1945. Otto giorni a maggio
Dalla morte di Hitler alla fine del Terzo Reich.
L’ultima settimana della Seconda Guerra Mondiale
di Volker Ullrich
- Editore:Feltrinelli
- Collana:Storie
- Data uscita: 28/05/2020
Gli otto giorni che passano tra il suicidio di Hitler e la resa della Germania sono tormentati da due chimere: la catastrofe violentissima della fine dell’impero e l’invasione simultanea di due nemici – con i russi più minacciosi degli alleati atlantici. Diari e lettere danno una voce ai numerosi protagonisti di questa raffica di eventi: Hitler e Eva Braun, i Goebbels, il nuovo Führer Dönitz, che fa durare la guerra una settimana in più, fino a Marlene Dietrich, che cerca sua sorella a Bergen-Belsen travestita da ufficiale americano. Un grande racconto romanzesco della settimana più importante della Seconda guerra mondiale. Gli ultimi giorni sono quelli decisivi: la spartizione della Germania tra Oriente e Occidente sarà la stessa che dividerà il mondo. La Guerra fredda è già cominciata. Con il nuovo libro di Volker Ullrich si rivivono gli orrori della guerra e il paradosso del suo epilogo: non è più possibile distinguere tra vittime e carnefici. È una storia che ci riguarda da vicino, perché su quella distruzione comincia la nostra epoca. Come dice Maximilien Aue, il protagonista delle Benevole: “Non mi sono più mosso prima della parola ‘fine’.”
nota:
Le benevole (Les bienveillantes) è un romanzo dello scrittore franco-americano Jonathan Littell, pubblicato nel 2006.
Scritto originariamente in francese, il romanzo narra in prima persona la storia di Maximilien Aue, un ex ufficiale delle SS attivamente coinvolto nell’Olocausto.
In Italia è pubblicato da Einaudi, 2008
NOTIZIE :
https://it.wikipedia.org/wiki/Le_benevole
Volker Ullrich ( Celle, Bassa Sassonia, 1943 )
OPERE IN ITALIANO DELLO STORICO
HITLER. L’ASCESA 1889-1939
ULLRICH VOLKER
Mondadori, 2019
L’opera di Volker Ullrich, completa ed esaustiva biografia del Führer, di cui “L’ascesa” costituisce il primo volume, si propone di affrontare questi e altri interrogativi a partire dalla sterminata bibliografia sull’argomento, ma attingendo anche a documenti conservati nei numerosi archivi tedeschi e divenuti accessibili solo di recente. Atti ufficiali del Terzo Reich, diari e testimonianze di funzionari del Partito nazista, nonché gli scritti e i discorsi inediti di Hitler risalenti al periodo 1925-1933 consentono di arricchire di nuovi dettagli la sorprendente parabola politica del Führer e la sua personalità, con le sconcertanti contraddizioni e incongruenze che la caratterizzano. La figura del dittatore emerge nella sua innegabile complessità, perché, lungi dall’essere un uomo senza qualità, Hitler possedeva molti talenti, primo fra tutti quello di saper sommuovere gli istinti della massa. Ullrich ci svela l’uomo dietro il personaggio pubblico e apre scorci illuminanti sulla sua vita privata, sui suoi rapporti con la famiglia, le donne e i fedelissimi: dall’infanzia ai fallimenti giovanili a Vienna, dalle esperienze durante la prima guerra mondiale fino all’ascesa a capo del partito. La «normalizzazione del mostro», anziché contribuire ad assolverlo e a minimizzare i suoi crimini, lo rende ancora più inquietante, perché illustra passo dopo passo e con ineguagliabile chiarezza il percorso attraverso il quale la mente di un uomo comune è arrivata a concepire la più scellerata e inspiegabile tragedia della storia.
