ANSA.IT — 6 LUGLIO 2021 –18. 41
Morto a Torino lo storico Angelo Del Boca.
Uno dei maggiori studiosi del colonialismo italiano
Angelo Del Boca (Novara, 23 maggio 1925 – Torino, 6 luglio 2021) è stato uno storico, giornalista e scrittore italiano, considerato il maggiore storico del colonialismo italiano. È stato il primo studioso italiano ad occuparsi della ricostruzione critica e sistematica della storia politico-militare dell’espansione italiana in Africa orientale e in Libia, e primo fra gli storici a denunciare i numerosi crimini di guerra compiuti dalle truppe italiane durante le guerre coloniali fasciste. Ha diretto la rivista di storia contemporanea I sentieri della ricerca.
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(ANSA) – MILANO, 06 LUG – E’ morto nella sua casa a Torino lo storico e giornalista Angelo Del Boca, uno dei maggiori studiosi del colonialismo italiano. Nato a Novara nel maggio del 1925, era direttore della rivista di storia contemporanea ‘I sentieri della ricerca’.
Fu inviato speciale della Gazzetta del Popolo e del Giorno, che lasciò nel 1981. Fra le sue tantissime pubblicazioni, i quattro volumi de ‘Gli italiani in Africa Orientale’, i due de ‘Gli Italiani in Libia’ e le biografia di ‘Hailé Selassié, e ‘Gheddafi. Una sfida dal deserto’. Del 2015 la pubblicazione per Mondadori di ‘Nella notte ci guidano le stelle: La mia storia partigiana’. Il funerale si svolgerà giovedì 8 luglio alle 10:30 nella parrocchia del Nazzareno a Torino. (ANSA).
Nella notte ci guidano le stelle. La mia storia partigiana
Angelo Del Boca
“Io non combatto per la mia patria, combatto per mia madre, per rivedere il suo viso.” A settant’anni dalla Liberazione, queste parole del diario partigiano inedito di Angelo Del Boca gettano nuova luce sulla storia, il dramma e le ragioni dei molti giovani nati tra le due guerre che, ricattati e mandati allo sbaraglio dalla Repubblica sociale, scelsero la montagna come estremo gesto di fedeltà ai più profondi valori umani e affettivi, contro la retorica fascista del credere-obbedire-combattere, gli orrori della guerra civile e la barbarie dell’occupazione tedesca. Aspirante scrittore che affonda lo sguardo in sé stesso e in ciò che lo circonda, il diciannovenne Del Boca annota scrupolosamente ogni fase delle peripezie del giovane alpino rimpatriato nell’estate del 1944 dall’addestramento militare in Germania nelle file della divisione Monterosa, schierata nell’appennino ligure-emiliano come forza antiguerriglia: la scelta della libertà e la fuga, l’impatto traumatico con la diffidenza e il disprezzo del capo di una formazione garibaldina, l’arrivo a Bobbio (Piacenza) e l’inserimento nella 7a brigata alpini Aosta del comandante Italo. Il diario parla di marce, pioggia, neve, fame, freddo, sonno, paura, vergogna, e di nostalgia di casa, di ricordi d’infanzia, di foto, occhi e sorrisi di ragazze che accendono la fantasia e il desiderio, di qualche bacio rubato, di una irresistibile e pervasiva sete di amore e normalità. Della costante insidia delle spie, della temibile offensiva dei «mongoli» della divisione Turkestan inquadrati nelle milizie nazifasciste, che nell’ultima decade di novembre investì e travolse le postazioni dei patrioti. E dell’odissea dei gruppi di ribelli impegnati in un massacrante andirivieni tra pianura e montagna per sottrarsi alla morsa dei rastrellatori, in un inverno nevoso e rigido, tra scontri a fuoco e lotta quotidiana per la sopravvivenza, sino al 31 dicembre 1944 e all’arrivo nel castello di Lisignano, dove il giovane partigiano trova finalmente un rifugio ospitale e, come in un bel sogno, la donna della sua vita. Nella notte ci guidano le stelle, un titolo ispirato alla suggestiva ballata russa Katiuscia che rende appieno il senso del viaggio dentro l’oscurità, orientato solo da luci lontane e da impulsi interiori, è un libro di grandissima intensità emotiva, perché è – anche – il racconto della straordinaria e tragica formazione di un uomo, lungo quel cammino tortuoso e straziante che portò alla conquista della libertà.
