FILM COMPLETO IN ITALIANO : ” IL MURO DI GOMMA ” DIRETTO DA MARCO RISI – E’ DEL 1991 — durata : 1 h 58 minuti ca ++ RECENSIONE DI ALESSANDRO BARILE, L’ORDINE NUOVO, IL CINEMA RITROVATO, 1 LUGLIO 2020

 

 

 

Il Muro di gomma

 

 

 

Il muro di gomma è un film italiano del 1991 diretto da Marco Risi.

Il film racconta la storia di Rocco Ferrante, giornalista del Corriere della Sera, che per dieci anni seguì le indagini sull’incidente aereo di Ustica del 1980 in cui morirono 81 persone.

 

Durata118 min

Genere drammatico

Regia Marco Risi

Soggetto Sandro Petraglia Andrea Purgator Stefano Rulli

Sceneggiatura Sandro Petraglia Andrea Purgatori Stefano Rulli

Produttore Mario e Vittorio Cecchi Gori Maurizio Tedesco

Fotografia Mauro Marchetti

Montaggio Claudio Di Mauro

Musiche Francesco De Gregori

Scenografia Massimo Spano

 

 

Interpreti e personaggi

  • Corso Salani: Rocco Ferrante
  • Angela Finocchiaro: Giannina
  • Ivano Marescotti: Giulio
  • Antonello Fassari: Franco
  • Carla Benedetti: Sandra
  • Pietro Ghislandi: Corrà
  • David Zard: Agente segreto
  • Mario Patané: Paolo
  • Eliana Miglio: Anna
  • Mario De Candia: Davide
  • Benito Artesi: Giudice
  • Bruno Vetti: Bruno Giordani
  • Gianfranco Barra: Ministro della Difesa
  • Ivo Garrani: C.S.M. della Difesa
  • Sergio Fiorentini: C.S.M. dell’Aeronautica
  • Luigi Montini: Portavoce dell’Aeronautica
  • Tony Sperandeo: Sottufficiale dell’Aeronautica
  • Gianluca Favilla: Funzionario dell’assicurazione
  • Nicola Vigilante: Gaetano
  • Andrea Purgatori: Cameo giornalista

 

https://www.youtube.com/watch?v=CFzLcSs5HJg

 

 

 

 

 

INTRODUZIONE ::

 

Lungi dal proporre una soluzione alla vicenda, ad oggi ancora non compiutamente chiarita, Il muro di gomma illustra il bisogno di verità creatosi intorno alla faccenda. Ispirato all’esperienza di Andrea Purgatori, da sempre impegnato sul caso del disastro aereo, vede tra gli sceneggiatori lo stesso giornalista che, nel film, compare anche in diversi cameo.

Per evitare problemi legali con il ministero della Difesa le uniformi figuravano con stellette a sei punti invece di cinque, come già accaduto per Soldati, dello stesso Risi, il cui contenuto era ritenuto poco edificante per le forze armate.

Il titolo del film deriva dalla frase utilizzata dall’avvocato Giordani per riferirsi alla barriera di omertà sull’incidente, che la dichiarazione del maresciallo Caroli aveva per la prima volta penetrato: «dopo anni e anni per la prima volta uno squarcio si apre in questo muro di omertà, in questo muro di gomma».

Fu presentato in concorso alla 48ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia.

 

Cinema ritrovato: Il muro di gomma, di Marco Risi, 1991 - L'Ordine Nuovo

 

Trama

 

27 giugno 1980: la torre di controllo dell’aeroporto di Roma-Ciampino perde il contatto con il volo di linea Itavia IH870 in volo da Bologna Borgo Panigale a Palermo Punta Raisi.

A Roma il giornalista Rocco Ferrante, mentre è nell’appartamento nel quale convive con Anna, riceve una telefonata da un conoscente operatore radar di Ciampino, che gli comunica dell’incidente aereo a Ustica, facendo vago riferimento ad un abbattimento.

