HUFFIGTON POST — 15 GIUGNO 2021
GIAMPIERO MUGHINI, giornalista e scrittore
Il pupazzetto nazi nero su bianco di Munari, nell’Italia delle sfumature di grigio.
H come hitlerita. Forse la più fatale pagina di un libro dell’intera storia della moderna editoria italiana di qualità
EINAUDI, Abecedario, Bruno Munari (Einaudi, 1942)
C’è la pagina di un libro che è forse la più fatale dell’intera storia della moderna editoria italiana di qualità, se è vero che quella pagina ha fatto sì che ne venisse sotterrato uno dei tanti capolavori di Bruno Munari, l’Abecedario pubblicato da Einaudi nel 1942 e successivamente divenuto introvabile. Al punto che Claudio Pavese, il più importante studioso e collezionista italiano delle edizioni Einaudi dal loro debutto fino ad oggi, non era mai riuscito a trovarne una copia – forse l’unico libro del catalogo Einaudi assente dalla sua collezione – e questo sino a pochi giorni fa, quando uno dei migliori librai antiquari del moderno, l’Alessandro Santero di Asti, gliene ha trovato una copia che Pavese ha pagato 4000 euro.
Santero quella copia l’aveva trovata del tutto casualmente in un blocchetto di libri per bambini acquistati tempo fa, e difatti quel gioiello di Munari era stato pensato dal Giulio Einaudi del 1942 come facente parte di una terna di libri per bambini e questo perché l’editore di libri per bambini aveva diritto a un sovrappiù della carta il cui razionamento era soffocante per un editore italiano del 1942.
I tre libri erano il Munari, il magnificoLe bellissime avventure di Caterì dalla trecciolinaassieme scritto e disegnato dalla debuttante Elsa Morante, e il Caccia grossa fra le erbe di Mario Sturani, un libro per immagini del pittore e creatore principe delle ceramiche Lenci degli anni Trenta.
MARIO STURANI (Ancona 1906-Torino 1978)
MARIO STURANI, Scodella. Quattro cavalieri – 1930
Come diceva il titolo, il libro di Munari era un libro costruito pagina dopo pagina da ciascuna lettera dell’alfabeto italiano alla quale erano dedicate due pagine, la pagina di sinistra a indicare la lettera, la pagina di destra con la raffigurazione di un qualche cosa che cominciava con quella lettera. A sinistra la “D”, a destra la raffigurazione di un “dromedario” e di un “dado”. Ed ecco lo scandalo. Arrivati alla lettera “H”, alla pagina di destra la raffigurazione era quella di un “hitlerita”, di un soldato nazi che sventolava la bandiera con impressa la croce celtica. Pupazzetto più pupazzetto meno, e allora?, direte voi. E invece no, questo lo dite perché vivete nel terzo millennio inoltrato. Da quanto è lacerante la faccenda, per quelli che sfogliavano un libro negli anni Quaranta la cosa non era così semplice. Sembrerebbe che il solo guardare quel pupazzetto comportasse un condividerne il ruolo nell’Europa dei Quaranta, condividerne le gesta, condividerne l’ideologia.
Munari, Einaudi e l’abecedario fantasma
Claudio Pavese
Articolo acquistabile con 18App e Carta del Docente
Editore: Luni Editrice
Collana: Il sogno di Gutenberg
Anno edizione: 2021
In commercio dal: 8 giugno 2021
Pagine: 48 p.
10 EURP PREZZO PIENO
Tutto questo è surreale, ma basta leggere il saporoso libro che Claudio Pavese ha appena pubblicato per la Luni Editrice (Munari, Einaudi e l’abecedario fantasma), quando ancora non aveva trovato una copia del libro da includere nella sua collezione per rendersene conto. È un fatto che il libro non ebbe il tempo di essere pubblicato che già era sparito dalla circolazione. Un po’ di copie dovevano essere andate perdute a causa di un bombardamento che aveva infierito su un magazzino della casa editrice torinese, ma il resto? E ancora, perché mai Munari e dunque la casa editrice avevano scelto un “hitlerita” ad accompagnare la lettera “H”? Era un modo per tenersi buoni i nazifascisti sovrani nell’Italia del nord, era un modo per scansare le accuse di eresia politica che incombevano sulla casa editrice fondata da Giulio Einaudi? Che voleva fare Einaudi, in una lettera scovata da Pavese, quando accennava alla possibilità di raffigurare nella pagina di destra corrispondente alla lettera “S” nientemeno che l’immagine di uno “Spitfire” che cadeva giù colpito dai caccia tedeschi, quella sì un’immagine insultante oltre che falsa dato che i caccia inglesi nell’estate del 1940 avevano fatto un culo così agli aerei tedeschi? Ma davvero qualcuno alla Einaudi ha pensato di rabbonire i nazifascisti o non è che Munari abbia semplicemente utilizzato quel pupazzetto come di ogni cosa che aveva a portata di sguardo, ossia come un materiale perfettamente neutro, come un frammento del reale punto e basta? Stesse a me, non esiterei nello scegliere la seconda che ho detto, e comunque ho avuto la fortuna di trovare una copia dell’Abecedario una trentina di anni fa, agli esordi della mia collezione.
