CORRIERE.IT — 22 LUGLIO 2021
La pistola in tasca
Che il colpo gli sia partito apposta o per caso, l’assessore alla Sicurezza del comune di Voghera girava per strada con una pistola in tasca. Parliamo di un uomo di legge che insegna diritto penale agli allievi della scuola di Polizia. Evidentemente il primo a non credere nelle istituzioni che rappresenta – e che addirittura istruisce – è lui. Non so voi, ma io non riuscirei a girare per strada con una pistola in tasca neanche a scopo dissuasivo. Un po’ perché, lungi dal sentirmene rassicurato, avrei paura di farmi e fare del male (come se avessi un pungiglione velenoso al posto del naso). Un po’ perché il confine tra coraggio e audacia, e tra audacia e incoscienza, è talmente sottile che una pistola in tasca ci spinge a varcarlo più facilmente. Ma soprattutto perché, fin dalle faticose traduzioni liceali dell’Orestea di Eschilo, la civiltà di cui faccio parte mi ha inculcato il principio che la forza va sottratta ai clan, alle famiglie, agli individui e affidata allo Stato, pur con tutti i limiti che comporta la sua copertura, sempre imperfetta e parziale .Capisco ancora il gioielliere: lavorare armato fa parte dei rischi di quel mestiere. Invece un privato cittadino o un politico che girano per strada con una pistola in tasca appartengono a una cultura che non è la mia. Ammiro gli Stati Uniti per tante altre cose, ma dopo gli uragani, i lavori precari e i procuratori sportivi, non vorrei importare da loro anche gli sceriffi e i cowboys.
No agli sceriffi. Copiamo dagli altri Paesi le cose buone.