Alla redazione del Corriere della Sera, tra le direttive impartite ai giornalisti per occuparsi del caso, Rocco viene mandato a Palermo, per incontrare i parenti delle vittime. Qui Rocco fa la conoscenza, all’uscita dell’obitorio dove le salme finora recuperate sono portate per il riconoscimento, di Giannina, rimasta sola con la figlia di 8 anni Silvia dopo la perdita del marito. Rocco cerca poi, invano, di strappare qualche informazione all’amico che gli aveva parlato per telefono dell’abbattimento dell’aereo, e poi torna a Roma. La redazione prende istruzioni dal direttore, e poi tutti tornano al lavoro sul caso: Rocco assiste attonito alla seduta del parlamento, con solo 16 politici presenti, in cui il Ministro della difesa promette che sarà fatta luce sulla faccenda. Successivamente Rocco si reca al Palazzo dell’Aeronautica, dove il Generale portavoce sostiene come la probabile causa del disastro sia un cedimento strutturale dell’aereo; questa ipotesi è però seccamente smentita da un portavoce dell’azienda statunitense che vende quei velivoli.

Nella mente di Rocco prende allora corpo un’altra ipotesi: essendo l’aereo esploso in volo, qualcosa deve averlo fatto saltare in aria: una bomba o un missile. L’ipotesi di un ordigno a tempo è scartata perché essendo il volo partito con due ore di ritardo da Bologna il timer lo avrebbe fatto esplodere quando era ancora a terra, ma il missile non è da escludere. E poiché il traffico aereo militare nella zona incriminata è perlopiù dell’aviazione statunitense, Rocco si reca all’ambasciata statunitense, che nega un qualsiasi coinvolgimento.

Rocco incontra un giudice che si occupa dell’inchiesta, che segue in Inghilterra per ottenere maggiori informazioni sulle perizie che verranno effettuate. Al suo ritorno in Italia Rocco si accorge di come la sua indagine stia facendo luce in una faccenda che molti, come aveva già capito da alcune confidenze fattegli, volevano tenere riservata e gestita con calma dagli addetti ai lavori: è vittima di telefonate anonime.

Negli studi della compagnia assicurativa che si occupa del risarcimento dei familiari delle vittime dell’incidente c’è anche Giannina, che nell’occasione incontra nuovamente Rocco, con cui parla a lungo, confidandogli la sua situazione di disagio economico a seguito della morte del marito.

Nel 1981 Rocco riceve una lettera contenente un disegno: incontra allora in segreto un esperto che gli dice che quello è il tracciato radar del DC-9 precipitato e che il DC-9 è stato abbattuto perché si è trovato nel posto giusto al momento sbagliato; inoltre lo avverte che il lavoro giornalistico che sta portando avanti sta dando molto fastidio. Rocco decide di approfondire ulteriormente il caso partendo dall’ipotesi che l’aereo fosse stato abbattuto per errore, mentre il bersaglio era un altro.

Il giovane giornalista si dedica anima e corpo al caso, trascurando anche la relazione con Anna, che qualche tempo dopo lo lascia per un altro. Poco tempo dopo arriva in redazione l’avvocato Bruno Giordani, incaricato di rappresentare la parte civile nel processo sulla strage di Ustica: Giordani è un uomo onesto in cerca di giustizia e chiede, trovandolo, aiuto a Rocco per approfondire la sua conoscenza della vicenda.

1982: Rocco, che teme di avere il telefono sotto controllo, si reca alla BBC per cercare ulteriore materiale su un’eventuale presenza di aerei vicini al DC-9 il giorno dell’incidente. Grazie ad un’amica giornalista ottiene il permesso di visionare e pubblicare in Italia una ricostruzione dell’evento di un esperto americano che aveva lavorato sullo stesso tracciato che fu spedito a Rocco.

