REPUBBLICA.IT — 24 GIUGNO 2021
Tra templi e vigne, alla scoperta dei Campi Flegrei del vino
VISTA SATELLITARE DEI CAMPI FLEGREI CON IL GOLFO DI POZZUOLI
NASA, FOTO PRESA DALL’ISS
I Campi Flegrei (dal greco flègo, che significa “brucio”, “ardo”) sono una vasta area situata nel golfo di Pozzuoli, a ovest della città di Napoli e del suo golfo. L’area è nota sin dall’antichità per la sua vivace attività vulcanica. È un antico supervulcano. L’area flegrea comprende in particolare i comuni di Napoli, Pozzuoli, Quarto, Giugliano in Campania, Bacoli e Monte di Procida.
La Solfatara di Pozzuoli
User:Kleuske – Opera propria
La Solfatara di Pozzuoli
Norbert Nagel – Opera propria
di Lara De Luna
Il Rione Terra di Pozzuoli e alle spalle le colline affacciate sul mare de Campi Flegrei
Tre cantine e un itinerario tra storia e viticoltura per raccontare una delle rotte meno battute, ma più belle, della Campania
24 GIUGNO 2021
“Campi. Una parola che sa di agricoltura, profumo di fiori, sapori genuini, colori delicati, ma che non appena è accostata a Flegrei, causa nella fantasia del viaggiatore uno strano effetto”.
Perché i Campi Flegrei, come spiega benissimo il Presidente Ente Parco Campi Flegrei Francesco Maisto nell’introduzione della guida promossa dal Parco in Collaborazione con il Mibact, quell’enclave territoriale che sta nel cuore dell’area puteolana ( = di Pozzuoli ) e ne plasma le maggiori caratteristiche, sono una terra senza confini.
Non ha quelli di tempo, perché è fatta di attualità e storia antica, e non ha quelli geografici, perché si plasma talmente tanto con la natura, che uno dei suoi siti archeologici più importanti si trova nelle profondità marine, visitabile solo scendendo nella pancia di vetro di una barca appositamente progettata.
E non ha due volte il contatto con il tempo, perché chi vive su questo lembo di terra meravigliosa, ha innato il concetto della fatalità: che tutto può finire in fretta, glielo ricordano ogni anno le scosse di bradisismo che spostano il livello del suolo e hanno totalmente spopolato il Rione Terra, meraviglioso quartiere a picco sul mare; glielo ricordano gli effluvi della Solfatara e le file di turisti che – prima del Covid ma anche in futuro – aspettano per visitarla; glielo ricordano i telegiornali e i sismologi che continuano a studiare, preoccupati, il Super vulcano che dà il suo nome a questa sub regione meravigliosa. Alla terra da cui Dante scese all’inferno e in cui, più prosaicamente, nacque la Sofia nazionale.
Qui anche se il Vesuvio è a pochi chilometri, tutto è diverso: la composizione del terreno dei due vulcani (quasi) addormentati racconta di due mondi totalmente diversi, anche se egualmente fertili e portatori di vita – tanto quanto di morte – fin dall’alba dei tempi.
Da un lato gli scavi di Ercolano e Pompei, dall’altro quelli di Baia e del Parco tutto, raccontano di una terra amatissima fin dall’antichità. Una terra che fin dall’antichità ha regalato agli uomini una vita felice e frutti ricchissimi. Come quelli della vite. Perché il vulcano è rigoglioso e regala ottimi vini, quelli della Campi Flegrei DOC, ma non necessariamente e non solo. Perché se è vero che alla denominazione si può scegliere o meno se aderire (il valore dei bollini di denominazione è proprio in questi tempi oggetto di analisi approfondite), la qualità intrinseca dei vini è innegabile. Il vino qui è arrivato più o meno attorno al 700 a.C., quasi tremila anni fa, e le prime tracce di un’uva sistematicamente coltivata e apprezzata raccontano della Falanghina, del Falerno e delle feste delle famiglie patrizie romane che ne apprezzavano “la dolcezza smielata” descritta da Plinio il Vecchio in alcuni suoi scritti.
