E un reportage con #GiulianoGiuliani
@Zerocalcare
#MarcelloZinola.
E la mia vignetta.
«La più grave sospensione dei diritti democratici in un paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale»
(Tagline del film tratta dalla condanna di Amnesty International a quanto accaduto )
Diaz – Don’t Clean Up This Blood è un film del 2012 diretto da Daniele Vicari ed incentrato sui fatti del G8 di Genova.
Diaz è il nome della scuola di Genova, resa celebre per la violenta irruzione della polizia, avvenuta la sera del 21 luglio 2001, al termine dei lavori della conferenza del G8 di Genova.
Il film è anche conosciuto semplicemente come Diaz (titolo sulla locandina) o Diaz – Non pulire questo sangue (titolo sulla copertina DVD).
Trama
La notte del 21 luglio 2001 93 persone, di età, nazionalità e condizione sociale differente, si trovano a pernottare nella scuola Diaz, messa a disposizione dal comune di Genova come dormitorio, sede del media center e dell’assistenza legale dell’organismo promotore, dopo che, durante la giornata, un automezzo della polizia, passato più volte di fronte all’edificio, è stato per alcuni momenti circondato da un gruppo di no-global e fatto oggetto del lancio, andato a vuoto, di una bottiglia di vetro; le vicende di alcune di loro si intrecciano con gli avvenimenti che seguiranno.
Luca è un giornalista della Gazzetta di Bologna il quale, dopo l’arrivo in redazione della notizia della morte di Carlo Giuliani, in seguito agli scontri per il G8, avvenuti il 20 luglio, decide di recarsi personalmente a Genova per documentare l’evolversi dei fatti. Alma è un’anarchica tedesca che ha partecipato agli scontri ed è rimasta sconvolta per la violenza cui ha assistito che, insieme a Marco, facente parte dell’organizzazione del Social Forum, e all’amica Franci, un avvocato del Genoa Legal forum, si mette a disposizione per la ricerca dei dispersi. Nick è un manager che si occupa di economia solidale e che si trova a Genova per un seminario.
Anselmo è un anziano militante del Sindacato Pensionati della CGIL, che ha partecipato alle manifestazioni sindacali contro il G8, prendendo parte al corteo pacifico. Bea e Ralf sono a Genova di passaggio e devono ripartire per altre mete ma, in attesa della partenza, decidono di pernottare in città, utilizzando uno degli alloggi messi a disposizione dei manifestanti. Etienne e Cecile sono due anarchici francesi, diretti protagonisti della guerriglia e degli scontri di quei giorni. Max è un vicequestore aggiunto del primo reparto mobile di Roma, il quale si è attirato le critiche di molti colleghi perché in mattinata ha preso la decisione di non ordinare una carica contro i black bloc, al fine di evitare il coinvolgimento di tanti pacifici manifestanti addossati a una scogliera.
I destini di tutti loro e di altri manifestanti si incrociano drammaticamente quando, dopo le 23:50 i poliziotti fanno irruzione nella scuola, allo scopo di giustificare agli occhi dell’opinione pubblica sia il mancato mantenimento dell’ordine pubblico durante le grandi manifestazioni di protesta che il comportamento violento delle forze dell’ordine durante le giornate precedenti, procedura già precedentemente messa in atto con un furgone, filmato da un elicottero, dal quale vengono distribuite spranghe ed altri oggetti contundenti ai manifestanti da soggetti in seguito mai identificati, lamentando inoltre l’aggressione subita dall’automezzo della polizia alcune ore prima.
L’irruzione si svolge rapidamente e senza resistenza da parte dei presenti ma, nonostante nell’edificio non si trovino i black bloc, gli agenti aggrediscono con inaudita violenza e sadismo le persone all’interno della scuola, le quali, dopo essere state ferite (alcune in modo grave) vengono arrestate; lo stesso destino subiscono coloro che, a causa delle ferite, sono stati immediatamente trasportati in ospedale, prolungando, dopo essere stati rinchiusi nella caserma di Bolzaneto, l’universo di violenza già subito durante l’irruzione.
