CORRIERE DEL 20 GIUGNO 2016
LA STRAGE NEL VICENTINO, NELLA NOTTE TRA IL 6 E 7 LUGLIO 1945
Eccidio di Schio: la medagliaal partigiano che uccise
Valentino Bortoloso, che oggi ha 93 anni, faceva parte del commando della brigata Garibaldi che fece irruzione nelle carceri. Uccisi 54 detenuti, tra i quali molti fascisti. Il sindaco: «Onoreficenza inopportuna, scriverò al ministero per sapere chi l’ha scelto»
di Alessandro Fulloni
Partigiani in una foto di repertorio
Una cerimonia ufficiale, ad aprile, nella sede della prefettura di Vicenza. La consegna di un’onorificenza, la medaglia della Resistenza. Poi la scoperta: sì, quel partigiano è stato un eroe della Liberazione. Ma circa due mesi dopo il 25 aprile — era la notte tra il 6 e il 7 luglio 1945 — Valentino Bortoloso, «Teppa» il suo nome di battaglia, oggi 93 anni vigorosamente portati, si macchiò, assieme ad altri, di un crimine orrendo: quello passato alla storia come «l’eccidio di Schio». Una carneficina che vide la morte di 54 persone, incluse 15 donne, massacrate, come in un’esecuzione, dentro il carcere del borgo veneto che oggi conta 40 mila abitanti.
Condannato a morte, poi l’amnistia
Un mese fa «Teppa» era lì in piedi, nella sala della prefettura: celebrato con quella medaglia pur essendo stato condannato a morte da un tribunale di guerra alleato (era il 1945), pena commutata all’ergastolo e amnistiata nel 1955. Schio è un luogo dove il conflitto mondiale, soprattutto sul finire e con le armate della Wehrmacht in rotta, passò con ferocia. Un paio di episodi su tutti: l’arresto di un partigiano, Giacomo Bagotto, da parte delle Brigate nere. Torturato, seviziato, gli occhi cavati, sotterrato ancora vivo. Poi la strage di Pedescala, località non lontana da Schio: siamo al 30 aprile, i partigiani attaccano un convoglio tedesco diretto al Brennero. Vengono uccisi sei soldati. La rappresaglia non si fa attendere: e il paesotto viene devastato. I morti sono 82.
Il raid nel carcere
Quando il commando di partigiani, in tutto una dozzina, fa irruzione nel carcere di Schio il ricordo di quei sanguinosi precedenti è vivo. Voglia di vendetta e giustizia sommaria si fondono. Poi però si scopre che tra i giustiziati, di fascisti — lo scrive una sentenza del Tribunale di Milano nel 1955 — ce n’erano una ventina al massimo. Vennero uccise delle ragazze — è la ricostruzione dello storico Silvano Villani recensita sul Corriere della Sera da Silvio Bertoldi — perché erano figlie di militari Rsi ed erano nel carcere come fossero ostaggi, per far sì che i padri si consegnassero. Poi una casalinga di 38 anni: un inquilino moroso, per non pagare la pigione, l’aveva denunciata come fascista. «E pure lei cadde sotto i colpi di quell’improvvisato plotone d’esecuzione».
I partigiani medagliati
Il caso è esploso ad aprile. La medaglia della Resistenza viene consegnata (nel corso di un’iniziativa che si celebra da un paio d’anni) a numerosi partigiani in diverse città italiane. A Vicenza sono in 84. Tra loro c’è anche Valentino Bortoloso. Lì per lì nessuno fa caso a quel nome. Poi qualcuno lo riconosce, ricorda il suo passato, ne fa cenno al sindaco di Schio Valter Orsi — che adesso parla di «insignazione inopportuna» — alla guida di una coalizione civica che ha messo tutti all’opposizione: Pd, Forza Italia, Lega e M5S.
Il patto per la Concordia
E qui conviene fare un passo indietro. Ricordando più in dettaglio quel che successe a Schio, dove nel 2005, per sanare le ferite profonde dovute a quella strage, venne celebrata un’iniziativa bella e forse insolita, in Italia: ovvero il «patto della Concordia», incontri e commemorazioni tra familiari delle vittime e di chi sparò, tenendo sempre in mano il libriccino della Costituzione. «…la nostra fede democratica è perciò oggi sufficientemente matura da indurci a riconoscere come l’Eccidio di Schio — sono le parole agli atti del Comune che accompagnarono all’epoca quell’intesa — fu particolarmente ingiusto e insensato…». «…occorre dunque riconoscere il dolore reciproco non come un fattore di disunione, ma invece come cemento della nostra ritrovata concordia civica».
