Seydou Keïta (Bamako, 1921 – Parigi, 21 novembre 2001) è stato un fotografo maliano.
PER CHI E’ CURIOSO E AMA LEGGERE, LA STORIA DI UN VIAGGIO A BAMAKO BEN RACCONTATA
https://cst.unibg.it/sites/cen06/files/mali_2005.pdf
Seydou Keyta nasce intorno al 1921 a Bamako, Mali. Comincia ad appassionarsi alla fotografia quando, nel 1935, uno zio di ritorno da un viaggio in Senegal gli regala un rullino da otto pose e la sua prima macchina fotografica, una Kodak Brownie Flash (6×9). Le sue prime fotografie erano in bianco e nero (tecnica che sceglie di utilizzare per tutta la sua carriera) e ritraevano parenti, amici e vicini di casa. Per alcuni anni Keita continua a lavorare sia come falegname che come fotografo.
Lo sviluppo dei suoi primi scatti avviene nei laboratori di Pierre Garnier e di Mountaga a Bamako, dove impara egli stesso i processi dello sviluppo. In quel periodo a Bamako erano presenti quattro fotografi dediti al ritratto: Issouf, Boundyana, Mountaga e Keita (Malick Sidibè, allievo di Keita, giungerà a Bamako soltanto in seguito).
Nel 1949 riesce finalmente a dedicarsi completamente alla sua passione, e apre il suo studio fotografico a Bamako-Koura (Nuova Bamako), dove lavorerà fino alla fine degli anni settanta e acquista anche nuove apparecchiature fotografiche, tra cui una nuova macchina che gli consente di effettuare immagini di formato più grande.
Da questo momento in poi la sua carriera sarà caratterizzata da un’intensa produzione fotografica.
La tecnica usata prevalentemente da Keita per lo sviluppo fotografico è quella della gelatina e dei sali d’argento, che permette un passaggio netto dal bianco a nero, donando nitidezza e contrasti molto netti alle immagini.
Nelle sue immagini, cerca di immortalare i soggetti fotografati in scenari particolari rappresentativi della cultura e del modo di vivere africani. Le figure vengono spesso ritratte come modelli ideali per la collettività.
Grazie alla sua fama di ritrattista, dal 1962 al 1977 lavora come fotografo per la sicurezza nazionale del nascente Stato indipendente del Mali.
SEGUE:
https://it.wikipedia.org/wiki/Seydou_Ke%C3%AFta_(fotografo)
VOGUE.IT 4 APRILE 2018
https://www.vogue.it/fotografia/news/2018/04/04/seydou-keita-bamako-portraits-mostra-foam-amsterdam
La mostra al FOAM di Amsterdam
Rica Cerbarano
I ritratti di Seydou Keïta hanno un fascino senza tempo. Impossibile non riconoscerli, difficile dimenticarsene. Sempre e comunque attuali, tanto che il FOAM di Amsterdam decide di dedicare un’intera retrospettiva al lavoro del fotografo africano: Seydou Keïta – Bamako Portraits inaugura il 5 aprile e si inserisce nel ciclo di mostre dedicate ai photo studios che l’istituzione olandese organizza dal 2006, nell’ambito di un interesse crescente verso la fotografia vernacolare.
A posteriori, ora che il nome di Seydou Keïta è conosciuto in tutto il mondo, sembra strano considerare il suo lavoro all’interno di questa categoria: per definizione infatti, vernacolari sono quelle immagini di matrice amatoriale, scattate da fotografi non professionisti o da gente comune, appunti di vita quotidiana.
Ma forse non tutti sanno che Keïta, figlio di un falegname di Bamako, era destinato a seguire la strada del padre fino a quando lo zio, nel 1935, gli regala una Kodak Brownie Flash, introducendolo per sempre al mondo della fotografia.
Dopo aver fatto esperienza in alcuni laboratori locali, si mette in proprio. Il suo studio diventa il punto di riferimento per chi vuole farsi ritrarre, e in quegli anni di transizione, cruciali per il Mali (fino a quel momento colonia francese, dal 1960 finalmente indipendente), sono in molti a voler ridefinire la propria identità.
Seydou Keïta ritrae senza distinzione donne, uomini e bambini, in posa davanti ai pochi fondali che ha a disposizione. I soggetti scelgono gli abiti (a volte indossano tessuti tradizionali, altri sfoggiano outfit di ispirazione chiaramente occidentale), così come i props che si trovano nel laboratorio del fotografo. Ogni scatto è una vera e propria mise-en-scène in cui si percepisce la collaborazione tra il fotografo e il soggetto fotografato ed è questo a rendere uniche le fotografie di Seydou Keïta. Per la prima volta, il popolo africano ha l’opportunità di scegliere come apparire e di costruire liberamente la propria immagine.
Keïta è dunque un fotografo a disposizione della gente e i suoi ritratti non sono frutto di ambizioni artistiche, ma di un naturale senso di partecipazione per la storia della sua comunità. Almeno fino agli anni Novanta, quando i suoi 10.000 negativi vengono portati in luce da André Magnin. Curatore esperto in arte africana, Magnin rimane colpito da tre fotografie dall’autore anonimo esposte all’interno di Africa Explores: 20th Century African Art (1991) al Center for African Art di New York, tanto da spingersi fino in Mali, portando con sé alcune fotocopie per mostrarle alla gente del posto e rintracciare l’autore di quelle immagini. Ci riesce, e da quel momento il nome di Seydou Keïta entra a far parte della storia della fotografia.
Quei ritratti conquistano immediatamente il pubblico per il loro alto valore iconografico, la nitidezza che li contraddistingue e l’armonia casuale tra i soggetti e i fondali. Ma a fare la sua parte è anche il mistero che aleggia attorno a questo tipo di immagini “ritrovate”: da una parte documento storico, sociale e antropologico attraverso cui conoscere ed entrare in contatto con un’epoca e una cultura, dall’altra prodotto visivo a cui è impossibile non riconoscere un valore artistico.
Su questo aspetto vuole concentrarsi la mostra Seydou Keïta – Bamako Portraits presentata da FOAM, che dal 2006, con Portraits from Isfahan, dedica alla fotografia vernacolare (e in particolare alla dimensione dello studio fotografico) un’attenzione particolare. Tra le mostre più interessanti, Dynasty Marubi, a hundred years of Albanian studio photography (2016), una selezione dall’archivio dello studio fotografico albanese Marubi, aperto nel 1850 dall’italiano Pietro Marubi a Shkodër, in Albania, e Disfarmer – The Vintage Prints (2017), focus sull’America della prima metà del Novecento attraverso i ritratti del fotografo Mike Disfarmer
EDIFICIO IN PIETRA GRIGIA DEL 1861 DOVE SI TROVA IL MUSEO DELLA FOTOGRAFIA DI AMSTERDAM
Inaugurato nel dicembre del 2001, il FOAM è uno dei migliori musei di fotografia al mondo. Le sue sale ampie e luminose sono sviluppate su tre piani ed ospitano lavori di tutti i generi fotografici: si va dalla fotografia d’arte al documentario, dal reportage storico alla street-photography, dai ritratti agli scatti per la moda.
Bellissime queste foto, dei veri e propri ritratti. Bellissimi anche i vestiti delle donne.