1985: un giorno, mentre butta via alcuni vecchi documenti, Rocco scopre da un fascicolo militare che il 18 luglio 1980, data in cui era stato accertato fosse caduto sulla Sila il MiG-23MS con i colori dell’Aeronautica Militare libica, nel Canale di Sicilia era in atto una simulazione aeronavale interalleata di notevoli dimensioni. Con il grande spiegamento di forze militari nella zona è impossibile che il MiG fosse riuscito ad arrivare fino alla Sila senza essere visto. Rocco va allora in Calabria, per raccogliere informazioni: parlando con il medico che aveva effettuato l’autopsia sul cadavere del pilota del Mig scopre che questo aveva ricevuto pressioni per dichiarare che la morte fosse avvenuta a metà luglio, mentre dallo stato di decomposizione essa era individuabile nel periodo dell’incidente di Ustica.

Molte autorità del posto negano versioni diverse da quelle accertate ufficialmente, anche se intervistando abitanti del luogo Rocco trova conferme del fatto che il Mig si fosse schiantato proprio il 27 giugno. Nel 1988 Rocco riceve, prima che sia messa a disposizione delle autorità italiane, la perizia sulla carcassa del DC-9: l’aereo dell’Itavia è stato con ogni probabilità abbattuto da un missile. La notizia viene immediatamente pubblicata.

Estate 1989: interrogato al processo, il maresciallo Luciano Caroli racconta le ultime azioni del DC-9 che aveva seguito grazie alla traccia del radar. Egli afferma di aver visto chiaramente l’aereo cadere, di aver visto ad un certo punto la traccia che cominciava a scadere di qualità, cioè ad essere debole. Immediatamente segnalava lo strano evento al tenente che gli sedeva a fianco[1]. In quel momento il DC9 doveva essere sul mare, e contemporaneamente si metteva in contatto con Punta Raisi e con Fiumicino per avere notizie sull’ora del decollo, per verificare un possibile ritardo. Il maresciallo dichiara inoltre che Punta Raisi rispose che stavano aspettando il DC9 a momenti, e che nel frattempo il tenente cercava di chiamare l’aereo per radio, senza avere risposta.

Nel 1990 vengono interrogati i militari dell’Aeronautica incriminati per aver inquinato e depistato le indagini sulla strage di Ustica. All’uscita dall’aula Rocco segue fino alla macchina l’ammiraglio che lo aveva aggredito verbalmente anni addietro, rinfacciandogli le accuse di essere pagato da qualcuno per alimentare quello scandalo.

 

 

Premi e riconoscimenti

  • Ciak d’oro – 1992

Miglior regista a Marco Risi

 

TEMA STRUMENTALE DE “IL MURO DI GOMMA ” — FRANCESCO DE GREGORI

RECENSIONE AMPIA E DOCUMENTATA :

DA :

 

https://www.lordinenuovo.it/2020/07/01/cinema-ritrovato-il-muro-di-gomma-di-marco-risi-1991/

 

 

 

CINEMA RITROVATO: IL MURO DI GOMMA, DI MARCO RISI, 1991

DI ALESSANDRO BARILE

01/07/2020

Il muro di gomma

Quarant’anni dopo, il muro di gomma è stato demolito senza per questo essere giunti alla verità. Oramai, dai vertici della politica all’ultimo usciere di viale dell’Università (sede dell’Aeronautica), tutti chiacchierano senza indugi di “errore” NATO e missili francesi, di guerra non dichiarata e depistaggio di Stato. Il vociferare si è tramutato in verità, grazie anche a questo film di Marco Risi, utile – ancora oggi – soprattutto a smentire un certo anticomplottismo militante: andatelo a spiegare alle famiglie delle vittime di Ustica e di Bologna che “i complotti non esistono”, che la verità è sempre palese e il DC9 ha subito un “cedimento strutturale”.