Anche se Pavese ha dalla sua un ulteriore reperto. Il fatto che lui avesse trovato (e comprato) dal grande libraio torinese Giorgio Maffei una copia dell’Abecedario dove la figuretta dell’ “hitlerita” era completamente occultata da un grumo di inchiostro nero. Chi l’aveva posseduta aveva voluto cancellare l’immagine che ai suoi occhi destava scandalo. Era un tempo in cui le conseguenze della diade avversativa fascismo/antifascismo arrivavano in cielo da quanto erano totalizzanti, bastava un niente a contrassegnare se stavi dalla parte della Grande Verità o della Grande Menzogna.
Non che nella realtà e nella verità della società italiana le cose fossero andate esattamente così. Il muro divisorio tra filofascismo e antifascismo era stato tutto fuorché invalicabile. Molti degli intellettuali che aderirono entusiasticamente al Pci nell’immediato dopoguerra erano stati degli accaniti fascisti di sinistra. L’eroe tra i caduti della Resistenza che aveva nome Giaime Pintor aveva partecipato ai Littoriali della Cultura. Era stato Pintor a volere che la Einaudi pubblicasse nel 1943 I proscritti il bellissimo romanzo di Ernst Von Salomon, uno di quelli che avevano apprestato l’agguato mortale al ministro liberale ebreo Walther Rathenau per il quale Von Salomon fu condannato a cinque anni: nelle carte di Pintor è stata trovata la traduzione di uno dei libri di Carl Schmitt, l’intellettuale tedesco che più a fondo ragionò a favore del nazismo. (Pintor non aveva nulla del “compagno” degli anni dell’immediato dopoguerra. Aveva tutto del Grande Borghese). Il Cesare Pavese che fungeva da anima propulsore della Einaudi nel suo famigerato “Taccuino segreto” scriveva che erano forse eccessive le bestialità e le violenze imputate ai nazisti durante la guerra.
Non tutto era nero, non tutto era bianco. Non è mai stato così nelle vicende degli uomini, e per giunta in vicende moralmente e ideologicamente talmente aggrovigliate come quelle degli anni Trenta e Quaranta in Europa. Altro che un pupazzetto messo sulla pagina di destra di un libro per bambini.
QUELLO CHE SEGUE E’ DA :
https://www.topipittori.it/it/topipittori/elsa-che-raccontava
Elsa che raccontava
[di Luisa Mattia]
Provo a immaginare la bambina Elsa. Lei, che diventerà “La Morante”. Lei, quella che scriverà Menzogna e sortilegio. Lei, che scriverà L’isola di Arturo. Lei, che racconterà con affetto profondo di narratore le vicende del piccolo Useppe, protagonista del romanzo La storia. Lei, è stata bambina. Non sappiamo granché della sua infanzia romana, passata tra i libri e l’immaginazione. Non sappiamo come vestisse né quale fosse il gusto di gelato preferito. Non sappiamo quale fosse il giocattolo più amato. Sappiamo che amava i gatti e i grandi cappelli, che aveva occhi grandi e lo sguardo severo, che volentieri sorrideva e faceva una smorfia da monella. Si vede bene, nelle foto.
Sappiamo, anche, quale fosse il suo gioco più bello, quello che maggiormente la attraeva e che, con allegria ostinata, praticava: raccontare. Non si vede dalle fotografie ma da un libro. Un libro che pare una festa. Ci sono disegni – tanti –in bianco e nero e coi colori. E una storia che comincia piano piano e sembra che subito smetta. E invece no, ricomincia , come fosse la geometria di un caleidoscopio. Il libro racconta una storia buffa. Una storia che non è una sola ma tante. C’è Caterì, la protagonista. E una bambola brutta che si chiama Bellissima (come resistere al gioco del contrasto?) e che si perde perché Caterì prima non la vuole e dopo la rivuole ma…è troppo tardi per ripensarci! Così comincia un viaggio.
Lo racconta Elsa, che è una bambina a cui piacciono i viaggi e le fiabe. Ha imparato dai libri che le due cose – le storie e i viaggi – vanno sempre insieme. Perché se ti muovi, ti sposti, insegui un sogno o una brutta bamboletta di pezza che si chiama Bellissima… beh, le avventure ti vengono incontro. Certe volte sono lievi come la brezza del mare d’estate. Certe altre soffiano forte come un vento cattivo e ti fanno rotolare, carambolare, precipitare così forte che ti sembra di non farcela proprio ad andare avanti.