Napoleone. La vita, le imprese, i retroscena dell’ascesa e della caduta di uno dei personaggi più affascinanti e controversi della storia
di Volker Ullrich edito da Newton Compton, 2007
IL MANIFESTO/ ALIAS DOMENICA DEL 28 GIUGNO 2020
https://ilmanifesto.it/volker-ullrich-il-formicaio-degli-smarriti-dopo-la-morte-di-hitler/
ALIAS DOMENICA
Volker Ullrich, il formicaio degli smarriti, dopo la morte di Hitler
Storia tedesca. Dal vuoto per il tramonto di un universo ideologico, al dolore per la Germania umiliata, dal sollievo per la fine della guerra, al timore delle vendette: la fine del Terzo Reich in «1945. Otto giorni a maggio»
Yasumasa Morimura, «A Requiem Laugh at the Dictator», 2007
( Una risata da requiem al dittatore )
FRANCESCO BENIGNO ( Palermo, 1955 )
Francesco Benigno, storia moderna all’Università Normale di Pisa
EDIZIONE DEL 28.06.2020
PUBBLICATO28.6.2020, 0:46
AGGIORNATO25.6.2020, 18:59
Ci sono momenti in cui il mondo con il quale ci si sente in consuetudine tracolla e un nuovo ordine si profila, nel vuoto tra il non più e il non ancora, un tempo di nessuno in cui coesistono sensazioni e sentimenti contraddittori, di sbigottimento, di disillusione, di rabbia, di incertezza, e soprattutto di paura. Uno di questi momenti coincise, in Germania, con quei tremendi otto giorni che separarono la morte di Hitler, il 30 aprile del 1945, dall’8 maggio seguente, data della resa incondizionata della Wehrmacht e della fine della guerra.
Ora, uno storico tedesco, Volker Ullrich, specialista del nazismo e biografo del Führer, li racconta con grazia in un libro impegnato, disilluso e godibile: 1945. Otto giorni a maggio Dalla morte di Hitler alla fine del Terzo Reich (traduzione di Elena Sciarra, Valentina Tortelli, Marina Pugliano, Feltrinelli, pp. 335, € 22,00).
Ullrich conduce il lettore per mano in un inferno ricolmo di violenza ma anche in una primavera di speranza, raccontando quei giorni tremendi in successione, uno dopo l’altro, per quel che furono, e cioè un universo caotico di drammi e di illusioni, di distruzioni e di nuovi inizi. Il libro tocca così un’infinità di vicende individuali, soffermandosi su quelle di figure famose: da Konrad Adenauer, che diventa sindaco di Colonia a Marlene Dietrich, che ritrova la sorella a Dachau, da Kurt Schumacher, che rifonda la SPD a Willy Brandt che rifugiatosi in Svezia studia da leader, da Walter Ulbricht che insieme ai suoi compagni, il «gruppo Ulbricht», riorganizza il partito comunista a Berlino, a Werner Von Braun, l’inventore del missile V2, che si fa assumere dagli americani e si trasferisce in Texas per lavorare al progetto Apollo.
Quei giorni furono soprattutto attraversati da drammi collettivi enormi: il libro dedica spazio alle cosiddette Displaced persons, i senza patria, profughi sradicati che migrarono in massa da est verso ovest, come «un gigantesco formicaio». Proseguirono poi, certo, in quei giorni le marce della morte, gli spostamenti forzati di prigionieri dai campi di concentramento a seguito di un ordine di Himmler della metà di aprile che ingiungeva di non lasciare prigionieri nei campi all’arrivo degli alleati, provocando ondate di derelitti falcidiati dalle malattie, dall’inedia e dalla fame.
E ci furono le violenze compiute dai vincitori, meno efferate di come sostenne la propaganda nazista, tra esse soprattutto gli stupri di massa compiuti dai soldati dell’Armata Rossa, specie a Berlino. La narrazione dei fatti accaduti viene intervallata, nel testo di Ullrich, dalle percezioni dei contemporanei che vissero quella transizione dolorosa con sentimenti vivi e contrastati, lasciandone traccia in diari, lettere, ricordi. Ne risulta così un testo aperto a più letture, attraversato dall’aspetto caotico e irrisolto del mondo che vuole raccontare.
