IL MANIFESTO DEL 25 MAGGIO 2021
https://ilmanifesto.it/una-morte-che-pesa-come-un-macigno/
VIDEO DELL’AGGRESSIONE DEL 9 MAGGIO A VENTIMIGLIA-00.39
NEL LINK DE IL FATTO QUOTIDIANO DEL 10 MAGGIO 2021
Una morte che pesa come un macigno
Moussa Balde. C’è, nella sua morte, il segno di una condanna inespiabile per tutto il nostro mondo supponente e indecente. Per le autorità (funzionari di polizia, magistrati, secondini) che ne hanno deciso la detenzione senza interrogarsi sull’ignominia che compivano. Per gli uomini di governo che dichiarano pubblicamente, senza pudore, che ci dobbiamo servire dei dittatori perché ci sono utili a tenere lontani da noi quelli come Moussa
Striscione contro il Cpr
© No Cpr Torino
Marco Revelli
EDIZIONE DEL 25.05.2021
PUBBLICATO 24.5.2021, 23:59
«Non un nome, non un volto, ci hanno provato per giorni a farti scomparire dalle cronache della realtà».
Comincia così il messaggio degli attivisti del centro sociale ’La talpa e l’orologio’ di Imperia con cui salutano il ragazzo suicida nel Cpr di Corso Brunelleschi di Torino, luogo famigerato di detenzione e stoccaggio di corpi a perdere, le «vite di scarto» di cui parla Baumann.
Si chiamava Moussa Balde, veniva dalla Guinea, il 29 luglio avrebbe compiuto 23 anni.
E la sua morte pesa come un macigno su tutti noi. Perché era una vittima – il giovane senza nome, appunto, di cui le cronache si erano occupate quando il 9 maggio era stato aggredito e massacrato di botte da tre energumeni a Ventimiglia, per il solo fatto che era lì, sulla strada – e invece è stato trattato da colpevole, imprigionato in un vero e proprio lager sotto la minaccia dell’espulsione. Segregato quando ancora le ferite del corpo e dell’anima non si erano rimarginate, abbandonato alla propria disperazione, offerto al sacrificio da una società che ha perduto se stessa e per questo non sa più salvare nessuno. Era un uomo, ed è stato trattato come una cosa.
C’è, nella sua morte, il segno di una condanna inespiabile per tutto il nostro mondo supponente e indecente. Per le autorità (funzionari di polizia, magistrati, secondini) che ne hanno deciso la detenzione senza interrogarsi sull’ignominia che compivano. Per gli uomini di governo che dichiarano pubblicamente, senza pudore, che ci dobbiamo servire dei dittatori perché ci sono utili a tenere lontani da noi quelli come Moussa.
Per i guru dell’informazione, che vedono, vedono tutto, ma girano la faccia dall’altra parte perché queste storie non «fanno notizia», e che hanno lasciato Moussa fluttuare nell’aria senza neppure restituirgli il nome. Per i capi partito che speculano sulla persecuzione delle vite di scarto per qualche pugno di voti.
Ma anche per tutti i cittadini delle città-limite come Ventimiglia, dove si convive col dolore del mondo con una sorta di anestesia, che rende mostruosi i normali, o normali i mostri. E anche per tutti gli smemorati, che s’indignano per qualche ora ma poi ritornano alla routine quotidiana, perché il male è troppo grande e noi troppo pochi.
Moussa Balde
Ci sono stati, nella storia, tempi in cui l’umanità è apparsa perduta, svuotata del naturale senso di empatia che dovrebbe spingerci al riconoscimento reciproco. Questo è uno di quelli, in cui le voci che sembrano trovare maggiore ascolto sono quelle che cancellano le storie altrui, qui come in Palestina, là come sulla rotta balcanica o le spiagge di Ceuta.
Ovunque l’Ombra – come la definiva un grande della psicanalisi, Carl Gustav Jung -, il negativo che si sedimenta al fondo dell’anima, sembra sommergere il senso della vita. Della Storia e delle storie. Moussa oltre ad avere un nome aveva una storia.
Era arrivato in Italia nella primavera del 2017, aveva vissuto a Imperia dove aveva conseguito la licenza media presso la scuola Boine, al centro provinciale per l’istruzione degli adulti, poi aveva lavorato per una cooperativa, aveva trascorso un periodo in Francia ed era ritornato in Italia dove l’aspettava il destino che l’ha cancellato. Una fotografia lo raffigura con una T-shirt bianca e la scritta in rosso «Imperia antirazzista».
Sta a noi fare in modo che quella storia non venga ancora ignorata. E ripetere con i suoi amici della Talpa:«Tu sei Moussa e non l’hai piegata la testa di fronte all’ingiustizia. Perdonaci fratello».
