foto Unesco (Abdul Abassi)

 

 

 

 

 

La moschea di Noh Gunbad, anche chiamata di Haji Piyada, in Afghanistan

 

 

 

 

 

Il santaurio di Khwaja Abu Nasr Parsa a Balkh in Afghanistan

 

 

 

 

2009 Musalla Complex Herat Afghanistan 4112214558.jpg

Gawhar Shad Mausoleum ( Tomb of Baysunghur ), Herat

 

 

 

 

 

Musalla Complex in 2009.jpg

 

 

 

 

Herat Goharshad tomb.jpg

Sven Dirks, Wien – Own work

 

 

 

 

Gawhar Shad Mausoleum (1438): afghanistan

 

 

 

 

 

 

A shrine to a brave Afghan woman - Review of Gawhar Shad Madrasa and Mausoleum, Herat, Afghanistan - Tripadvisor

 

 

 

 

 

detail of painted interior of the mausoleum of Gawhar Shad, Herat, Afghanistan Stock Photo - Alamy

 

 

 

 

 

Madrasa Afghanistan High Resolution Stock Photography and Images - Alamy

 

 

 

 

detail of painted interior of the mausoleum of Gawhar Shad, Herat, Afghanistan Stock Photo - Alamy

I DIPINTI DELL’ INTERNO DEL MAUSOLEO GAWHAR SHAD

 

 

 

I Buddha di Bamiyan in Afghanistan distrutti dai talebani nel marzo 2001

Condividi
Questa voce è stata pubblicata in GENERALE. Contrassegna il permalink.

1 risposta a FRANCESCO BANDARIN, Quale futuro per il patrimonio dell’Afghanistan? –IL GIORNALE DELL’ARTE, 21 agosto 2021

  1. ueue scrive:

    Credo che la storia dell’Afganistan si incroci con la storia del mondo occidentale molto di più di quanto si pensi ( e non solo per la spedizione di Alessandro Magno). Salvare le testimonianze di questa storia millenaria penso che sia un dovere di tutta la comunità internazionale. Segnalo un agile libro, su questo tema, di Marika Guerrini, “Afganistàn. Profilo storico di una cultura”, Jouvence, 2006.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *