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foto da : https://ilbolive.unipd.it/
MINIATURA DI SUSETTE GONTARD, LA DIOTIMA DI FRIEDERICH HOLDERIN
AUTORE : Elisabeth Sömmering (um 1770-1802)
FonteAdolf Beck und Paul Raabe: Hölderlin. Insel-Verlag, Frankfurt am Main 1970
DA : https://it.m.wikipedia.org/wiki/File:Susette_Gontard_1.jpg
Lettere d’amore
Friedrich Hölderlin, Susette Gontard
A lungo banalizzata come una tipica fiaba romantica, la vicenda reale della coppia rivive in questo epistolario, svelando una figura modernissima di donna colta, intelligente e appassionata, che non teme di misurarsi con il suo interlocutore sul piano dei sentimenti oltre che su quello letterario e filosofico.
Friedrich Hölderlin: Susette e le lettere di un amore disperato
Intorno al destino infelice dei due amanti si scriveranno romanzi, drammi e poesie, si gireranno film, si diffonderà l’aura di un amore tragico perché assoluto
di Luigi Reitani
29 giugno 2021
Incisione su disegno di Norbert Schroedl (1870)
Lei era la moglie di un banchiere, bella, colta e sensibile. Lui un poeta di grandi speranze, chiamato a educare il figlio di lei. Tutti e due avevano meno di trent’anni, in un mondo che stava cambiando. Quando la loro relazione oltrepassò il limite tollerato, lui fu costretto a lasciare il posto da precettore e la casa del banchiere. Si trasferì in una cittadina limitrofa, ma non rinunciò a vederla. Continuarono a incontrarsi in segreto, si scambiarono lettere appassionate, si raccontarono i giorni, le ore e i minuti trascorsi in reciproca attesa.
BUSTO DI SUSETTE GONTARD
L’amore tra Susette Borckenstein-Gontard e Friedrich Hölderlin è entrato nelle cronache letterarie e ha acceso nel tempo la fantasia di artisti e scrittori. Come immaginare un triangolo amoroso più struggente e drammatico di quello che oppone il denaro all’ideale dell’arte? Da una parte un poeta che finirà i suoi giorni nell’isolamento e nella follia; dall’altra un banchiere che aveva scelto come motto «Les affaires avant tout». Tra loro una giovane donna, madre di quattro figli, che suona il pianoforte, disegna, legge e scrive. E si innamora perdutamente.
Friedrich Hölderlin ritratto dall’amico Franz Karl Hiemer, 1792
Johann Christian Friedrich Hölderlin (Lauffen am Neckar, 20 marzo 1770 – Tubinga, 7 giugno 1843) è stato un poeta tedesco, considerato tra i più grandi della letteratura mondiale.
Il poeta si allontana
Non sarà l’amore a trionfare. Il poeta si allontana definitivamente dall’amata e dalla città, alla ricerca di un nuovo sostentamento economico, iniziando quel percorso tormentato che lo porterà nel giro di qualche anno all’obnubilamento mentale, mentre la donna, minata da una malattia ai polmoni, muore di rosolia. Il banchiere non tarderà a risposarsi.
Rimarranno le lettere di lei, qualche abbozzo di quelle di lui, gli scritti ispirati da questa relazione clandestina. Rimarranno ricostruzioni fantasiose, aneddoti poco credibili, speculazioni senza fondamento. Intorno al destino infelice di Friedrich e Susette si scriveranno romanzi, drammi e poesie, si gireranno film, si diffonderà l’aura di un amore tragico perché assoluto. Le pagine lasciate in bianco dagli scarni documenti pervenuti saranno riempite di immaginari dialoghi. Già nell’Ottocento le icone stilizzate dei due amanti appaiono congiunte, in una sorta di doppio medaglione.
“Tempesta di neve”, Turner. I quadri del pittore romantico inglese rappresentano molto bene il gelido mondo moderno e tempestoso che dipinge Hölderlin nelle sue opere.
Diotima
Presto la figura storica di Susette Gontard sarà identificata con il personaggio letterario di Diotima, così come Hölderlin lo rappresenta nel romanzo Hyperion e altrove nei suoi versi. E quando nel Novecento le lettere di lei saranno finalmente «ritrovate» – ovvero strappate al riserbo imposto dalla morale corrente – gli editori troveranno opportuno pubblicarle sotto il titolo Le lettere di Diotima, quasi che a scriverle non fosse stata davvero una donna in carne e ossa, ma una proiezione letteraria, un’ombra del poeta, o meglio la sua «musa ispiratrice».