IL MANIFESTO DEL 25 MAGGIO 2021
https://ilmanifesto.it/voleva-solo-andare-via-la-terribile-storia-dietro-il-suicidio-al-cpr/
ITALIA«Voleva solo andare via». La terribile storia dietro il suicidio al Cpr
Il caso. Moussa Balde era stato aggredito a Ventimiglia e poi rinchiuso nel centro per i rimpatri di Torino perché senza documenti
Moussa Balde
© Centro sociale La Talpa e l’Orologio
Giansandro Merli
EDIZIONE DEL 25.05.2021
PUBBLICATO24.5.2021, 23:59
AGGIORNATO25.5.2021, 10:13
La procura di Torino ha avviato accertamenti sulla morte di un ragazzo nel Centro di permanenza per i rimpatri (Cpr) di Torino. Moussa Balde aveva solo 23 anni ed era nato in Guinea: domenica si è tolto la vita impiccandosi con le lenzuola. Due settimane prima era finito in un drammatico video diventato virale: il 9 maggio, a Ventimiglia, era stato aggredito da tre uomini. Lo hanno pestato con bastoni, calci e pugni in mezzo alla strada, di giorno, tra le urla dei vicini. «Così lo ammazzano», si sente dire in sottofondo. Alla fine è morto comunque.
I tre italiani di 28, 39 e 44 anni sono stati identificati dalla polizia di Imperia e denunciati per lesioni. Per Balde invece, nonostante avesse ricevuto una prognosi di 10 giorni, si sono aperte le porte del Cpr. Per l’assurdo effetto delle leggi che hanno trasformato donne e uomini in clandestini la vittima ha avuto la peggio due volte. Anzi tre.
BALDE ERA ARRIVATO in Italia nel 2017, attraversando il mare. «Sognava un’altra vita, un lavoro. Non poteva rientrare nel suo paese. Diceva che sarebbe stato ucciso dalle stesse persone che lo avevano spinto a scappare – ha raccontato all’Ansa Marco, un suo amico – Era un ragazzo molto intelligente: in pochi mesi ha imparato l’italiano e preso la terza media a Imperia. Era però anche tormentato e impaziente, faticava ad aspettare».
Altre persone che lo hanno conosciuto ne ricordano la grande sensibilità e l’interesse per la politica. Sulla pagina del centro sociale ligure «La talpa e l’orologio» c’è un’immagine in cui sorride con addosso la maglietta «Imperia antirazzista». La foto è stata scattata a Roma, durante una manifestazione per i diritti dei migranti.
«UNA PERSONA affidata alla responsabilità pubblica, deve essere presa in carico e trattenuta nei modi che tengano conto della sua specifica situazione, dell’eventuale vulnerabilità e della sua fragilità. Questo non è avvenuto», ha accusato ieri Mauro Palma, Garante nazionale dei diritti dei detenuti.
Nell’ultimo rapporto sulle visite nei Cpr, Palma si è soffermato sulla zona «Ospedaletto» del centro torinese, quella usata per l’isolamento sanitario in cui Balde si è tolto la vita. È così descritta: «priva di ambienti comuni, le sistemazioni individuali sono caratterizzate da un piccolo spazio esterno antistante la stanza, coperto da una rete che acuisce il senso di segregazione».
«Voleva solo andare via, non accettava di essere rinchiuso là dentro senza aver fatto nulla», dice l’avvocato Gianluca Vitale, difensore del ragazzo.
La scorsa settimana lo ha incontrato due volte e Balde gli ha raccontato che a Ventimiglia era stato picchiato mentre chiedeva l’elemosina, non dopo un tentativo di furto, come sostenuto dagli aggressori. Pare che la sua versione non sia stata ascoltata neanche dalla Procura. «Avrei dovuto vederlo oggi. Eravamo preoccupati: un ragazzo di 23 anni che viene picchiato barbaramente e poi finisce in un Cpr non può che trovarsi in una condizione di estrema vulnerabilità», afferma la Garante dei detenuti del comune di Torino Monica Cristina Gallo.
«COME È STATO possibile disporne non solo l’espulsione in un paese tutt’altro che sicuro come la Guinea ma perfino il trattenimento in un Cpr?», ha detto Riccardo Magi (+Europa). Nicola Fratoianni (Sinistra italiana) e Maurizio Acerbo (Rifondazione Comunista) hanno chiesto la chiusura di tutti i Cpr. Erasmo Palazzotto (Liberi e Uguali) ha presentato un’interrogazione alla ministra Lamorgese affinché faccia chiarezza su tutti gli snodi della vicenda: dalla reclusione all’assistenza medico-psicologica.
Ieri gli altri 107 migranti rinchiusi nel centro hanno protestato per la morte del loro compagno. Oggi alle 18 la rete «No Cpr Torino» manifesterà sotto le mura della struttura detentiva
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ore 14.00 di ieri 24 maggio
AGGIORNAMENTO DAL CPR DI TORINO IN RIVOLTA —
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