Canaletto
Il grande maestro del vedutismo veneto.
Autore: Giuseppe Nifosì, storico dell’arte e dell’architettura
Pubblicato in Il Settecento –
Data: Novembre 21, 2019
A Venezia, nel XVIII secolo, si affermò il genere pittorico del vedutismo, nato già nel corso del Seicento, quando si iniziarono a realizzare dipinti, disegni o incisioni capaci di rappresentare con fedeltà, in forma prospettica, luoghi, edifici, scorci di città. Fu nel Settecento, tuttavia, che questo cosiddetto vedutismo si trasformò in un filone molto fortunato; per il loro carattere documentario, infatti, le vedute furono grandemente richieste dai viaggiatori stranieri che giungevano in Italia per il cosiddetto grand tour (letteralmente: ‘gran giro’), il viaggio compiuto da giovani aristocratici per le principali città d’Italia allo scopo di completare la propria formazione culturale. Questi ricchi turisti ante litteram richiedevano rappresentazioni dei monumenti antichi e moderni, nonché scorci di luoghi significativi sotto il profilo monumentale o pittoresco: quindi piazze, strade e chiese delle più belle città italiane (come Roma, Venezia, Napoli, Firenze e Palermo).
Canaletto, Il Canal Grande visto da campo San Vio, 1723. Olio su tela, 142 x 214 cm. Madrid, Museo Tyssen-Bornemisza.
L’esponente più autorevole del vedutismo veneto fu il pittore e incisore Giovanni Antonio Canal, detto Canaletto (1697-1768). Il soprannome, di tono confidenziale, gli derivò probabilmente dalla bassa statura. Della sua formazione e delle sue prime prove non rimane alcuna testimonianza. Nel 1719 si recò a Roma, dove conobbe e frequentò paesaggisti italiani e stranieri residenti nell’Urbe, ricavandone un rifiuto per la prospettiva scenografica teatrale, basata unicamente sull’illusionismo, e maturando un nuovo, radicato interesse per la riproduzione fedele del paesaggio naturale e urbano. Tornato a Venezia come “pittor de vedute”, iniziò a dipingere le sue vedute della città, tutte di altissima qualità in piccolo, medio o grande formato, per le tasche di acquirenti ricchi e meno ricchi, comunque in cerca di souvenir di lusso.
Canaletto, Riva degli Schiavoni verso est, 1745 ca. Olio su tela, 40,1 x 59,7 cm. Edimburgo, Scottish National Gallery.
Canaletto, Il ritorno del bucintoro al molo, 1734. Olio su tela, 77 X 126 cm. Windsor Castle, Royal Collection.
La pittura di Canaletto fu rivolta alla documentazione precisa dell’ambiente, di cui seppe riproporre magistralmente edifici, oggetti e figure (nella ricerca di una «certezza illuministica di verità assoluta», come ha scritto Roberto Longhi), non trascurando tutte le sfumature del mutevole rapporto fra cose e luce. Consideriamo, per esempio, il quadro con Il bacino di San Marco nel giorno dell’Ascensione, opera che descrive una delle feste più importanti di Venezia. Il giorno dell’Ascensione, infatti, si celebrava il simbolico sposalizio della città con il mare: il doge saliva con le magistrature della Repubblica sul bucintoro, la sua imbarcazione di parata usata in occasione delle feste pubbliche, e dopo una festosa cerimonia gettava in acqua un anello nuziale.
Canaletto, Il bacino di San Marco nel giorno dell’Ascensione, 1735-41 ca. Olio su tela, 1,21 x 1,82 m. Londra, National Gallery.
In quest’opera, come ha scritto un grande storico dell’arte, Federico Zeri, «tutto viene messo a fuoco con una lucidità impressionante e da questo quadro si potrebbero ricavare una quantità di dettagli, tali da ricavare un intero volume, perché non c’è nessun elemento che sia trascurato o trattato come un accessorio di fondo. Tutto è disposto con puntuale e scrupolosissima lucidità, le distanze, i colori, lo stesso cielo».