UNA BELLA INTERVISTA DI ANTONIO GNOLI AD ANGELO DEL BOCA
ALCUNE OPERE DI ANGELO DEL BOCA:::
1985
1986
RIPUBBLICATI NEGLI OSCAR MONDADORI
1995
NERI POZZA
Negli anni che vanno dall’unità del nostro Paese alla fine della seconda guerra mondiale si sono verificati molti episodi nei quali gli italiani si sono rivelati capaci di indicibili crudeltà. In genere le stragi sono state compiute da «uomini comuni», non particolarmente fanatici, non addestrati alle liquidazioni in massa. Uomini che hanno agito per spirito di disciplina, per emulazione o perché persuasi di essere nel giusto eliminando coloro che ritenevano «barbari» o «subumani».
Angelo Del Boca esamina, in questo libro, gli episodi più efferati, quelli che costituiscono senza dubbio le pagine più buie della nostra storia nazionale: i massacri di intere popolazioni del meridione d’Italia durante la cosiddetta «guerra al brigantaggio»; l’edificazione nell’isola di Nocra, in Eritrea, di un sistema carcerario fra i più mostruosi; le rapine e gli eccidi compiuti in Cina nel corso della lotta ai boxers; le deportazioni in Italia di migliaia di libici dopo la «sanguinosa giornata» di Sciara Sciat; lo schiavismo applicato in Somalia lungo le rive dei grandi fiumi; la creazione nella Sirtica di quindici lager mortiferi per debellare la resistenza di Omar el-Mukhtàr in Cirenaica; l’impiego in Etiopia dell’iprite e di altre armi chimiche proibite per accelerare la resa delle armate del Negus; lo sterminio di duemila monaci e diaconi nella città conventuale di Debrà Libanòs; la consegna ai nazisti, da parte delle autorità fasciste di Salò, di migliaia di ebrei, votati a sicura morte. È vero che nell’ultimo secolo e mezzo molti altri popoli si sono macchiati di imprese delittuose, quasi in ogni parte del mondo. Tuttavia, soltanto gli italiani hanno gettato un velo sulle pagine nere della loro storia ricorrendo ossessivamente e puerilmente a uno strumento autoconsolatorio: il mito degli «italiani brava gente», un mito duro a morire che ci vuole «diversi», più tolleranti, più generosi, più gioviali degli altri, e perciò incapaci di atti crudeli. Con la sua scrittura chiara e documentata, Angelo Del Boca mostra invece come dietro questo paravento protettivo di ostentato e falso buonismo si siano consumati, negli ultimi cent’anni, in Italia, in Europa e nelle colonie d’oltremare, i crimini peggiori, gli eccidi più barbari. Crimini ed eccidi commessi da uomini che non hanno diritto ad alcuna clemenza, tantomeno all’autoassoluzione.
NERI POZZA
Questo libro vuole offrire, come scrive Del Boca nell’introduzione, «una visione del Novecento e dintorni» intrecciando il racconto della vita dell’autore con gli avvenimenti di cui è stato testimone. Da questo punto di vista, esso è un’autobiografia, precisamente l’autobiografia di uno dei più importanti storici e «inviati speciali» del nostro secondo dopoguerra. Poiché, però, nelle sue pagine accade spesso che la memoria non torni al passato con gli occhi del presente, ma si serva di reportages d’epoca, pagine di diario e appunti stesi in presa diretta, esso è anche uno di quei rari libri in cui momenti e personaggi fondamentali del Novecento vengono descritti e colti nell’istante stesso in cui rispettivamente si danno e agiscono. Da Benito Mussolini che il 16 luglio 1944, sulla piazza d’armi di Genzevag in Germania, passa in rivista la divisione Monterosa e si presenta al cospetto dell’autore tremendamente invecchiato, pallido, con le guance scavate, l’occhio spento, la pelle cascante sotto il mento e la divisa che, senza gradi e simboli, accentua la sua aria dimessa; ad Albert Schweitzer, il «grande dottore bianco» premio Nobel per la pace che, nel luglio del 1959, nell’immensa foresta del Gabon, rotta da paludi dove tutto imputridisce, accoglie l’autore suonando all’organo il Jesu, meine Freunde, di Johann Sebastian Bach; a Madre Teresa di Calcutta che, nel maggio del 1957, piccola, magra, il viso scavato a punta, gli occhi grandi e grigi e pieghe amare intorno alla bocca, medica con grande dedizione e perizia i lebbrosi ospiti nella Casa del Moribondo di Kalighat; al colonnello Muammar Gheddafi che riceve l’autore con un guardaroba esemplare della sua stravaganza e civetteria: foulard color beige in testa, burnus nero e stivaletti di pelle nera lucidissimi; numerosi sono i protagonisti del secolo scorso che sfilano in queste pagine come su una quinta posta davanti ai nostri occhi. È soprattutto, però, nella rievocazione dei momenti più intimi e personali, come ad esempio la descrizione del lungo cammino fatto dal padre ammalato, dalla stazione di Codogno alla val Luretta per chilometri e chilometri a piedi con una pesante valigia in mano, fino al distaccamento dei partigiani al Castello di Lisignano, che Del Boca ci restituisce davvero lo spirito del Novecento, così come l’ha vissuto un ragazzo nato nel ’25, diventato dapprima comandante partigiano e poi «inviato speciale» e storico che ha trascorso l’intera seconda metà del secolo a denunciare menzogne e mistificazioni, a scovare «verità scomode» negli archivi e dalla viva voce dei testimoni. Se c’è qualcosa che i lettori, i giovani innanzi tutto, possono trarre da queste pagine, così piene di vita e di passione, è che non è affatto vero, come pretendono oggi i cantori del revisionismo storico, che nel Novecento sia naufragata, insieme con tutti i messianismi, anche ogni possibilità di schierarsi dalla parte giusta. Qui si narra di una vita che non fatto altro che semplicemente questo.
