IRENE MACHETTI, ARTE E CIBO. INTERVISTA A INES NETO DOS SANTOS – ARTRIBUNE, 10 AGOSTO 2021

 

 

 

10 AGOSTO 2021

 

Arte e cibo. Intervista a Inês Neto dos Santos

 

 

Inês Neto dos Santos, Walk&Talk, 2019. Photo Sara Pinheiro

By

 Irene Machetti

 

MATERIA TRA LE PIÙ COMUNI E QUOTIDIANE, IL CIBO È PROTAGONISTA DELLA NUOVA RUBRICA DEDICATA AGLI ARTISTI CHE HANNO TROVATO NEGLI ALIMENTI IL LORO MEDIUM. LA PRIMA A PRENDERE LA PAROLA È L’ARTISTA PORTOGHESE INÊS NETO DOS SANTOS, LA CUI RICERCA SI ISPIRA ALLA FERMENTAZIONE.

 

Inês Neto dos Santos, Open Space, 2019. Photo Ben Peter Catchpole

OPERE DI INES NETO DOS SANTOS- OPEN SPACE, 2019 PHOTO DIBEN PETER CATCHPOLE

 

L’artista portoghese Inês Neto dos Santos (Lisbona, 1992) si è distinta nella sua ricerca artistica attraverso l’uso del cibo. Tra workshop, installazioni tutte da gustare e oggetti da attivare insieme al pubblico, crea “spazi culinari” dove affrontare urgenti tematiche in maniera conviviale. La fermentazione, protagonista assoluta, diviene metafora per criticare la società patriarcale e il modo in cui questa ha scritto la storia della natura, dimostrando quanto l’esistenza umana e quella naturale siano interdipendenti. Le creazioni dell’artista hanno un’estetica molto forte: colori vivaci, profumi intensi e sapori imprevedibili che, tra una kombucha di rose e un burro fumé alla salvia, celano una critica socio-politica che si fa strada pian piano in chi osserva.

Inês Neto dos Santos, FERMEN TOUR, Arcade East + V&A, 2018. Photo Katie Davies

LA TORRE  DI FERMENTAZIONE – FOTO KATIE DAVEIS

INTERVISTA A INÊS NETO DOS SANTOS

Come hai iniziato a usare la fermentazione? In realtà per praticità, volevo conservare il cibo che avanzava dalle mie performance/installazioni. Ora è fondamentale la longevità che la fermentazione dà alle mie opere, spesso effimere: è divenuta il filo comune che rende persistente l’effimero, dandomi modo di trovare una continuità a tutti i progetti a cui do vita.

 

 

Inês Neto dos Santos, Villa Lena Residency 2019. Photo Lottie Hampson

VILLA LENA RESIDENCY 2019 – FOTO LOTTIE HAMPSON

 

 

 

Il tuo uso della fermentazione va ben oltre una pratica culinaria. Cos’è per te?È una metafora molto poetica del mondo. Avviene grazie alla collaborazione simbiotica di più microorganismi, tra loro e con l’ambiente, compresi noi! Questi esistono ovunque, sugli alimenti, nel nostro corpo, nell’aria… Siamo fatti da dieci volte più cellule batteriche che umane. Guardare i cibi cambiare colore, sapore, odore grazie all’interazione di più organismi fa subito capire che esistiamo in simbiosi con la natura e non in dominio su essa, non siamo autosufficienti.

 

In quest’idea di una natura dominata dall’uomo si può parlare di eco-femminismo?

Mi ci sono avvicinata leggendo Timothy Morton, che esorta a superare la visione fallocentrica e colonizzante di una natura esterna a noi, dominata dall’uomo, per considerarla, invece, come qualcosa dove tutti viviamo in continua connessione.

 

Inês Neto dos Santos, Walk&Talk, 2019. Photo Mariana LopesInês Neto dos Santos, Walk&Talk, 2019. Photo Mariana Lopes

CIBO E CONVIVIALITÀ

 

La fermentazione può aiutare a opporsi a questo sistema? Sì. È una pratica antichissima, integrata nelle culture di tutto il mondo da sempre. È un sapere accessibile a chiunque, tramandato nel tempo e nello spazio quasi inconsapevolmente. Non può essere colonizzata o commercializzata, per quanto ci si provi. Non esiste un custode unico di questo sapere.

 

Nei tuoi lavori la critica resta velata. Quello che colpisce è la bellezza dei colori e il clima conviviale più che la disamina negativa della società. Perché?Lavorando con il cibo è impossibile non vedere quanto il sistema alimentare sia dominato da soprusi e sfruttamento a beneficio solo di una minima parte di popolazione. Con le mie opere invito ad agire, ma lo faccio attraverso la metafora, introducendo argomenti ostici in uno spazio familiare, pacifico. Se lo spettatore trova poesia e bellezza, piuttosto che rabbia, diventa più facilmente empatico.