Eppure, se decidiamo di tornare su di un film fin troppo noto come questo muro di gomma non è solo per ricordare i quarant’anni dalla strage di Ustica, controverso episodio immerso nelle regole della Guerra fredda. È certamente brutale ricercare una ragione nell’abbattimento del DC9 di Itavia, e nonostante ciò di episodi simili è piena la cronaca degli anni Ottanta, dal volo della Korean Airlines abbattuto da Andropov alla tragedia di Lockerbie di matrice libica. Sono le regole di ingaggio dello scontro politico di quel tempo a spiegarne gli orrori connessi. Non questo o quel “sistema deviato” – che pure ci fu – ma la sostanza stessa di quello scontro, la sua radicalità politica, la sua drammaticità intrinseca. Eppure, occorre rammentare con dolore il monito hegeliano: «la vita dello Spirito non è quella che si riempie d’orrore dinanzi alla morte e si preserva integra dal disfacimento e dalla devastazione, ma è quella vita che sopporta la morte e si mantiene in essa». In questo confronto necessario non siamo nudi ed impotenti di fronte alla pura negatività, a patto che sappiamo soggiornare presso di essa, riconoscerne la razionalità in quanto parte di noi stessi. E infine combatterla.

Tutto ciò, ovviamente, scompare nella pellicola di Marco Risi, e questo ne fa un film di denuncia pulito e innocuo, compatibile con i pruriti liberali dei ceti intellettuali, adatto per tutte le latitudini civiche.

Il film si inserisce nel lungo e contraddittorio filone del cinema di denuncia civile degli anni Settanta, adattandolo allo spirito dei tempi dei primi Novanta, e perdendo per strada – inevitabilmente – ogni discorso complessivo, al fine di edificare il monumento al vero soggetto-storico portatore di scomode verità: il giornalista. Un approccio tipico del cinema americano del precedente ventennio (ma ancora oggi di gran moda, vedi l’orribile The Post), ma che si impone in Italia con non poche difficoltà, data la peculiare condizione intellettuale influenzata, se non a volte subordinata, dal livello delle lotte di classe di quegli anni.

Il giornalista in quanto soggetto dis-ingaggiato, non implicato e, proprio per questo, “obiettivo”, anche quando deve svelare le terribili ragioni del potere. La figura sociale della post-modernità.

Ebbene, la vicenda narra le peripezie del giornalista del Corriere della Sera Rocco Ferrante (ricalcato sulla figura di Andrea Purgatori, protagonista del giornalismo d’inchiesta di quegli anni e in particolare sulla vicenda del DC9, e interpretato dal pur bravo e dimenticato Corso Salani), che non crede alla verità ufficiale diramata dalle istituzioni pubbliche in riferimento alla “caduta” dell’aereo Itavia in viaggio tra Bologna e Palermo, e conduce un lungo lavoro d’inchiesta contro i vertici dell’Aeronautica e della politica, ma anche contro le ritrosie e gli accomodamenti dei poteri “intermedi”, in primo luogo del suo giornale. La verità non verrà a galla, ma la caparbietà del protagonista è ricambiata dall’incriminazione dei vertici militari italiani nel processo che si aprirà nel 1990 e che chiude simbolicamente il film.

L’impegno civile del film è fuori discussione: l’ignobile tentativo di depistare e accomodare una verità “ufficiale” andava combattuto, sebbene nel ’91 fossero presenti quasi tutti gli elementi per rendersi conto di ciò che non tornava (e infatti lo stesso Purgatori, insieme ai familiari delle vittime, li andava ripetendo già da molti anni), e quindi si sarebbe potuto osare di più anche sotto il punto di vista della responsabilità giudiziaria. Oggi che “tutti sanno” (ma cosa, di preciso?), la visione del film ha ancora lo stesso valore e lo stesso impatto? In realtà, ciò che non torna nella ricostruzione del regista, e dello stesso Purgatori, è altro e concerne l’essenza stessa del fatto, non il rumore di fondo italiano.

Nel film scompare il contesto che di fatto determinava Ustica come evento “possibile”, ancorché non auspicabile da nessuna delle parti in gioco. Scompaiono le ragioni profonde, i responsabili diretti, per concentrarsi unicamente sulla superficie del depistaggio, gli ufficiali corrotti e le macchiette del sottopotere. E scompare Bologna, strage non più messa in connessione con Ustica neanche in forma dubitativa.