NERI POZZA
NERI POZZA, 2006
È il 1944 e, mentre crollano i miti di un’epoca e la guerra volge al tragico epilogo, per alcuni giovani dell’Italia del nord è giunto il momento della scelta: combattere con la Repubblica di Salò oppure unirsi ai partigiani sui monti? Dopo alcuni mesi di renitenza alla leva, agli inizi del 1944, un giovane, per timore di esporre la propria famiglia a rappresaglie o forse perché ancora imbevuto dei falsi valori fascisti, si presenta al Distretto militare di Novara e, un mese dopo, presta giuramento alla Repubblica Sociale Italiana. L’addestramento nel lager di Münsingen in Germania e poi i rastrellamenti in inermi villaggi dell’Italia del nord, le case bruciate, le ragazze violentate lo faranno precipitare in una forte crisi.
Gas in Etiopia
I crimini rimossi dell’Italia coloniale
di Simone Belladonna, Angelo Del Boca
Sintesi
«La guerra d’Etiopia non è stata soltanto la più grande campagna coloniale della Storia contemporanea, ma anche, probabilmente, la miccia che ha fatto scoppiare la seconda guerra mondiale. Mussolini cominciò a prepararla sin dal 1925 e volle che fosse una guerra rapida, micidiale, assolutamente distruttiva. Per questa ragione mandò in Africa orientale mezzo milione di uomini armati alla perfezione, tanti aeroplani da oscurare il cielo, carri armati e cannoni in numero tale da sguarnire le riserve della madrepatria. E per essere sicuro della vittoria, autorizzò anche l’uso di un’arma proibita, l’arma chimica, sulla quale l’autore in questo libro ha raccolto con grande perizia tutte le informazioni possibili. Per cominciare, ha esplorato, per primo, gli archivi americani del FRUS, dove sono raccolti i dispacci degli alti funzionari degli Stati Uniti sulla preparazione della campagna fascista contro l’Etiopia. Si tratta di documenti di estrema importanza, perché rivelano le mosse del fascismo in armi e ne analizzano, giorno dopo giorno, la pericolosità per la pace nel mondo. Poiché il libro costituisce, in primis, la denuncia dell’impiego dei gas velenosi e mortali e di tutti gli inganni perpetrati negli anni per nascondere quei crimini, l’autore non ha trascurato dati accurati che offrissero un quadro completo dei diversi gas utilizzati, dei sistemi per utilizzarli, dei risultati ottenuti. Si tratta di migliaia di tonnellate di iprite e di fosgene scaricate soprattutto dagli aeroplani sui combattenti etiopici e sulle popolazioni indifese […]. Gli orrendi crimini del fascismo vennero, come è noto, cancellati dalla propaganda del regime, rimossi dai documenti e dai moltissimi libri pubblicati dai massimi protagonisti della guerra, come Badoglio, Graziani, Lessona, De Bono, dai gerarchi, dai giornalisti e da semplici gregari. Questa sconcertante autoassoluzione proseguì anche nel dopoguerra e nei decenni a seguire, mentre ogni tentativo di ristabilire la verità veniva prontamente ostacolato […]. Perché l’Italia venga a conoscere la verità su quei tremendi crimini bisognerà attendere il 1996, quando il ministro della Difesa, Domenico Corcione (generale Corcione, Governo Dini ), farà alcune parziali ammissioni. Inutilmente, il governo imperiale etiopico ha cercato di trascinare Badoglio, Graziani e altre centinaia di criminali di guerra sul banco degli imputati. Tanto Londra che Washington hanno esercitato sull’imperatore Hailé Selassié ogni sorta di pressioni per dissuaderlo dall’istituire, come era giusto e legittimo, una Norimberga africana». Dall’introduzione di Angelo Del Boca «Gli orrendi crimini del fascismo in Etiopia. Un genocidio su cui era giusto e legittimo istituire una Norimberga africana». Angelo Del Boca
Tripoli bel suol d’amore?
