GLORIA PAIVA, 1. La variante religiosa del Brasile – 2. Nei villaggi indigeni i missionari no-vax colpiscono ancora- IL MANIFESTO DEL 21 LUGLIO 2021

 

 

 

IL MANIFESTO DEL 21 LUGLIO 2021

https://ilmanifesto.it/la-variante-religiosa-del-brasile/

 

La variante religiosa del Brasile

 

Covid-19. «Dio è la cura». Tra le insidie che il vaccino deve superare nel Paese del negazionista Bolsonaro c’è l’ostracismo “mediatico” delle potenti chiese evangeliche e dei cattolici anti-Bergoglio

 

 

Maceio, 21 giugno, 500 mila candele per ricordare le altrettante vittime brasiliane del Covid Maceiò, 21 giugno, 500 mila candele per ricordare le altrettante vittime brasiliane del Covid 

© Ap

 

Glória Paiva

EDIZIONE DEL  21.07.2021

PUBBLICATO20.7.2021, 23:59

 

Vaccinare la popolazione brasiliana contro il Covid-19 è un’impresa colossale, che affronta i tipici ostacoli logistici di un paese di estensione continentale, nonché i tanti ritardi e rifiuti del governo Bolsonaro. Qualche settimana fa, sulla stampa brasiliana, è emerso un ulteriore e potente impedimento: la campagna di disinformazione, panico e fake news diffusa da certi gruppi fondamentalisti religiosi.

 

In un Paese dove oltre 543mila persone sono morte per il Covid-19 (e dove un terzo della popolazione si dichiara evangelica), un sondaggio dell’Istituto Datafolha effettuato a maggio mostra che solo il 20% degli evangelici ha dichiarato di essersi vaccinato, contro il 31% dei cattolici e il 25% della media nazionale al momento dell’indagine (attualmente il 33,21% dei brasiliani ha già ricevuto la prima dose e l’11,95% è totalmente immunizzato). L’esitazione di questa parte della popolazione a farsi vaccinare è stata attribuita da molti esperti all’influenza dei leader religiosi.

 

NEI PRIMI MESI della pandemia, molte personalità pubbliche religiose (oltre allo stesso presidente Jair Bolsonaro) hanno screditato pubblicamente la gravità del fenomeno pandemico, definendo il Covid-19 una «piccola influenza» e utilizzando il termine «corona-dubbio» coniato dal pastore evangelico Edir Macedo, capo della Igreja Universal do Reino de Deus, una delle più grandi del Brasile. Come antidoto, ha detto Macedo sui suoi canali social, dovrebbe prevalere solo la «corona-fede»: Dio è la cura.

 

Discorsi del genere si sono modificati nel corso dei mesi. Ora, il tono è di obiezione al vaccino, critica all’isolamento sociale e alla chiusura dei templi e difesa del cosiddetto trattamento precoce, un cocktail di farmaci che comprende idrossiclorochina, azitromicina, ivermectina e nitazoxanide, oltre agli integratori vitaminici. L’uso del cocktail, la cui efficacia non è riconosciuta né scientificamente provata, è stato caldeggiato da Bolsonaro sin dall’inizio della pandemia ed è sostenuto anche da Macedo e da un altro noto leader evangelico, Silas Malafaia, capo della chiesa Assembleia de Deus Vitória em Cristo.

 

Secondo la ricercatrice e docente di sociologia all’Università Federale Fluminense (Uff), Cristina Vital, nei discorsi che negano la scienza e i rischi del coronavirus si inseriscono diversi elementi. «In certi gruppi fondamentalisti si pensa che la modernità sia un segno della fine dei tempi, del ritorno di Cristo. Ogni volta che si verificano fenomeni come una pandemia, vengono letti come parte di questo scenario», dice. Dall’altro c’è una motivazione economica: le più grandi chiese evangeliche del Brasile sono anche grandi conglomerati mediatici e movimentano milioni di reais, pagati dalla decima dei fedeli. «Molti di loro sono pastori e imprenditori. Hanno case editrici, canali televisivi e radio. La chiusura delle chiese minaccia questa struttura, il cui mantenimento ha un costo enorme», osserva Vital.

