immagine dall’Economist del 13 agosto 2021 –in un servizio sulle donne afgane che trovi nel link sotto:
1.
REPUBBLICA DEL 14 AGOSTO 2021
Fatima, unica guida turistica donna dell’Afghanistan: “I talebani uccideranno le ragazze come me”
di Valentina Ruggiu
Fatima, guida turistica afgana
“Siamo tutto ciò che odiano” dice, e racconta la sua paura per l’arrivo dei fondamentalisti islamici
15 AGOSTO 2021
È una calda giornata d’agosto quando a Fatima squilla il telefono. A Herat i talebani sono alle porte e per il consiglio di sicurezza cittadino lei potrebbe essere uno dei primi obiettivi. È una donna, di etnia Hazara, una studentessa universitaria che lavora con gli stranieri: è la prima e unica guida turistica femmina dell’Afghanistan. L’invito è chiaro: deve scappare. “Sono tutto ciò che i talebani odiano, se mi trovano mi ammazzano – dice la 22enne in videochiamata da Kabul, dove è arrivata una settimana fa per cercare rifugio e da cui si prepara presto a partire – Stanno arrivando anche qui. Ho paura e temo per i miei genitori rimasti a Herat. Se scoprono che hanno allevato una figlia come me o li uccidono subito o ne fanno un bersaglio fino a quando non mi consegno”.
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di Vera Mantengoli 13 Agosto 2021
L’unica soluzione è lasciare il Paese, dice, magari per raggiungere il Pakistan. “Le cose stavano migliorando qui, anche per le donne. Non avrei mai pensato che sarebbero potuti tornare, che avrebbero potuto influenzare la mia vita e i miei sogni costringendomi ad abbandonare tutto ciò che amo e per cui ho combattuto”. Cresciuta in un ventennio in cui il potere degli “studenti coranici” era stato relegato a zone circoscritte del Paese, Fatima ha sfruttato quella leggera brezza di cambiamento che stava attraversando l’Afghanistan per rovesciare la sua sorte e quella di altre donne. “Ho lottato contro la mia famiglia per far loro accettare che non mi sarei sposata a 14 anni come avevano fatto le mie sorelle e i miei fratelli, ma che avrei studiato, lavorato e aiutato altre ragazze ad emanciparsi”.
Un post di Fatima su Instagram La sua prima battaglia già a otto anni, quando, lavorando come pastora nel cuore dell’Hazarajat, patria degli Hazara, l’etnia dagli occhi a mandorla spesso bersaglio degli estremisti islamici, ha imparato di nascosto le lettere dell’alfabeto portando gli animali a pascolare dove i maschi facevano lezione. Ha strappato le nozioni al vento fin quando non si è potuta sedere con gli altri studenti grazie a un accordo che la Croce Rossa aveva fatto con gli abitanti della sua città: “Pacchi alimentari in cambio dell’istruzione delle donne”.
Poi nel 2009 il trasferimento con la famiglia a Herat, dove la povertà le ha precluso l’istruzione fino a quando in città non è arrivata una scuola d’inglese gratuita per rifugiati interni. La stessa che tre anni dopo le ha offerto il primo lavoretto: insegnante d’inglese per 50 dollari al mese. Soldi che le hanno permesso di continuare a studiare e di entrare nella facoltà di giornalismo dell’università di Herat.
Gli ultimi giorni di Kabul
di Francesca Mannocchi 14 Agosto 2021
La vera svolta però è arrivata con Facebook, dove Fatima aveva iniziato a spiegare la sua città su un gruppo dedicato agli appassionati di viaggio. È così che sono arrivati i primi ingaggi ed è stato poi con il passaparola che sono arrivati gli altri. Nel 2020 infine la chiamata per collaborare con due agenzie di viaggio specializzate in rotte estranee al turismo di massa.
“Quando ho iniziato – racconta – sapevo che sarebbe stata dura. Ho litigato per anni con la mia famiglia prima di riuscire a farle accettare il mio lavoro. Per strada sono stata attaccata verbalmente e fisicamente: parolacce e lanci di pietre. Ma non ho mai perso di vista i miei sogni: fondare la prima agenzia turistica di sole donne, finanziare progetti per l’emancipazione femminile, diventare una giornalista e viaggiare per il mondo. Ora so che dovrò essere ancora più forte: mi sembra un incubo da cui non riesco a svegliarmi, ma voglio rimanere ottimista”.
Sul fronte Kabul con le milizie anti talebani
di Francesca Mannocchi 13 Agosto 2021
Il 10 agosto Fatima ha pubblicato un lungo post su Instagram per congedarsi dai suoi follower. “Sono tornati – si legge – non potrò più mostravi le nostre meraviglie. Grazie a chi ha ascoltato la mia voce. Beati voi che non vivete in Afghanistan, che non dovete temere che un talebano vi ammazzi. Continuate a inseguire i vostri sogni e a viaggiare. Se rimarrò viva ci rivedremo alla fine di questo attacco, perché voglio credere che presto avremo la pace”. Firmato: “Una donna afghana destinata a lottare”.
2.