Ma davvero la storia d’amore fra Hölderlin e la Gontard non offre altre chiavi di lettura che quella di una favola stereotipata? Cosa sappiamo realmente di ciò che accadde? Quanto è possibile accertare di questa vicenda, dalle carte sfuggite alla censura dei familiari? E soprattutto: come leggere le lettere di lei? Chi fu la donna amata e amante di un poeta fra i più grandi della letteratura universale? Che peso ebbe effettivamente questa relazione nella vita di Hölderlin e nella sua tragica evoluzione? In quale costellazione storica si pone un episodio apparentemente privato come una relazione extraconiugale alla fine del Settecento? Furono Friedrich e Susette due amanti estraniati dal mondo e dalle sue dinamiche, o in questa storia compaiono altri personaggi, il cui ruolo fu determinante? In che modo letteratura e vita si specchiano l’una nell’altra? (…)
Hölderlin nel 1825, disegno di Eduard Mörike
La scrittura epistolare di Susette non perde occasione per farsi indagine dell’animo. Al suo centro ci sono sentimenti, inquietudini, fantasie. «Non avevo niente da raccontarti, ma tanto, davvero tanto da dirti», scrive. La donna sa bene che la relazione con l’amato non può avere un futuro, eppure si aggrappa ad essa con tutte le sue forze. Non è la speranza ingenua che un’occulta provvidenza consenta il «miracolo» di un ricongiungimento. È la fede nel proprio sentire.
Vivere è amare
Susette ama perché questa è la sua ragione d’essere. «Se non provassi più sentimenti, se l’amore dentro di me scomparisse – cosa sarebbe la mia vita senza amore! -, allora sprofonderei nella notte, nella morte.» Vivere è amare e amare è avvertire intensamente se stessi. Paure e desideri trovano in queste missive il luogo per affacciarsi alla coscienza. Nelle lettere l’io inventa se stesso. Al di fuori di loro non c’è alcuna soggettività. Ciò comporta il riconoscimento della discontinuità degli stati d’animo e il rifiuto di un’identità definita a priori. L’io sociale si dissolve. La fantasia estetica disconosce il primato del principio di realtà e prende le distanze dalla ragione. In questo contesto sono da collocare anche allucinazioni e pulsioni autodistruttive.
Una donna romantica
A dispetto di molti biografi e interpreti di Hölderlin, Susette Gontard non è Diotima, ma una donna romantica a cui è preclusa la strada dell’emancipazione e che solo nell’autonomia dell’arte riesce a sottrarsi alla tirannia dell’ambiente a cui appartiene.
Sono da pochi giorni in libreria e sulle piattaforme digitali le Lettere d’amore di Friedrich Hölderlin e Susette Gontard, nella traduzione di Adele Netti e Andreina Lavagetto (Mondadori, «Oscar Nuovi Classici», pagg. 208, € 10; e-book € 4,99).
Quando, intorno al 1822, il diciottenne Wilhelm Waiblinger comincia a frequentarlo, Hölderlin vive ormai da oltre vent’anni recluso nella «Torre» in riva al Neckar, obnubilato, isolato dal mondo – non è più, insomma, «da considerarsi tra i vivi». Va su e giù come «le fiere … nelle loro gabbie», suscitando in Waiblinger un brivido di orrore, recita giorno e notte un monologo incessante, e rivolge ai rari ospiti un profluvio di parole sconnesse in una lingua inventata. Mosso da un’ardente devozione, Waiblinger scruta con amorevole pietas la vita quotidiana del poeta, ma, soprattutto, riesce a penetrarne il delirio, parlando con lui di poesia, di musica e del passato, facendo in sua compagnia lunghe e rasserenanti passeggiate in riva al fiume o nella pace delle vigne. Di questa intensa frequentazione Friedrich Hölderlin, che Waiblinger scrisse tra il 1827 e il 1828 in Italia – dove si era trasferito per sfuggire alla miseria e all’autodistruzione –, è l’incantevole frutto: ritratto di mirabile intensità, fra novella romantica e dramma del destino, in cui il lettore troverà delineati la giovinezza di Hölderlin e i suoi studi, le passioni e gli amori infelici (come quello per Susette Gontard, la sua Diotima). Ma, al tempo stesso, molto di più: Waiblinger fu il primo a intuire la grandezza di Hölderlin, a cogliere il valore dei suoi manoscritti, a interrogarsi sul tormentato processo della sua scrittura, sicché questa testimonianza, capace più di qualsiasi saggio di avvicinarci al poeta, assume il peso di un precoce, essenziale gesto di fondazione critica.