Ex carabiniere sul fronte russo
«Teppa» aveva 22 anni quando partecipò all’eccidio. Sino all’8 settembre aveva vissuto in divisa: quella da carabiniere. Poi l’invio sul fronte russo, la miracolosa sopravvivenza nella ritirata lungo la steppa. Il ritorno a casa e subito sulle montagne. Dove s’intruppa con la Brigata Garibaldi, partecipa con coraggio a numerose azioni. Imboscate, raid, scontri a fuoco. Sino a quella maledetta notte. Dentro al carcere quei dodici «aprono il fuoco contro tutti e tutte — è la ricostruzione di Bertoldi sul Corriere — sangue a rivoli che fluisce dalle scale fin sulla strada e l’orrore dei primi che accorrono e incrociano gli assassini in ritirata, calmi ma non ancora placati. Al punto di minacciare gli infermieri che portano le barelle e di costringerli a ritirarle». Due mesi dopo Bortoloso viene catturato dalla Military Police Usa. Per farlo parlare lo torturano — raccontò lui — ferocemente. Finisce che confessa. Intanto gli organizzatori dell’eccidio su cui gravano ancora tantissime ombre, rivelerà Massimo Caprara, a lungo segretario di Togliatti, espatriarono all’Est dopo un incontro con lo stesso Togliatti, a Roma.
Chi ha indicato il nome
Resta da chiarire adesso chi abbia indicato «Teppa» tra i partigiani da celebrare. Il sindaco Orsi — che si dice «rammaricato per quel che è successo» in quella cerimonia dove lui si è fatto rappresentare da un assessore — annuncia di voler scrivere al ministero della Difesa «per sapere come sono stati formulati i nomi da insignire e se erano al corrente dei fatti». Dal ministero chiariscono: le valutazioni sui nomi vengono fatte dalle associazioni partigiane, sei nell’albo ufficiale. «È in capo a loro la stesura di quell’elenco».
LEFT 7 LUGLIO 2016
Perché il massacro di Schio e la violenza partigiana? La parola allo storico De Luna
DI GIULIA SBAFFI
La notte tra il 6 e il 7 luglio del 1945 è la notte del massacro di Schio. Abbiamo fatto qualche domanda al professor Giovanni De Luna, ordinario all’Università di Torino
È la notte tra il 6 e il 7 luglio del 1945, il conflitto è finito da poco più di due mesi: il 25 aprile. Ma la violenza innescata dai due anni di guerra civile non può ancora dirsi completamente domata. È in questa cornice che s’inserisce il massacro di Schio.
Pieve di Rivoschio, ottobre 1944. Un contadino e alcuni partigiani e soldati italiani trainano una jeep
L’antefatto, la ricostruzione e le condanne
In una manciata di giorni, tra la fine di aprile e gli inizi di maggio, i tedeschi in ritirata massacrano 82 civili nella vicina Pedescala. È la rappresaglia dopo un attentato partigiano. Qualche giorno prima, il 16 aprile, le Brigate Nere hanno seviziato e ucciso Giacomo Bogotto, giovane partigiano di Schio. Dopo questi accadimenti un gruppo di partigiani vicino alle Brigate Garibaldi fa irruzione nel carcere mandamentale del piccolo paese vicentino. Liberati i detenuti per reati comuni, il commando partigiano giustizia 54 tra uomini e donne, vicini alla Repubblica di Salò o componenti del Partito Fascista. Secondo le ricostruzioni storiche e giudiziarie, però, soltanto 27 di quei detenuti potevano essere considerati prigionieri politici fascisti. Da quei processi sotto la giurisdizione alleata, poi, scaturiscono anche tre condanne a morte e due all’ergastolo per gli autori del massacro. Condanne poi comminate in pene minori nei due processi penali degli anni 50. Ma le attribuzioni di responsabilità definite dai processi quasi nulla hanno lenito, e la lacerazione nella memoria di quanto successo è rimasta profonda.