Elsa sa bene, però, che– nelle fiabe e certe volte nella vita – quando sei lì che ti sembra di essere sola e che nessuno ti possa aiutare, arriva invece una mano che ti solleva, una faccia che ti sorride, un braccio a cu ipotersi appoggiare. Così, nella storia che racconta le avventure di Caterì-Caterina, la bambina affronta il viaggio insieme al suo amico Tit il Magnifico. Alla ricerca di Bellissima che chissà dove è finita ma, ne siamo certi, si ritroverà.
Comincia una storia che si scioglie come una filastrocca, come una cantilena, come una ballata messa in scena nel Gran Teatro delle storie.
Elsa– chissà? – deve aver letto molto, molto giocato con burattini e marionette – avrà avuto un teatrino? – e molto ascoltato le storie raccontate dai grandi. Forse le ha sentite dai vecchi, che sono bravi a raccontare, perché vanno lenti e si fermano sulle parole, riprendono fiato nel mezzo delle avventure e tu che li ascolti non ti allontani dalla sedia, non smetti di concentrarti sulla loro voce quieta, per non perdere neppure una parola.
Si sarà parecchio divertita, Elsa la bambina, ad ascoltare le storie. Poi dev’essere successo che, in qualche ora del giorno o della sera, non c’è stato vecchio né adulto capace di raccontare. E che ha fatto Elsa? Quel che è giusto fare. Si è messa ad inventare. S’èraccontata le storie, come le andava di fare. Ha preso un pupazzetto, s’è messa dietro la poltrona, magari, per fare una voce, e poi un’altra. Per fare un teatro di storie. Le piace dare voce ai personaggi. E dargli un nome.
Nella storia di Caterinetta, la bambina Elsa – che, di certo, prima ha immaginato una storia, e le voci, e le facce – ci sono tanti con nomi buffi e strani. Ci sono Sparacannone e Terrore, briganti. C’è Grigia, la donna-dei-sogni-del-mercante-di-stoffe. C’è la Regina delle fate e il Principe Felice, il signor Gufo e una Vecchia Quercia che sorride.
È una festa, questo libro che narra Le bellissime avventure di Caterina, perché c’è dentro il gioco del raccontare, insieme ai sogni e alle risate; perché quel che è buffo diventa voce e disegno, prende forma in un raccontare che ha bisogno di una casa dove stare. La storia di Caterì ha bisogno di diventare un libro. Elsa la bambina ci si mette a fare la storia, i disegni e il libro.
Li pensa, li immagina, li compone. Non pensa più solo al suo divertimento, al suo buffo inventare. Pensa al lettore. E qui c’è lo stupore. Non solo del lettore ma anche di Elsa la bambina che, è certo, deve essersi resa conto che il gioco del narrare prende le forme belle del futuro. Caterì, Bellissima, Tit e tutti gli altri stavano e stanno nelle pagine, s’affacciano dai disegni, spuntano dalle tavole a colori. Fanno la storia. E fanno anche l’autrice.P erché quando chi racconta – qualunque sia la sua età. Elsa quando scrive di Caterì, ha tredici anni – incontra il suo lettore diventa narratrice/narratore, non è più capace di fare a meno di colui/colei che leggerà. Ne ha bisogno come una fiaba ha bisogno del lieto fine. Chi racconta cerca chi lo ascolterà. Chi scrive cerca chi lo leggerà .Elsa, alla fine delle avventure di Caterina, segna e disegna il suo futuro: diventa scrittrice, anche se ancora non lo sa.
Le immagini che corredano questo bello scritto di Luisa Mattia sono della nostra copia de Le bellissime avventure di Caterì dalla trecciolina, nella prima edizione, in grande formato, con dorso in tela blu, di Giulio Einaudi Editore (1942-XX). La nostra copia è in condizioni eccellenti, a parte uno scoloramento della carta alle prime cinque pagine, in un cerchio di pochi millimetri di diametro. Si tratta di un’edizione eccessivamente rara. Sul mercato si trovano più facilmente, ma a volte a prezzi ingiustificatamente alti, le altre edizioni einaudiane. Dal 1959, le “bellissime” avventure diventano, chissà perché, “straordinarie”. Le straordinarie avventure di Caterì dalla trecciolina è, quest’anno, uno dei libri imperdibili segnalati da Scelte di classe 2011, selezione dei migliori libri del 2010, organizzata da Tribù dei lettori, iniziativa di cui presto ci risentirete parlare.
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