LAGO D’AVERNO, GROTTA DELLA SIBILLA E TEMPIO DI APOLLO
La Falanghina è ancora qui, racconta ancora questo territorio e viene solitamente coltivata alla putuelana ( o pozzolana), un’antica forma di allenamento della vite in cui questa sostenuta da una falange (ossia una spalliera); a farle da contraltare il Piedirosso, in dialetto chiamato Per ‘e Palummo (piede di colombo) a causa di quel colore rosso che tinge i ceppi nodosi alla base delle vite, ricordando proprio le zampe del famoso pennuto.
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VITE DA VINO AGLIANICO
E l’Aglianico, che seppur non autoctono trova qui un terreno fertile. Vitigni che sono qui quasi da sempre e raccontano una terra testarda, capace di resistere a tutto; il resto lo fanno le alture a picco sul mare, il clima mediterraneo e quei terreni vulcanici uguali a nessun altro. Un connubio che regala vini caratterizzati dalla fragranza sottile e inebriante, da profumi di frutta delicatissimi che però hanno come contraltare un corpo deciso e sensuale.
Ed è da questo tesoretto incredibile che si può partire per un itinerario unico e speciale, quello che attraverso tre cantine simbolo di questo territorio, vi lascia scoprire la bellezza del vino e quella della storia che vanno insieme, a braccetto. Con anche qualche consiglio per mangiare bene, proprio lì dove camminavano gli Antichi. Tutte le tappe del viaggio sono nel cuore di questo territorio ricchissimo, il ché rende l’itinerario assolutamente modificabile a seconda del vostro sentire, del punto di accesso dal quale arrivate, che sia tangenziale o la strada interna che da Bagnoli passa a Pozzuoli, panoramica e struggente.
La vista dalle vigne di Cantine Averno. (foto Manuela Chiarolanza)
Volendo seguire un mero ordine alfabetico, il primo passo di questo viaggio vi porterà direttamente sulle rive dell’Averno, una tappa che già da sola varrebbe il tragitto. Respirare la stessa aria di Virgilio, Enea e Dante è impagabile e il panorama che si aprirà davanti ai vostri occhi realmente mistico.
LAGO D’AVERNO
Qui, sulle pendici delle colline che degradano verso questo specchio d’acqua, si trova il Tempio d’Apollo, struttura architettonica decisamente pregevole, già presente tra le pagine dell’Eneide; è qui, sul pronao del tempio che Enea sceglie di scendere negli inferi per poter parlare con il padre, oramai morto.
GROTTA DI COCEIO — FOTO CAMPI FLEGREI
E qui si trova un antico esempio di costruzione militare: la Grotta di Coceio era un cunicolo romano che spunta a Cuma, creato per ovvi scopi strategici. Proprio su questi pendii ha sede l’azienda le Cantine dell’Averno, che all’interno degli ettari di possedimento ingloba il Tempio dedicato al dio del sole. Una cantina piccola, progettata per poche bottiglie e numeri contenuti, la cui filosofia si basa esclusivamente sui vitigni autoctoni che vengono criomacerati, i bianchi, e prodotti tramite macerazione prefermentativa a freddo, i rossi. Il risultato sono vini di qualità e spessore, baciati dall’esposizione a ovest e dal microclima speciale generato dalle acque del lago e dal mare non troppo distante. La coltivazione della vite avviene su terrazze utilizzando impianti a spalliera con sistemazione a Guyot e la cura della vigna, dalla potatura alla gestione della chioma al verde, fino alla vendemmia, viene effettuata meticolosamente a mano, in un regime quasi eroico. Quattro le etichette, che raccontano in toto le capacità vitivinicole di questo territorio: un Campi Flegrei Piedirosso Doc, un Campi Flegrei Falanghina Doc, il Campi Flegrei Piedirosso Riserva Papè Satan e un Campi Flegrei Vigna del Canneto, ancora Falanghina. Qui troverete anche la possibilità di sostare
nell’agriturismo aziendale, che ha camere e una cucina del territorio con una forte impronta etica.