Gerarchi divisi
A dominare il tono sono le impressioni generali, la prima delle quali riguarda la rottura completa della routine quotidiana. Una berlinese, il 7 maggio, annotava: «è così strano vivere senza giornali, senza calendario, senza ora esatta, senza l’ultimo del mese», testimoniando l’esperienza di un mondo sospeso, «un tempo senza tempo, che corre via come l’acqua». Il libro racconta così l’alternanza, in quegli otto giorni, di sentimenti contraddittori, il senso di vuoto per un universo ideologico tramontato, il dolore per le perdite subite e la patria umiliata, la gioia di essersi salvati, il sollievo per la fine della guerra, la paura delle vendette dei vincitori.
Accanto allo smarrimento generale c’è una dimensione più specifica, quella politica. Già prima della morte del Führer, nel vuoto di potere creatosi nell’epilogo del regime, gli alti gerarchi nazisti avevano cominciato a dissentire tra loro: in generale, l’idea hitleriana dell’eroica disfatta, sostanziata nel Nerobefehl, il cosiddetto «Editto di Nerone» del 19 marzo, che stabiliva la distruzione delle infrastrutture tedesche al fine di impedire il loro uso da parte delle forze alleate, non fu rispettato. Hitler pensava che occorresse distruggere tutto e lasciare in eredità ai posteri solo memorabili rovine, che funzionassero da esempio per gli ariani a venire, in una storia pensata come scontro ciclico tra le razze.
Nel suo testamento, gerarchi come Göring e Himmler, colpevoli di avere tentato di proporre all’Unione Sovietica una pace separata, erano stati esclusi da ogni incarico, mentre per la successione come capo del nuovo governo insediatosi nella cittadina di Flensburg, sul Mar Baltico, veniva indicato l’ammiraglio Karl Dönitz, per il quale occorreva cedere le armi sul fronte occidentale ma continuare a combattere contro la Russia sovietica per prendere tempo e permettere a soldati e civili del fronte orientale di ritirarsi dietro le linee alleate, prima che una pesante «cortina di ferro» si abbattesse sull’Europa impedendo di scorgere il loro annientamento. L’espressione, già usata in precedenza dalla propaganda nazista, sarebbe poi, come si sa, stata ripresa da Churchill, prendendo un senso in parte diverso e divenendo l’espressione più emblematica della guerra fredda.
Alternative inammissibili
La divergenza di opinioni su come arrendersi, evidente in quei giorni, si intersecava col lacerante sconcerto diffusosi tra i tedeschi. Per molti di loro, che avevano ceduto al fascino carismatico di Hitler e del nazismo, una volta spezzato l’incantesimo, vivere altrimenti era difficilmente immaginabile. Prima di suicidarsi assieme al marito e ai sei figli Magda Goebbels aveva scritto: «Il mondo che verrà dopo il Führer e il nazionalsocialismo non è degno di essere vissuto, perciò ho portato qui anche i bambini: sono sprecati per la vita che verrà dopo di noi». Non lo pensavano solo le gerarchie naziste: nella cittadina di Demmin, nella Germania nord-orientale, nei giorni precedenti l’occupazione sovietica si suicidarono ventuno persone, poi, una volta giunta l’Armata rossa, più di quattrocento, sparandosi, avvelenandosi o gettandosi legati a delle pietre nel Peene, il fiume che la attraversa.
Lo fecero, certo, temendo la ritorsione dei soldati sovietici contro i crimini attuati durante l’Operazione Barbarossa, ma anche perché lo sfacelo in cui si precipitò (Hitler morto – combattendo, secondo il comunicato nazista, suicida in realtà – Amburgo e Monaco in mano agli alleati, Berlino accerchiata dai sovietici, l’esercito arresosi in Italia, Austria, Danimarca, Germania nord-occidentale) aveva oltrepassato la misura creando una sanguinosa ferita interiore, e facendo perdere ogni residua fede e ogni speranza.
Guai a vivere in tempi interessanti!