Non c’entra niente, ma…
Dal libro di Giovanni De Luna,” Le ragioni di un decennio:1969-1979. Militanza, violenza, sconfitta, memoria”, Feltrinelli 2009, pag.147 e seguenti:
Le ragioni di un decennio. 1969-1979. Militanza, violenza, sconfitta, memoria
Giovanni De Luna, docente di Storia contemporanea
all’Università di Torino
Presentazione dell’editore:
“Anni di piombo”. Con questa espressione un po’ spettrale si è creduto – e tuttora spesso si crede – di poter riassumere un intero decennio della nostra storia, quello che va dalla strage di Piazza Fontana del dicembre 1969 al “riflusso” degli anni ottanta. Eppure sotto quella coltre di piombo restano ancora seppellite le tracce e le storie di troppi protagonisti, in primo luogo le vittime innocenti ma non inconsapevoli di una violenza che le ha travolte insieme ai movimenti e alle idee alle quali avevano deciso di dedicare la propria vita. È un passato che in Italia non riesce ancora a passare, ma su cui non si riesce a costruire una memoria pubblica condivisa. Non si tratta di difendere il decennio dai suoi detrattori. Piuttosto, il tentativo è quello di smontarlo, di sottrarlo a immagini troppo univoche. Solo così possono riemergere le coordinate di uno straordinario impegno politico e i contorni di una militanza dai tratti profondamente originali, solo così riesce a rivivere uno “spirito del tempo” fatto non solo di violenza, ma di canzoni, film, intrecci della memoria e rapporto con la Storia. Un saggio sul passato recente che si fa riflessione sulle dinamiche profonde del nostro presente.
DONATELLA
Sempre arrabbiatissima col mondo –—
” Nessun calendario, nessuna opzione di date è mai completamente ” innocente” sul piano dell’interpretazione storiografica.
Per un’altra ” giornata della memoria”, ad esempio- quella dedicata alla tragedia degli italiani uccisi e gettati nelle foibe nei territori della ex-Jugoslavia- non è stato scelto un riferimento al settembre 1943 o al maggio 1945 ( le due fasi in cui la violenza antitaliana si scatenò con particolare efferatezza) preferendo indicare il 10 febbraio, una data, cioè, immediatamente a ridosso del 27 gennaio dedicato al ricordo della Shoah, tanto da suggerire una sorta di immediata equidistanza dalle due memorie.
Senza contare che, così, il trattato di pace- firmato a Parigi proprio il 10 febbraio 1947– con cui l’Italia venne chiamata a rendere conto delle guerre del fascismo, assume le vesti di una dolorosa ingiustizia.
Attaccato dal basso da una dilagante privatizzazione della memoria, alimentata proprio dai media, e dall’alto di una dimensione planetaria che svuota dall’interno il principio territoriale della sua sovranità, lo Stato nazionale ha affrontato insomma questa crisi di legittimità accentuando la politicizzazione della memoria per costruire una nuova identità su cui fondare una versione più attuale di cittadinanza… Ne è scaturita una elefantiasi della memoria pubblica e istituzionale che ha rischiato però di favorire più l’oblio che il ricordo. Troppe contraddizioni, troppa enfasi celebrativa, troppe tradizioni inventate, troppi morti invocati per legittimare il presente. Una memoria così è destinata a implodere su se stessa, le sue dimensioni straripanti diventano paradossalmente un ostacolo a ” fare la pace”, un abito di Arlecchino che ognuno indossa come gli pare; sotto la crosta di un’unanimità formale, le memorie restano inconciliate e separate…”.
NOTA :
TRATTATO DI PACE DEL 10 FEBBRAIO 1947
Il trattato attribuisce all’Italia fascista, avendo partecipato al Patto tripartito con la Germania e il Giappone, la responsabilità della guerra di aggressione con le potenze alleate e le altre Nazioni Unite ma ammette che, con l’aiuto degli elementi democratici del popolo italiano, il regime fascista venne rovesciato il 25 luglio 1943 e l’Italia, essendosi arresa senza condizioni, dichiarò guerra alla Germania alla data del 13 ottobre 1943, divenendo così cobelligerante nella guerra contro la Germania stessa. Dopo tali premesse, si riconosce la comune volontà delle parti firmatarie di concludere un trattato di pace che, conformandosi ai principi di giustizia, regoli le questioni pendenti a seguito degli avvenimenti bellici, per formare la base di amichevoli relazioni e permettere alle potenze alleate di appoggiare l’ingresso dell’Italia nelle Nazioni Unite.
Il contenuto del trattato di pace, tuttavia, non si limitò a regolare le questioni pendenti a seguito degli avvenimenti bellici ma impose anche la cessione di territori sui quali la sovranità dell’Italia era stata riconosciuta già in epoca antecedente all’avvento del regime fascista. Tale circostanza è riferibile, in particolare, al tracciato della frontiera orientale che era stato liberamente definito nel 1920 in accordo con lo stato jugoslavo, al quale la Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia era subentrata a ogni effetto.
Il Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi, con tatto e con fermezza, fece presente tutto ciò nel suo discorso alla conferenza della pace del 10 agosto 1946, sottolineando che l’81% del territorio della Venezia Giulia sarebbe stato assegnato agli jugoslavi, rinnegando anche una linea etnica più interna che l’Italia si era dichiarata disponibile ad accettare e addirittura la Carta Atlantica che riconosceva alle popolazioni il diritto di consultazione sui cambiamenti territoriali. Lo statista italiano concludeva che, nonostante ciò, il sacrificio dell’Italia avrebbe avuto un compenso se almeno il trattato si fosse posto come uno strumento ricostruttivo di cooperazione internazionale e l’Italia fosse ammessa nell’ONU in base al principio della sovrana uguaglianza sotto il patrocinio dei vincitori, tutti d’accordo nel bandire l’uso della forza nelle relazioni internazionali e a garantirsi vicendevolmente l’integrità territoriale e l’indipendenza politica[1]. Tutto il lungo discorso di De Gasperi, sebbene raggiunse un ampio consenso dal punto di vista teorico, permettendogli maggiore considerazione personale da parte delle potenze internazionali, nell’immediato futuro, di fatto però, non modificò in alcun modo le decisioni già prese in sede consultiva dalle potenze vincitrici della guerra.
L’ingresso stesso dell’Italia all’ONU, peraltro, fu accordato soltanto il 14 dicembre 1955.
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L’accordo De Gasperi-Gruber (conosciuto anche come accordo di Parigi, Gruber-De-Gasperi-Abkommen in tedesco), così chiamato dai nomi degli allora ministri degli Esteri italiano (Alcide De Gasperi) e austriaco (Karl Gruber), fu firmato il 5 settembre 1946 a Parigi a margine dei lavori della Conferenza di pace, per definire la questione della tutela della minoranza linguistica tedesca del Trentino-Alto Adige.