La vita di Hölderlin è divisa esattamente in due metà: i 36 anni dal 1770 al 1806 e i 36 anni dal 1807 al 1843 che trascorre come pazzo nella casa del falegname Zimmer. Se nella prima metà il poeta vive nel mondo e partecipa nella misura delle sue forze alle vicende del suo tempo, la seconda metà della sua esistenza trascorre del tutto fuori del mondo, come se, malgrado le visite saltuarie che riceve, un muro la separasse da ogni relazione con gli eventi esterni. Per ragioni che forse risulteranno alla fine chiare a chi legge, Hölderlin ha deciso di espungere ogni carattere storico e sociale dalle azioni e dai gesti della sua vita. Secondo la testimonianza del suo piú antico biografo, egli ripeteva ostinatamente: «non mi succede nulla». La sua vita può solo essere oggetto di cronaca, non di una biografia e tanto meno di un’analisi clinica o psicologica. E, tuttavia, l’ipotesi del libro è che in questo modo Hölderlin ha consegnato all’umanità un’altra, inedita figura della vita, il cui significato genuinamente politico resta ancora da misurare, ma ci riguarda da vicino.
«La vita abitante di Hölderlin neutralizza l’opposizione fra pubblico e privato, li fa coincidere senza sintesi in una posizione di stallo. In questo senso, la sua vita abitante, né privata né pubblica, costituisce forse il lascito propriamente politico che il poeta consegna al pensiero. Anche in questo ci è vicino, a noi che della distinzione fra le due sfere non sappiamo piú nulla. La sua vita è una profezia di qualcosa che il suo tempo non poteva in alcun modo pensare senza sconfinare nella follia».
Nel suo saggio introduttivo, di cui pubblichiamo un estratto, Luigi Reitani ricostruisce da una prospettiva storico-culturale la tormentata relazione del poeta con la moglie di un banchiere di Francoforte alla fine del Settecento attraverso un puntuale studio dei testi e dei documenti, alcuni dei quali tradotti per la prima volta in italiano.
Il volume comprende un ricco apparato iconografico.
La “torre” di Hölderlin a Tubingen
Werther
L’11 settembre 1807, a seguito di una nuova crisi, Hölderlin viene ricoverato nella clinica psichiatrica del professor Ferdinand Autenrieth a Tubinga, i cui metodi sono insolitamente avanzati e rispettosi del malato per l’epoca, benché al suo nome sia comunque legata la “museruola di Autenrieth” destinata a impedire le urla dei pazienti, ma le sue condizioni non migliorano e viene dichiarato incurabile. Viene allora affidato nell’autunno del 1807 alla famiglia del falegname Ernst Zimmer, uomo di buona cultura che aveva anche letto il suo romanzo Hyperion: il poeta occupa una stanza all’ultimo piano, nel retro a forma circolare della casa dello Zimmer, e per questo motivo chiamata “la torre”: ha una vista bellissima del fiume Neckar e della sua valle. Qui Hölderlin trascorrerà tutti gli ultimi trentasei anni della sua vita.
Nei primi giorni del giugno 1843 scrive la sua ultima poesia, La veduta,
firmata Scardanelli e datata 24 marzo 1671:
«Riluce il giorno aperto agli uomini d’immagini,
quando traspare il verde dai più lontani piani,
ed al tramonto inclini la luce della sera,
bagliori delicati fan mite il nuovo giorno.
Appare spesso un mondo chiuso ed annuvolato
dubbioso interno all’uomo, il senso più crucciato,
la splendida natura i giorni rasserena,
sta la domanda oscura del dubbio più lontana»
Malato di polmonite, alle 23 del 7 giugno Hölderlin muore.
testo da : https://it.wikipedia.org/wiki/Friedrich_H%C3%B6lderlin