REPUBBLICA DEL 15 AGOSTO 2021
Nell’ospedale di Emergency il dolore per le donne di Kabul: “Con i talebani al potere le colleghe afghane non lavoreranno più”
di Massimo Lorello
Il racconto di Ornella Spagnolello, medica dell’area di emergenza: “Hanno talento e grande umanità ma dovranno fermarsi, ormai ne sono certe”
Le ragazze di Kabul contano i giorni, lo fanno dall’inizio dell’estate. L’ultima estate da donne libere. I talebani stanno riprendendo il controllo della città e addio lavoro, addio smalto sulle unghie, addio risate in pubblico. “Di tutto questo parliamo nello spogliatoio. Pensi che in altri tempi c’era un’infermiera che là dentro improvvisava passi di danza. Ora non lo fa più. Sembra una vita fa”.
Ornella Spagnolello, 32 anni, siciliana di Carlentini, da maggio è nello staff medico dell’ospedale di Emergency a Kabul e, da donna, ha un motivo in più per vivere con preoccupazione il cambiamento che, da qui a pochissimo, travolgerà l’intero paese rimasto senza la protezione dell’Occidente.
“L’unica speranza – dice – è che la città passi ai talebani senza altro spargimento di sangue. Ma ogni cosa è un’incognita. Nel mio gruppo lavorano quattro colleghe italiane e una sudafricana. Anche noi non sappiamo bene cosa ci sarà consentito fare in futuro”.
Le loro colleghe afghane invece il proprio percorso sono certe di conoscerlo bene.
Le più giovani lo hanno appreso dalle madri. Shakabia, con i suoi quarant’anni, il regime talebano lo ha conosciuto in prima persona quand’era bambina. La sua famiglia è scappata in Pakistan, dentro un campo profughi ha iniziato a studiare fino a laurearsi in medicina. “Shakabia è molto brava – racconta Ornella Spagnolello – ma sa che non lavorerà più. E’ un destino che sa di dovere accettare. Ne abbiamo parlato durante una pausa, mentre prendevamo il tè. Ha due figli e un marito disoccupato. Le ho chiesto se proverà a partire. Mi ha risposto che non vuole lasciare il suo paese, che non vuole più tornare profuga. E vada come vada”.
Oltre a Shakabia, in sala operatoria con Ornella Spagnolello entrano quattro afghane considerate affidabili anzi, bravissime. Tre intubano i pazienti e li gestiscono per tutto l’intervento, la quarta prepara i ferri. Ma lo faranno ancora per poco, è la previsione di tutti ormai.
La notizia della morte di Gino Strada ha inevitabilmente seminato sgomento nella squadra di Emergency anche se, seguendo il primo insegnamento del fondatore, tutti hanno continuato a fare il loro lavoro con la stessa energia di sempre. “Resistiamo e combattiamo – sottolinea Spagnolello – ma siamo nel mezzo di un grande cambiamento. La priorità, come ci ha insegnato Gino Strada, resta la cura dei pazienti e io vorrei, tutti vorremmo, continuare a curarli qua, come abbiamo sempre fatto”.
A Kabul nei tre programmi realizzati da Emergency (l’ospedale, i posti di primo soccorso e l’assistenza sanitaria ai detenuti) operano 46 donne e 276 uomini.
All’ospedale lavorano 29 donne e 185 uomini, mentre nello staff non sanitario prestano servizio 12 donne e 151 uomini. All’ospedale di Anabah, dov’è stato realizzato un reparto maternità, l’equipe sanitaria è composta da 174 donne e 114 uomini, il personale non sanitario è invece formato da 49 donne e 171 uomini. Infine, l’ospedale di Lashkargah può contare su 17 donne e 144 uomini nello staff sanitario, 13 donne e 118 uomini nel settore logistico e amministrativo.
In Afghanistan solo le mediche e le infermiere possono visitare le pazienti. Il rischio è che, diminuendo il personale femminile le donne rinuncino a curarsi. Non una novità, piuttosto un ritorno al passato. “Ecco, io non voglio nemmeno immaginarlo, è la cosa che mi fa più male”, dice Ornella Spagnolello. “Qui ho visto persone prodigarsi per fare sembrare bello quello che oggettivamente era spaventoso. Come Benigni ne “La vita è bella” quando fa credere al figlio che il campo di concentramento sia un parco giochi. Abbiamo visto tante donne e tanti uomini sperare in una vita migliore mentre con lo straccio toglievano il sangue dal pavimento”.
Il 3 agosto, poche centinaia di metri oltre l’ospedale, c’è stato un attentato. “Io ero tornata a casa da poco e ho temuto che la bomba avesse colpito proprio Emergency”, racconta Spagnolello. “Il cielo si è colorato di rosso. Per la prima volta mi sono sentita nel mirino. In un istante eravamo tutti fuori dalle nostre camere”. La nuvola di fumo sembrava alzarsi proprio dall’ospedale. “Ho pensato: hanno ucciso i pazienti, i miei colleghi, i miei amici. Invece, l’obiettivo centrato era la casa di un politico locale. Sono corsa in ospedale mentre sentivamo tante raffiche di mitra. Davanti all’ingresso si era radunato un capannello di uomini per protestare ma non abbiamo capito contro chi o contro cosa. Non avevamo il tempo di capirlo”. Erano già arrivate quaranta persone colpite dall’esplosione. “Non tutte vive”.
La condizione delle donne, con la vittoria dei talebani, diventa, insieme alla altre tragedie di morti, mutilati, povertà, malattie, l’aspetto più crudele di una dottrina insensata e stupida. Il burca fa veramente ribrezzo, come se si volesse nascondere in un fagotto metà del genere umano.