Ho cercato di pescare fra i miei ricordi scolastici questa battaglia dall’esito a noi sfavorevole, ma il risultato è stato sconfortante. Nella memoria ho trovato altre sconfitte: quelle della prima guerra d’Indipendenza, quelle della terza guerra d’Indipendenza, fra le quali ben chiaro è stato l’episodio di Lissa, nonché la famosa e tristemente nota ritirata di Caporetto. Del resto le nostre guerre coloniali hanno pochi accenni nei programmi scolastici, come se ci dovessimo vergognare di aver voluto assoggettare altri popoli nel periodo in cui noi cercavamo di liberare dal dominio straniero degli italiani come noi. Sì, ho memoria della disfatta di Adua, ma della guerra condotta in Libia, che si concluse dopo molti anni con una pacificazione ottenuta con metodi barbari e crudeli, riesco ad avere solo un’idea confusa e quindi è ben difficile pensare che Gasr Bu Hadi, questa località desertica del Fezzan, possa avere qualche significato per me. Eppure lì patimmo una cocente sconfitta con il rischio consistente di essere ributtati in mare e di finire nel peggiore dei modi la nostra avventura coloniale nell’Africa settentrionale. Per fortuna che fornisce chiari lumi al riguardo lo storico Angelo Del Boca con questo volume che ha anche il pregio di riparare alle tante omissioni relative alla nostra colonizzazione libica. Il tutto accadde nell’imminenza della partecipazione dell’Italia alla prima guerra mondiale, quando i bellicosi mujâhidîn arabi si ribellarono e venne inviato a sedare la rivolta un corpo di spedizione comandato da un ufficiale di comprovate capacità e di lunga esperienza coloniale quale era il colonnello Antonio Miani.
Il libro evidenzia i nostri cronici difetti, che già dolorosamente si rivelarono ad Adua, e in genere in tutte le guerre a cui partecipammo: l’approssimazione e la sottovalutazione del nemico; a ciò si aggiungono, nello specifico caso, gli ordini contraddittori del comando di Tripoli e l’invidia di non pochi ufficiali verso un soldato che si era meritato promozioni e medaglie sul campo, e non in poltrona. Purtroppo, Miani contava di avere forze superiori e invece erano inferiori, dava una fiducia oltre ogni logica alle bande irregolari aggregate alla spedizione, procedeva verso lo scontro come se avesse avuto di fronte dei poveri diavoli armati solo di asce e di lance. E poi, in un ufficiale di cui si presagiva un grande avvenire, si scoprono inutili manie di grandezza, rappresentate dalla corposa e ingombrante colonna delle salmerie, con vettovagliamento e munizioni non di certo per una breve campagna, come si ipotizzava, ma per una lunga e logorante guerra. Tradito dagli irregolari, che già i giorni precedenti avevano dimostrato ben scarso affidamento, comportamento inspiegabilmente ignorato dal colonnello, rallentato dalla citata colonna dei rifornimenti, il nostro corpo di spedizione finì in bocca agli avversari e fu una strage. I superstiti, compreso il colonnello ferito ben due volte, riuscirono a riparare in un nostro fortino sulla costa, anche perché i ribelli si gettarono sull’ambita preda costituita dalle salmerie. Miani si vendicò del tradimento colpendo anche chi non c’entrava e numerose furono le pene capitali immediatamente eseguite. L’uomo, conosciuto come autoritario, ma anche come giusto e imparziale, rivelò di una ferocia senza precedenti. Le colpe della disfatta però non erano solo sue, investendo anche il governatore militare e il ministro delle colonie e fu questo che salvò Miani da un processo, in cui sarebbero stati inevitabilmente chiamati in causa le predette autorità, con gravi ripercussioni sullo spirito di un paese che da lì a pochi giorni avrebbe dichiarato guerra all’Austria. Comunque per Miani la carriera militare era finita, ma lui non ci stava a essere il capro espiatorio, e se un processo ci fosse stato – ma non ci fu per i motivi sopra precisati – forse avrebbe potuto difendersi, almeno per sminuire le sue colpe; fu così che si affidò alle memorie, ad articoli, insomma a tutto quanto gli era possibile per difendere la propria onorabilità.
Il libro é illuminante e piacevole da leggere al punto che mi sento di consigliarlo.