Strage di Bologna

2 agosto 1980 – Strage di Bologna

C’è il giornalista-eroe e i poteri buoni (ça va sans dire: l’apparato mediatico, i giornali, i giornalisti, e poi le vittime); ci sono i cattivi, militari e politici, sempre presentati in forma parodistica, mai davvero spersonalizzati, e quindi mai davvero espressione del potere ma sua alterazione umana.

In questo quadro a tinte decise e irrealistiche, veniamo a sapere che in territorio italiano, nei cieli del Tirreno meridionale, si stava combattendo una guerra in cui i protagonisti erano tutti stranieri: americani, francesi, libici. Che la battaglia aerea aveva probabilmente fatto la classica “vittima accidentale” (81, per la precisione, senza contare l’abbattimento del Mig libico e la morte del pilota, trattata senza alcuna enfasi quasi a dimostrarne la correità), e che la ragion di Stato imponeva di tacitare l’episodio, orchestrando una verità di comodo imbarazzante per i suoi stessi sostenitori. Infine, che gli stessi sostenitori di questa verità imbarazzante, grazie alla caparbietà del giornalista e degli avvocati delle vittime (l’avvocato è l’altro tipo sociale del racconto post-moderno), saranno infine processati. Il problema è che l’infima qualità umana dei vertici militari, anche nella migliore delle vicende giudiziarie a lieto fine, non spiegherebbe comunque Ustica. Non sono stati “gli italiani” a tirare giù il DC9 di Itavia, e lo smascheramento delle coperture non può che fermarsi alla superficie degli eventi.

Eppure la politica italiana c’entra: dove si situa in una vicenda simile la subordinazione militare agli interessi NATO, e in primo luogo agli Usa? Anche in assenza dell’evento clamoroso, della tragedia dell’aereo abbattuto, è normale un’esercitazione militare straniera in territorio italiano?

E, ancor di più, è normale una battaglia militare straniera, in tempo di pace, in un territorio italiano usato come momentaneo teatro di guerra tra interessi contrapposti? E gli interessi contrapposti, erano tutti su di uno stesso piano valoriale? Gli interessi Nato erano uguali e speculari alla lotta anticoloniale della Libia di Gheddafi? Si stava combattendo una battaglia, oppure si è trattato di un’aggressione Nato ad un aereo libico? È davvero sovrano uno Stato che permette l’uccisione di 81 suoi cittadini, da parte di alleati militari, senza chiederne conto ai diretti responsabili?

Queste e altre domande avrebbero dovuto trovare accenno in un lavoro volto a disvelare la verità di un fatto storico. La verità del giornalista dis-impegnato non può però tracimare nell’impegno sociale, ma limitarsi al ruolo di megafono civile di una proceduralità giudiziaria de-radicata dalle ragioni ultime della politica. In questo sta tutta l’alterità con il cinema d’impegno civile degli anni Sessanta e Settanta, la differenza con Francesco Rosi de Le mani sulla città, oppure di uno qualsiasi dei lavori di Elio Petri; ma anche di un cinema dal respiro più internazionale e mainstream à la Costa-Gavras, in cui l’equilibrio realistico si mantiene nonostante l’incipiente deterioramento. Questo il limite, di un cinema presuntamente impegnato, in realtà annichilente.

Oggi rimane la traccia di un buon film civico, inutile alla comprensione degli eventi e utile all’indignazione intellettuale. Le vittime di Ustica (e di Bologna) continuano a lottare contro quella verità di comodo, anche quando questa si veste dei panni della buona coscienza democratica.

 

 

 

L’AUTORE DELLA RECENSIONE :

 

 

Alessandro Barile

35 anni, ricercatore in Storia contemporanea e studioso delle trasformazioni della città globale. Redattore della “Rivista di Studi Politici” e della rivista di Storia della conflittualità sociale “Zapruder”, collabora con “il manifesto” e “Le Monde Diplomatique”. Tra le sue ultime pubblicazioni, “Il tramonto della città” (Derive Approdi 2019) e, di prossima uscita, “Il secondo tempo del populismo. Sovranismi e lotte di classe” (Momo edizioni 2020).

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