 

Quindi il cibo facilita il dialogo su temi altrimenti difficili da affrontare? Con l’artista Nora Silva diciamo sempre che il luogo migliore per parlare di politica è il desco, rende ogni cosa meno intimidatoria. Insegnando la fermentazione, pian piano si forma l’idea che, riutilizzando gli sprechi e facendo in casa ciò che è fatto dalle industrie e di cui vediamo solo il prodotto finale, possiamo contrastare il sistema patriarcale-capitalista che ci governa.

 

Inês Neto dos Santos, Sacred Elements. Photo Carlotta MarangoneInês Neto dos Santos, Sacred Elements. Photo Carlotta Marangone

EMANCIPAZIONE E CIBO

 

Spesso parli del cibo in termini di emancipazione. Come funziona nella tua arte? Ho fatto del cibo il mio medium per offrire a chiunque uno spazio nell’arte, come con il progetto Tender Touches dove, trasformando una galleria in un bar d’artisti, abbiamo accolto un pubblico diversificato e vasto. Tutti ci riconosciamo in una cultura gastronomica; il cibo è talmente comune da rendere inclusivo anche il mondo ermetico ed elitario dell’arte. Avvalersi del cibo nell’arte è un’enorme fonte di empowerment!

 

 

 

Inês Neto dos Santos, Darlings of the Underground © DATEAGLE ART 2019

DARLING OF THE UNDERGROUND- DATEAGLIE ART 2019

 

 

 

 

È un’emancipazione per il pubblico più che per te, quindi? Sì! Ovvio che ha anche offerto tanto a me, facendomi entrare in connessione con l’ambiente, vedere ciò che la globalizzazione nasconde. Con il mio lavoro dono queste conoscenze agli altri, rendo la catena alimentare trasparente spronando le persone ad agire in modo conscio e sostenibile. Con la fermentazione creo una nuova consapevolezza del cibo che sia poi riutilizzabile.

 

Il tuo ultimo progetto, una giacca ricoperta da un collage di pasta madre essiccata, ti vede lavorare sola nel tuo studio, non in un ambiente di condivisione. Cosa implica tale approccio? Il lockdown mi ha forzata a lavorare così, ma ho comunque mantenuto un legame con l’ambiente e chi ci abita con questa giacca-madre che è un oggetto da toccare, annusare; un oggetto che parla di comunità, migrazione, resilienza.

 

Come si sviluppano queste idee nell’opera? Stavo leggendo delle storie di migranti dell’Europa dell’Est che, nella fuga dalle loro nazioni, portavano un panno con dentro della pasta madre essiccata. È commovente, soprattutto nel clima attuale d’inasprimento delle misure ai confini, Brexit, lockdown… Questa gente portava con sé ciò che all’apparenza era un comune pezzo di stoffa, nessuno l’avrebbe confiscato, ma che rappresentava un’intera cultura, un ricordo, la storia. La giacca che sto cucendo è ricoperta di toppe su cui ho fatto seccare del lievito madre, che così può durare in eterno. Questa pezza di cotone simboleggia, dunque, vita, nutrimento, storia.

‒ Irene Machetti

https://ines-ns.com/

 

 

 

NOTA :

 

A reckoning for our species': the philosopher prophet of the Anthropocene | Philosophy | The Guardian

TIMOTHY MORTON E’ NATO A LONDRA IL 19 GIUGNO 1968, E’ PROF. ALLA RICE UNIVERSITY

 

Ecologia oscura. Logica della coesistenza futura    IperoggettiNoi, esseri ecologici

2020

 

Come un'ombra dal futuro. Per un nuovo pensiero ecologico

2019

 

 

 

IL TASCABILE — 25 GIUGNO 2018

Iperoggetti di Timothy Morton

 

RECENSIONI

GIANLUCA DIDINO

25.6.2018

Iperoggetti di Timothy Morton

 

 

Negli ultimi dieci anni Timothy Morton si è guadagnato la fama di filosofo tra i più importanti della sua generazione, riuscendo nell’impresa non semplice di ottenere elogi in accademia e – come ha raccontato il Guardian in un lungo profilo del 2017 – successo nella cultura pop.

Laureato a Oxford, Morton ha dedicato la prima parte della propria carriera accademica alla letteratura romantica inglese e agli studi sull’alimentazione, a prova dell’approccio intellettuale eclettico già all’epoca. Alla metà degli anni Duemila il suo interesse per la filosofia continentale l’ha portato ad avvicinarsi al movimento della Object-Oriented Ontology, corrente iniziata dal filosofo heideggeriano Graham Harman e sulla quale torneremo a breve.