«Mi dispiace moltissimo non averlo potuto girare in Italia, perché un film così porta ricchezza: 10.000 comparse, 200 persone di troupe, 120 attori, con tutto l’indotto. Abbiamo ricostruito tutto a Bucarest, solo per costruire la strada di duecento metri, un mese e mezzo di lavoro di artigiani.»
(Da un’intervista di Daniele Vicari a Stefania Ulivi sul Corriere della Sera, 18 febbraio 2012.)
«Dopo la sentenza di primo grado che assolveva i vertici della Polizia, con Domenico Procacci abbiamo avvertito l’urgenza di capire. Una volta letti gli articoli e visti tutti i documentari, ci siamo resi conto di quanto questo non bastasse. Serviva una chiave di lettura, qualcosa che fosse all’altezza dell’accaduto: la Diaz somiglia a un atto di guerra e come nelle guerre abbiamo rintracciato i destini incrociati e la pluralità delle esperienze.»
(Conferenza di Vicari al Bif&est, articolo di Antonio Di Giacomo su “La Repubblica”, 25 marzo 2012.)
NEL LINK ANCHE UNA SERIE DI ” CRITICHE ” AL FILM
https://it.wikipedia.org/wiki/Diaz_-_Don%27t_Clean_Up_This_Blood
Daniele Vicari (Castel di Tora, 26 febbraio 1967) è un regista, sceneggiatore e scrittore italiano.
CASTEL DI TORA
Castel di Tora è un comune italiano di 278 abitanti della provincia di Rieti, nel Lazio, posto nella valle del Turano. Si specchia dalla sponda nord-orientale nel Lago del Turano, nella Riserva naturale dei Monti Navegna e Cervia. È parte del club dei borghi più belli d’Italia
FOTO DA: https://www.snapitaly.it/breaking-news/il-paese-piu-bello-ditalia-castel-di-tora/
cartina de LAZIO
SEGUE TESTO DALL’INTERVISTA A DANIELE VICARI
https://www.artesettima.it/2020/03/15/intervista-a-daniele-vicari-questo-film-non-si-doveva-fare/
Quali sono stati i problemi principali nella realizzazione e nella diffusione di Diaz- Don’t Clean Up This Blood?
Daniele Vicari:
Il problema principale è che quel film non doveva essere girato. È un film che il sistema, la politica, l’industria del cinema e delle televisioni non volevano. Tant’è che tutte le major italiane rifiutarono di produrlo. Il film è nato, cresciuto e si è sviluppato in assenza totale di distribuzione.
Se ne è fatta carico la Fandango, pensando di vendere una cinquantina di copie, poi il film ha fatto un successo incredibile al festival di Berlino ed è stato richiesto direttamente dalle sale; per questo la Fandango fece un grosso investimento e divenne un caso, un successo commerciale. Ma questo in opposizione al sistema cinematografico, che non voleva il film.
Daniele Vicari, Diaz
Perché l’episodio è così scandaloso? A causa di una sospensione dei diritti umani?
Daniele Vicari: Non solo, c’è molto di più. Il 2001 secondo me è uno spartiacque nella storia democratica del paese. Nel 2001 si è dimostrato platealmente che in Italia la democrazia può essere sospesa all’improvviso, in base a presupposti non facilmente conoscibili e può essere sospesa anche drammaticamente. Infatti la polizia italiana in quell’occasione ha manifestato un’attitudine autoritaria poi ribadita nel tempo. Nessuno ha mai smentito i comunicati stampa della polizia che affermavano che dentro la scuola Diaz ci fosse un ospedale.
E il motivo per cui da lì uscivano molte persone ferite è perché erano state ferite prima. Nessuno lo ha mai smentito, nonostante i tre gradi di giudizio per i fatti avvenuti a Diaz, nonostante i fatti di Bolzaneto, nonostante due condanne da parte della Cedu, la corte europea dei diritti umani, che condanna l’Italia a risarcire le vittime e a introdurre nel sistema legislativo italiano una legge sulla tortura. Nonostante tutto questo, quei comunicati stampa non sono mai stati smentiti.
Il film ha avuto valore civile o mediatico?