L’antro della sibilla cumana
Una viticoltura di persistenza, enoica e storica, quella invece di Salvatore Martusciello, le cui vigne flegree (che sono solo una parte dei possedimenti aziendali, gli altri si trovano nell’agro casertano), si trovano all’interno degli Scavi archeologici di Cuma, lì dove nella nebbia dei tempi si trovava l’antro della Sibilla.
Il territorio dove sorse questa colonia greca fu abitato fin dall’età preistorica, il terreno era ricchissimo e i greci innamorati e folgorati da questa terra decisero di insediarsi qui, a metà dell’VIII secolo a.C.. In una terra che ancora oggi è una delle colonie tra le più lontane in assoluto dalla madrepatria. Leggenda, e storia, vogliono che la città sia stata fondata negli anni a cavallo della metà dell’VIII secolo a.C. quando gli Eubei di Calcide scelsero di approdare in quel punto della costa perché attratti dal volo di una colomba o secondo altri da un fragore di cembali.
I fondatori trovarono un terreno particolarmente fertile ai margini della pianura campana, tanto che nonostante fossero commercianti e marinai di tradizione – e continuarono a esserlo – riuscirono ad accrescere il loro potere sul territorio proprio grazie all’agricoltura. E al vino.
La stessa terra fertile da cui oggi Martusciello trae due delle sue etichette: il Settevulcani Falanghina dei Campi Flegrei e il Settevulcani Piedirosso dei Campi Flegrei.
Settevulcani perché le bocche della solfatara sono innumerevoli e rappresentano nello stesso tempo la vita e la salvezza, allentando la pressione sulla caldara sottostante il suolo calpestato. I terreni vengono condivisi e affiancati a quelli dell’azienda Cumadoro della famiglia Tammaro, che continua imperterrita un’altra tradizione agricola di questa terra: quella dei pomodori cannellino, coltivati manualmente attraverso l’utilizzo di canne e fil di ferro per il sostegno delle piante.
I pomodori cannellino di Cumadoro
E ancora una cantina all’interno di un patrimonio storico e naturalistico incredibile: Cantine Astroni, che testimonia ancora una volta, insieme alle aziende colleghe, di quanto la città e il vino, la storia e la produttività, possano in realtà andare di pari passo.
In questo angolo di terra unica baciata dal mare, animata dal fuoco vulcanico e abbracciata dal mito, la famiglia Varchetta da oltre 100 anni si impegna nella salvaguardia, valorizzazione e promozione del grande patrimonio locale. L’amore per la terra e la capacità di lasciarsi aiutare dalla tecnologia, lì dove possibile, hanno portato a un lavoro che racconta il territorio attraverso i vitigni prefillossera, coltivati a piede franco, strettamente autoctoni: Falanghina e Piedirosso dei Campi Flegrei.
Cantine Astroni
I Varchetta prendono molto sul serio il fatto di trovarsi in un territorio che è cultura a 360°, cultura della terra e cultura della storia e si impegnano a valorizzare questo patrimonio in molti modi.
Da alcuni anni, infatti, l’azienda ha avviato un progetto di promozione del territorio attraverso l’arte, la comunicazione e l’educazione; a oggi alterna la quotidianità della cantina – vinificazione a parte – tra percorsi didattici, vite, degustazioni ed eventi, ma anche mostre e lezioni tematiche di vario genere. Il tutto in bilico sulle pendici del cratere che, costeggiato dalla tangenziale di Napoli, a contatto con la modernità più spinta, ha un’estensione di circa 250 ettari ed un perimetro di circa 6,5 km. Decisamente imponente con i suoi tre colli interni su cui si alternano in vari appezzamenti, le vigne aziendali, su questo territorio vulcanico che risale a oltre 4mila anni fa. Una terra arricchita dagli stagni e da un ecosistema tanto variegato che i Borboni l’avevano designato tra i siti reali di caccia.
Modernità e storia, terra e vino, scavi archeologici e mani vive, piene di calli e di vita. Una delle terre meno battute del napoletano dai turisti stranieri che ha tanto da dare. Anche nel calice.