Il 2007, probabilmente l’anno di svolta per il discorso sul riscaldamento globale (con l’uscita a settembre dell’anno prima del documentario Una scomoda verità di Al Gore, il successo di un libro come Il mondo senza di noi di Alan Weisman e il convegno sul Realismo Speculativo, a cui la OOO è legata a doppio filo), è anche quello della svolta per la carriera di Morton, che pubblica per Harvard University Press Ecology without Nature ( Eclogia senza Natura ). La tesi alla base del libro è provocatoria: per avere ancora senso nell’epoca del global warming, l’ecologismo deve rinunciare al peso metafisico del concetto di Natura. Questo approccio antintuitivo è tipico del pensiero dei Realisti Speculativi, un gruppo sul quale per capire il pensiero di Morton è necessario spendere qualche riga.

Ad aprile del 2007, alla Goldsmiths University di Londra si incontrano quattro filosofi in un convegno intitolato Speculative Realism: A One Day Workshop. I quattro invitati (l’ultra-nichilista Ray Brassier, il già citato Graham Harman, Hamilton Grant e il padre putativo del movimento, Quentin Meillassoux) hanno molte differenze tra loro ma anche alcuni punti in comune.

Il primo è l’opposizione all’antropocentrismo, conseguenza del rifiuto di quella che Meillassoux ha chiamato la “controrivoluzione tolemaica” del pensiero di Kant. Per Kant non si possono pensare né le cose in sé né la mente in sé ma soltanto la correlazione tra questi due aspetti: la conseguenza, ovviamente, è che il campo della filosofia viene limitato al contenuto della mente umana. I Realisti Speculativi intendono riportare l’accento sulla dimensione esterna alla mente, una dimensione nella quale l’uomo è uno dei tanti elementi che compongono un universo sostanzialmente “indifferente alla nostra esistenza e inconsapevole dei nostri ‘valori’ e ‘significati’”, per dirla con Brassier. Dimostrazione lampante di questa teoria è proprio il riscaldamento globale, che reclamando il potere di forze non-umane capaci di estinguerci annichilisce la nostra pretesa di un posto privilegiato al centro dell’universo.

Questo è l’aspetto del “realismo” nel nome del gruppo: esiste una realtà esterna alla mente, che se anche è “radicalmente ritirata”, cioè non accessibile empiricamente, non per questo è meno vera. Il secondo elemento che accomuna i quattro filosofi è l’aspetto “speculativo” del loro pensiero. Nonostante non ci sia accordo su come questo possa essere fatto (estremizzando il pensiero razionale per Brassier, attraverso la scienza per Meillassoux, per mezzo dell’arte secondo Harman) i Realisti Speculativi sono convinti che questa realtà possa essere conosciuta, seppure in maniera indiretta o, appunto, speculativa. Come vedremo, Iperoggetti ci fornisce diverse dimostrazioni di questo punto.

 

L’iperoggetto per eccellenza è proprio il riscaldamento globale, la cui caratteristica principale è quella di esistere su dimensioni spazio-temporali troppo grandi perché possa essere visto o percepito in maniera diretta.

 

Tornando quindi a Ecology without Nature, possiamo ora capire cosa intende Morton con la sua formula: perché il concetto di ecologismo abbia ancora un senso, esso deve essere privato della sua matrice antropocentrica, che assolutizza la Natura come un “altrove” metafisico da preservare, e deve entrare in un’epoca compiutamente postumana dove l’uomo è parte dello stesso sistema della Natura che intenderebbe difendere.

Il concetto di Antropocene, entrato nel lessico comune negli stessi anni, parla di una simile impossibilità di distinguere naturale e antropico, e la OOO ( NOTA SOTTO ) andrebbe letta proprio come una sorta di “ontologia piatta” nel cui sistema coesistono entità, o “oggetti” nel lessico heideggeriano, di natura differente – persone, animali, cose inanimate o anche conformazioni molto più complesse come l’amore o i costrutti filosofici. Alcune di queste conformazioni sono di complessità incredibilmente elevata: questo è il punto in cui il pensiero di Morton si stacca da una seppur originale applicazione del Realismo Speculativo all’ambientalismo e postula l’idea di iperoggetti.

 

segue nel link :

 

Iperoggetti di Timothy Morton

 

 

NOTA

LA OOO

significa ” Out of Office ” cioè non sono in ufficio- sono in ferie, è una risposta automatica avviata dal computer ad un messaggio.

Significato nel contesto sopra ?

Forse significa dire che ” l’essere umano ” come tale non c’è, c’è un insieme di oggetti di cui l’essere umano è parte a uguale titolo degli altri

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1 risposta a IRENE MACHETTI, ARTE E CIBO. INTERVISTA A INES NETO DOS SANTOS – ARTRIBUNE, 10 AGOSTO 2021

  1. ueue scrive:

    Chissà quanti capolavori nei nostri frigoriferi, quando lasciamo alla sua sorte qualche cibo che non abbiamo consumato. Mi piace molto quella ampolla di vetro appoggiata ad un tavolo, come se fosse morbida e autoportante.

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