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AFFARI INTERNAZIONALI — 11 GIUGNO 2021
https://www.affarinternazionali.it/2021/06/pedro-castillo-il-peru-ha-eletto-un-presidente-marxista/
Pedro Castillo: il Perù ha eletto un presidente marxista
11 Giu 2021 – Lo Spiegone
Lo Spiegone
Lo Spiegone è una testata giornalistica formata da studenti universitari e giovani professionisti provenienti da tutta Italia e sparsi per il mondo con l’obiettivo si spiegare le dinamiche che l’informazione di massa tralascia quando riporta le notizie legate alle relazioni internazionali, della politica e dell’economia.
Con uno scarto di circa 70mila voti (lo 0,4% su un totale di 17 milioni), il Perù ha eletto il socialista José Pedro Castillo Terrones come nuovo presidente. Per la terza volta consecutiva, la sfidante Keiko Fujimori non è riuscita a ottenere la maggioranza al ballottaggio e tornerà a sedere fra i banchi dell’opposizione. Per Castillo si è trattato di una vittoria di misura che segna la fine di una campagna elettorale inaspettata, dopo il trionfo del giovane partito Perú Libre nel voto per il primo turno.
Fino alla conta delle schede della prima votazione, l’11 aprile, il nome di Castillo era sconosciuto ai più. La prospettiva del ballottaggio sembrava lontanissima e per i più importanti sondaggi nazionali era destinato addirittura a rimanere fuori dal Congresso.
Dal primo turno, invece, Perú Libre è uscita trionfante con il 18,92% di preferenze (staccando di ben 6 punti Fuerza Popular di Fujimori) ed è entrato per la prima volta al Congresso con 37 parlamentari. Ha ottenuto quindi l’appoggio dell’unica candidata di rilievo apertamente progressista e di sinistra, Veronika Mendoza, e affinato il suo programma elettorale: referendum per una nuova Assemblea costituente, maggiore presenza dello Stato in economia e attenzione alle necessità delle classi più povere del Paese sono alcuni dei suoi punti di forza.
Fenomeno Castillo
Mentre il Paese si preparava per la seconda tornata elettorale di domenica 6 giugno, le foto che lo ritraggono a cavallo, circondato da una folla festante, facevano il giro del Paese: era nato così il fenomeno Castillo.
Dopo poche settimane il suo nome era in testa ai sondaggi: il nome di un maestro di scuola primaria, sindacalista, figlio di contadini analfabeti, apertamente socialista e alla guida di un partito d’ispirazione marxista.
Vicino a leader del socialismo sudamericano come Nicolás Maduro o Pepe Mujica, Castillo mantiene però delle posizioni spiccatamente conservatrici nel campo dei diritti umani. Durante diverse interviste ha più volte dichiarato di essere contro l’aborto, l’eutanasia, i matrimoni egualitari e la legalizzazione della marijuana.
La diretta avversaria, Keiko Fujimori, ha cercato di far leva sui tanti elettori indecisi riferendosi proprio alla pericolosità dell’avvento del comunismo in Perù, e spera ancora di vedere ribaltato il risultato in seguito ai riconteggi.
Si è creata così una profonda polarizzazione nel Paese andino, diviso sia geograficamente che politicamente. La capitale Lima è per Fujimori, le Ande sono per Castillo. Il “fronte democratico” dei centristi si spezza.
Un Paese polarizzato
Sulla base di un posizionamento diametralmente opposto, Castillo e Fujimori si sono accusati a vicenda di essere un pericolo per la democrazia e di non avere le competenze adatte per fronteggiare la crisi economica, oltre che politica, che sta devastando il Paese.
Castillo è descritto come troppo vicino a Maduro, con tutto quello che nell’immaginario collettivo può comportare; Fujimori paga invece le accuse di corruzione a suo carico e la memoria viva dell’autoritarismo del padre. Alberto Fujimori, alla guida del Perù per tutti gli anni ‘90, è ora in carcere dopo la condanna a 25 anni per 25 omicidi compiuti durante il suo governo.
Considerato il responsabile di gravi violazioni dei diritti umani, tra cui centinaia di casi di sterilizzazioni forzate nelle zone rurali e nelle comunità indigene, il suo ricordo ha influito molto a favore di Castillo, a cui sono andati i voti di tutti quegli elettori che non vorrebbero mai, di nuovo, un Fujimori al governo.
Un nuovo corso
Il successo di una figura come quella di Castillo, seppur sorprendente, non era del tutto imprevedibile. Nel novembre 2020, l’ex presidente Martín Vizcarra era stato deposto dal Parlamento mentre lo stesso portava avanti il suo piano di riforme a favore di una maggiore trasparenza e governabilità del Paese. La delusione per l’ennesimo caso di corruzione e malaffare si era trasformata in rabbia quando, alla richiesta di una nuova Assemblea costituente per cambiare lo statuto stilato dal governo di Alberto Fujimori nel 1993, i manifestanti sono stati colpiti dalla feroce violenza della polizia.
Pedro Castillo rappresenta un volto nuovo, non legato ai vecchi partiti che hanno segnato la scorsa legislatura e vicino alle istanze delle classi rurali e contadine del Paese. Le stesse che chiedevano un cambio radicale nella politica peruviana, insieme ai tanti giovani che, a novembre, erano scesi in piazza a manifestare per un nuovo Perù, libero dalla corruzione e con una nuova Costituzione.
La promessa di una ripresa economica, cardine del programma elettorale di Fujimori, non è bastato per riuscire a vincere. Non sono bastate nemmeno le sue scuse, con le quali la stessa ha provato a redimersi in pubblica piazza per i suoi errori del passato. A Castillo – che intanto prova a rassicurare: “Non toccheremo la proprietà privata” – resta l’arduo compito di gestire un Paese con un’economia in caduta libera e duramente colpito dalla pandemia.
A cura di Giacomo Zito, autore America Centrale e del Sud de Lo Spiegone
Foto di copertina EPA/Stringer
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