Ogni quadro di Canaletto, e citiamo per esempio Veduta di Venezia con il Molo dalla Piazzetta verso punta della Dogana, realizzato tra il 1730 e il 1745, documenta con precisione l’ambiente urbano, di cui ripropone magistralmente edifici, oggetti e figure, non trascurando tutte le sfumature del mutevole rapporto fra la luce e l’architettura.
Canaletto, Veduta di Venezia con il Molo dalla Piazzetta verso punta della Dogana, 1730-45 ca. Olio su tela, 1,105 x 1,855 m. Milano, Collezione Albertini.
In primo piano, a destra, si riconosce la Colonna di San Teodoro, dietro la quale è la Libreria sansoviniana; a sinistra, sullo sfondo, si scorge la Chiesa di Santa Maria della Salute di Longhena. Canaletto si servì certamente della camera ottica per realizzare quest’opera. La costruzione prospettica del dipinto è infatti rigorosa: tutte le linee principali del quadro convergono verso un solo punto, posto sulla linea d’orizzonte e quasi al centro della composizione. Anche le figure che animano il molo sono ordinate in modo da rendere tangibile questo andamento prospettico e perfino la disposizione del selciato, riprodotto con obbiettiva esattezza, rende evidente la profondità spaziale. Canaletto è stato capace di mettere a fuoco ogni dettaglio con impressionante lucidità: nelle sue opere, nulla è trascurato o trattato come un elemento accessorio. Vi sono, nei suoi dipinti, centinaia di particolari e ogni piccola porzione di tela è, di per sé, un quadro nel quadro. Per Canaletto, infatti, le architetture non costituivano dei semplici fondali decorativi ma erano i veri soggetti dell’opera; le figure umane, i barcaioli, i gondolieri, i mercanti, le donne, i bambini che giocano hanno infatti proporzioni ridottissime. Eppure, sono anch’essi studiati con cura meticolosa, sia nell’atteggiamento sia nelle vesti: il dipinto può dunque essere letto nel suo complesso, con un colpo d’occhio, oppure analizzato, soffermandosi sui dettagli più minuti. Una qualità che rende l’opera ancora più apprezzabile agli occhi dei suoi ammiratori. Infatti, il pubblico settecentesco non ammirava in Canaletto la vocazione di scenografo. Apprezzava, invece, la sua capacità di rendere assolutamente credibile la scena rappresentata, di mettere lo spettatore in condizione d’immaginarsi affacciato ad una finestra, mentre guarda curioso la gente che chiacchiericcia a coppie o a gruppetti, o che vende la propria mercanzia o è impegnata nelle proprie faccende. Poi, dopo che lo sguardo ha per un po’ girovagato lungo la superficie della tela, si scoprono per caso alcuni cagnolini che vagabondano scodinzolanti per il molo. E sono proprio queste macchiette bianche e nere, così apparentemente insignificanti, così prive di ambizione, a racchiudere tutta la misteriosa magia del dipinto.
Canaletto, Piazza San Marco, 1723 ca. Olio su tela, 141,5×204,5 cm. Madrid, Museo Thyssen-Bornemisza.
Canaletto, Venezia, interno della Basilica di San Marco, 1740-45. Olio su tela, 42 x 29 cm. Montreal, Museum of Fine Arts.
Divenuto ricercatissimo, Canaletto fu amato, sconfinatamente, dal pubblico britannico. Sin dal 1725 iniziò a lavorare per i mercanti d’arte inglesi, che poi rivendevano i suoi quadri alla nobiltà d’Oltremanica; il solo console inglese a Venezia, Joseph Smith, gli commissionò decine di dipinti, che furono poi acquistati in blocco da re Giorgio III. Recatosi personalmente in Inghilterra nel 1746, vi soggiornò per dieci anni, producendo un gran numero di quadri, oggi sparsi per le collezioni pubbliche e private del Regno Unito.
Canaletto, L’Abbazia di Westminster con la processione, 1749. Olio su tela, 99 X 101 cm. Londra, Abbazia di Westminster, Warwick.
Canaletto, Il Tamigi con la Cattedrale di St. Paul il giorno di Lord Mayor, 1746. Olio su tela, 38×27 cm. Praga, Collezione Lobkowicz.
Meglio di una fotografia!