 

IL DISCORSO DELLA NEGAZIONE, tuttavia, non è esclusivo dei gruppi evangelici. Un canale YouTube della tv Nossa Senhora de Fátima, che non riconosce papa Francesco, afferma che l’attuale Chiesa è «consacrata al diavolo». Con 200mila follower, il canale passa un’enorme quantità di video presentati dal “Professore” Emílio. Secondo lui «nelle chiese bergogliane l’ostia ha il vaccino dentro».

 

Nel gennaio di quest’anno, il prete Elenildo Pereira, i cui servizi vengono trasmessi in tutto il Brasile sul canale televisivo cattolico Canção Nova, ha predicato contro l’uso del vaccino durante una messa. «Finché il vaccino non supererà tutti i test possibili non lo accetterò. Dopotutto, come questo prodotto mette a rischio la vita delle persone?».

 

Predicazioni come queste sono state respinte dalla Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile (Cnbb) e da realtà come i collettivi Padres da Caminhada e Padres contra Fascismo, che hanno diffuso una lettera chiedendo alle autorità cattoliche di agire. Secondo il prete Geraldino Proença, membro di uno dei collettivi, alcuni sacerdoti «difendono l’attuale presidente e negano la storia, la scienza. Erano contrari alla chiusura delle chiese e favorevoli alla creazione dell’immunità di gregge. Fanno eco al discorso di Bolsonaro nelle loro omelie», riassume.

 

La negazione della scienza, secondo Rodrigo Coppe, storico e professore di Scienza della religione alla Pontificia universidade católica (Puc) del Minas Gerais, è un aspetto delle cosiddette guerre culturali, fenomeno che si è verificato negli Stati uniti dagli anni Sessanta in poi e che ha anche attecchito in Brasile. «Quando gruppi come i neri, le donne e la popolazione Lgbt+ iniziano a lottare per espandere i propri diritti civili, un altro segmento reagisce negativamente», spiega.

 

IN BRASILE, QUESTA ONDATA è stata particolarmente forte dopo le manifestazioni del 2013, che inizialmente chiedevano una riduzione del prezzo del trasporto pubblico «ma che hanno presto rivelato l’impennata di un conservatorismo morale e sociale» che spesso si collega ai discorsi estremisti religiosi, osserva Coppe.

Inoltre, i dubbi generati dalla diffusione di fake news si rafforzano con la posizione del presidente, avverte la ricercatrice Vital. Ricorda che, all’inizio della pandemia, c’è stata una significativa sospensione delle attività e che, dopo i vari pronunciamenti di Bolsonaro contro l’isolamento sociale, il numero di casi e di morti è cresciuto in modo esponenziale. «Dopo un anno di pandemia, le persone sono ancora più resistenti all’adozione di misure protettive. Il fatto che Bolsonaro sia contrario all’isolamento, che non indossi la mascherina, è in gran parte responsabile di questi dubbi sui vaccini e della scarsa pratica di prevenzione del contagio», conclude.

 

 

IL MANIFESTO DEL 21 LUGLIO 2021

https://ilmanifesto.it/nei-villaggi-indigeni-i-missionari-no-vax-colpiscono-ancora/

 

 

Nei villaggi indigeni i missionari no-vax colpiscono ancora

Brasile. A rischio anche le popolazioni incontattate dell’Amazzonia

Un membro della comunità Kayapo a Novo Progresso (Parà)Un membro della comunità Kayapo a Novo Progresso (Parà)

© Ap

 

Glória Paiva

EDIZIONE DEL 21.07.2021

PUBBLICATO  20.7.2021, 23:59

 

I territori indigeni brasiliani hanno una popolazione di 517 mila persone (Ibge, 2010). Fra questi, oltre 400mila hanno più di 18 anni e rientrano nel programma ufficiale di vaccinazione. Tra questa popolazione, la campagna negazionista scatenata dai religiosi si è rivelata particolarmente pericolosa: sono sempre più frequenti le segnalazioni di interi villaggi che hanno rifiutato il vaccino, influenzati dai missionari che, dall’inizio della colonizzazione, hanno continuato nel loro intento evangelizzatore per «conquistare le anime» degli indigeni.