Daniele Vicari:
Il film ha avuto un grosso impatto sul dibattito relativo a quelle vicende, ma soprattutto ha avuto un impatto traumatico sulla coscienza collettiva perché quello che noi oggi rifiutiamo è che durante quell’evento sia stata praticata la tortura, in Italia, in maniera sistematica, su centinaia e centinaia di persone. Nonostante questo, resta un film che non doveva essere fatto.
Dal punto di vista estetico, non hai mai pensato di fare un documentario?
Daniele Vicari: Non mi mai passata per l’anticamera del cervello l’idea di fare un documentario sui fatti di Diaz.
Perché?
Daniele Vicari: Perché il cinema documentario in quel caso non sarebbe stato d’aiuto: infatti gran parte dei film documentari ambientati a Genova, non hanno avuto alcun impatto reale sul dibattito. Poteva solo essere un horror raccontare cosa è accaduto dietro quelle porte. Si poteva entrare in quella realtà, solo grazie alla finzione. Non basta intervistare le persone coinvolte, perché io cittadino a loro non do credito; invece alle immagini do credito. Anche se non sono d’accordo e le rifiuto, sono costretto a rifletterci, se vedo cosa è accaduto dietro quelle porte.
Quali sono state tue influenze cinematografiche nel girare questo film?
Diaz è un film senza attori e senza personaggi protagonisti. È un film collettivo. È la storia di un evento collettivo e ci sono solo tre o quattro film nella storia del cinema che hanno questa impostazione. Bisogna andare molto indietro nel tempo.
Andando indietro fino a La battaglia di Algeri e Sciopero, scopriamo film che raccontano fatti di massa, attraverso strutture narrative non in tre, ma in cinque atti, come la tragedia classica. Nella tragedia classica, i tre atti servono per raccontare la storia dell’eroe, mentre i cinque atti servono per raccontare la storia della città, della polis.
Quindi Diaz doveva essere un film epico, all’interno del quale però l’epos è un epos collettivo e non individuale. Dal punto di vista strettamente narrativo invece il film è un tributo alla genialità di Ettore Scola, che ne La Terrazza usa un meccanismo narrativo del tutto simile a quello che io ho utilizzato per Diaz, a sua volta mutuato da The Killing di Stanley Kubrick.
Storie che ruotano attorno a un fatto unico: l’inizio delle corse dei cavalli in The Killing, un giradischi ne La Terrazza, una bottiglietta che va indietro nel tempo, nel caso del mio film. Queste storie ti permettono di vivere la temporalità del racconto in modo non lineare. Si può andare avanti e indietro nel tempo.
Daniele Vicari, Diaz
Con il termine “Epica” intendi l’Epica greca o il teatro epico di Brecht?
Daniele Vicari: La nozione di epicità nel caso di Brecht aveva altri significati, ma non c’è dubbio che questo regista ci abbia insegnato a mettere in scena avvenimenti, tenendo presente il punto di vista di chi guarda, lavorando non sull’identificazione, ma sulla comprensione dell’avvenimento.
Prima mi riferivo proprio all’idea e alla storia di un destino collettivo. Per me in quel momento c’era il destino collettivo del nostro paese, che dopo Genova secondo me si è perduto. Noi abbiamo perduto il senso stesso della convivenza democratica. Oggi possiamo scherzare sul fatto che muoiano persone in mare, cazzeggiando al bar, e scrivere su twitter che è giusto che muoiano. Abbiamo perduto il senso profondo della democrazia. Siamo perduti.
Ma c’è soluzione?
Daniele Vicari: Solamente se accettiamo un conflitto. Siamo un animale morente. Moriremo e ci seppelliranno, a meno che non ci svegliamo e riportiamo le lancette della storia sul progresso. Si devono fare dei passi avanti e non dei passi indietro.
Un fatto gravissimo, che per fortuna qualcuno ricorda e fa ricordare: una delle tante voragini nere della storia italiana.
Tanto per scherzare:
Il mondo mi fa male.
Sono piena
di “lasciami stare”,
ma senza comunicare
è un mondo senza sale.
Ho bisogno
di una crema speciale
per farmi meno male.