Vicenza, partigiani sfilano subito dopo la Liberazione
Memoria privata e patto di cittadinanza
Luoghi storici in cui la memoria si cristallizza, gli anniversari aprono sempre lo spazio alla riflessione sul ruolo di chi ricorda, ma anche sulla consapevolezza delle esperienze sociali e personali evocate. E diventano pure luogo di conflitto, in cui memoria pubblica e privata s’incontrano e scontrano. «La memoria privata degli eventi fatica a elaborare il lutto», spiega lo storico Giovanni De Luna. È una memoria che non passa, che non può essere placata da quel patto di cittadinanza sancito dalle istituzioni al loro formarsi e che ha nella memoria storica le sue radici. In altre parole – continua l’autore di molti testi sulla storia e la memoria della Resistenza – il patto di cittadinanza è fondato su di una memoria storica selezionata che accoglie, celebrandoli, alcuni avvenimenti e ne esclude degli altri. Ecco che, in questa chiave interpretativa, si possono comprendere le polemiche suscitate, nello scorso aprile, dall’attribuzione a Valentino Bortoloso – il partigiano “Teppa” condannato come autore dell’assalto e beneficiario di amnistia nel 1955 – della medaglia alla Resistenza (riconoscimento conferito dal ministero della Difesa per onorare i meriti di coloro che contribuirono alla guerra di Liberazione). A Schio si è protestato molto, per il sindaco Walter Orsi, l’onorificenza lede il patto di pacificazione tra vittime ed esecutori. Perché è fondato sul riconoscimento dell’ingiustizia perpetrata dalla violenza partigiana e non può, quindi, per sua natura, accogliere il riconoscimento delle istituzioni. Nell’analisi di De Luna, patto di cittadinanza e memoria privata sembrano essere a Schio particolarmente inconciliabili.
Un partigiano durante una manifestazione del 25 aprile
Il peso del vuoto istituzionale e l’inevitabile ricorso alla violenza, un’interpretazione
Scevra di ogni implicazione emotiva e dovere istituzionale, la storiografia – come scrive l’autore de La Resistenza perfetta – può fornire un quadro consapevole e sereno di quanto accaduto, poiché suffragata dalla ricerca. Aperta resta invece la questione di come interpretare, argomentare e dare senso a quanto accaduto. Ancora secondo De Luna, l’eccidio di Schio diventa storicamente comprensibile solo attraverso la categoria dell’interregno: «Il rubinetto non si chiude il 25 aprile; il Paese diventa difficile da governare e ancora più difficile diventa frenare quel surplus di violenza originato dal disintegrarsi di ogni forma di potere statale. Sì, un governo ci fu dopo la Liberazione, quello degli alleati, ma era una sovranità illusoria», continua De Luna. «È lo Stato a detenere il monopolio legale della violenza e quando questo, nella sua antica forma, viene a crollare e una nuova forma stenta a consolidarsi, si crea un vuoto. Un cratere, entro cui la giustizia viene con l’essere esercitata da e per i singoli». È nel contesto di quest’assenza che si può provare a capire come la violenza partigiana a Schio fu resa possibile e legittima.
CRONACA
Vicenza, medaglia a partigiano dell’eccidio di Schio. E il ministero della Difesa la revoca
Si tratta di Valentino Bortoloso, 93 anni, nel commando che uccise 54 persone nel carcere vicentino. Un crimine per cui ha scontato dieci anni di galera. Ma il suo nome è stato inserito tra chi doveva ricevere l’onorificenza, poi ritirata
di Giuseppe Pietrobelli | 10 AGOSTO 2016
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Questa onorificenza è una beffa atroce. Direi però che uno dei colpevoli dell’eccidio era stato condannato, quindi in qualche modo lo stato, pur nel marasma del dopo-25 aprile, aveva funzionato. Sicuramente molte persone avranno pagato senza essere colpevoli. Benedetto sia il lavoro degli storici, perché è meglio non avere fantasmi in testa, ma cercare di capire quello che è realmente avvenuto.
Ho appena finito di leggere un libro,” L’impossibile volo” di Louis De Bernières,2005 Guanda E’ ambientato sulle coste occidentali dell’Anatolia e descrive le vicissitudini della popolazione di un paese dove , poco prima della prima guerra mondiale, i turchi, i greci, gli armeni, gli ebrei vivono in pace pur avendo lingue e religioni differenti e pur nutrendo tra loro pregiudizi reciproci. La società implode con la guerra e con la seguente faticosa nascita della Turchia. Stragi, atrocità, deportazioni si susseguono anche per la mancanza o l’insufficienza del potere statale. La mancanza di legge, la paura, le condizioni difficilissime di vita cancellano molto presto, anche se non in tutti, la pietà umana.