 

NEL VILLAGGIO della tribù Arara nella regione dello Xingu, Pará, delle 60 persone che potevano essere immunizzate, poco più della metà lo hanno voluto fare, come racconta al manifesto Luciano Pohl, responsabile dei popoli indigeni isolati nel Coordinamento delle organizzazioni indigene dell’Amazzonia brasiliana (Coiab). «Le autorità sanitarie ci hanno provato almeno tre volte e il numero è rimasto basso. Nell’Alto Xingu (nord del Mato Grosso), interi villaggi si sono rifiutati», racconta Pohl. Che riferisce anche di aver avuto accesso a degli audio di WhatsApp in cui i pastori delle chiese evangeliche locali dicevano agli indigeni che il vaccino gli avrebbe fatto male e che «solo Dio li potrebbe salvare».

 

UN ARTICOLO FIRMATO dall’antropologo Miguel Aparicio per l’Osservatorio per i diritti umani dei popoli indigeni isolati (Opi) sostiene che la campagna di disinformazione si diffonde attraverso file audio e video che girano sulle applicazioni telefoniche, con frammenti di testi e discorsi di leader come il pastore Silas Malafaia e altri, sui supposti effetti patogeni. «Il vaccino fa venire il cancro», «impianta un chip attraverso il quale i cinesi ti controlleranno», «gli indios sono cavie per testare il vaccino dei bianchi» sono alcuni dei messaggi diffusi tra le popolazioni indigene in Ceará, Bahia e Mato Grosso do Sul.

 

La mancata vaccinazione di queste comunità le rende ancora più vulnerabili. La maggioranza di questi villaggi ha poco o nessun accesso ai servizi di emergenza; molti di loro si trovano in località il cui accesso è possibile soltanto dopo lunghissimi viaggi in barca; per altro, hanno un’aspettativa di vita inferiore. E molte tribù sono anche i vicini più prossimi delle cosiddette popolazioni isolate – cioè, che non hanno mai avuto contatti rilevanti con altre popolazioni.profilo Per i popoli isolati, che hanno un  epidemiologico ancora più delicato, una semplice influenza può decimare un’intera comunità.

 

ANTENOR VAZ, CONSULENTE internazionale sulle metodologie per le popolazioni indigene isolate, sostiene che, per proteggere le 114 popolazioni isolate individuate in Brasile, è fondamentale creare barriere sanitarie e cordoni di isolamento, in pratica, ridurre la circolazione delle persone in quelle zone e vaccinare il più possibile le popolazioni che li circondano.

 

Secondo l’Unione dei popoli indigeni del Vale do Javari (Univaja), in Amazonas, una delle regioni con la più alta concentrazione di popolazioni isolate, lo scorso anno, i missionari hanno cercato più volte di entrare nella regione per raggiungere questa gente. «Il loro obiettivo era impedire agli indigeni di farsi vaccinare», riferisce Paulo Kenampa, coordinatore dell’Univaja. Questi gruppi normalmente operano attraverso la cooptazione di giovani studenti evangelizzati che si spostano tra i villaggi, spiega.

 

I CASI DI COVID-19 tra le popolazioni indigene, finora, sono arrivati a 51.189 e hanno già ucciso 740 persone, secondo il ministero della Salute (dati aggiornati al 19 luglio. Le organizzazioni indigene sottolineano che il numero è sottostimato e che più di 1.100 indigeni sarebbero già morti per il virus.

 

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